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Le pene di Agilulfo cavaliere

Creato il 23 marzo 2011 da Angel

Vorrei proporvi, cari lettori, un piccolo poemetto che ebbi modo di comporre qualche tempo fa. Spero che lo troviate di vostro gradimento:

Le pene di Agilulfo Cavaliere

I

O Cavaliere Agilulfo, di casata illustra,
guida la mia penna alquanto distratta
dalla flebile memoria
che le tue imprese invoca.

Tu, che nobile partisti,
per il santo loco
poiché la tua Madonna Fiordalisi invocasti

affinché ti desse un po’ del suo sacro foco.
Ma ella rifiutandosi onesta,
i tuoi ardori respinse
e t’ accingesti a far la crociata.

Malevola sorte,
ti riservò il saladino
che alla sua magnifica corte

ti condusse in sella a un somaro.
O messere,
che piangi della tua sventura,
sì misera e crudele

poiché il saladino schiavo ti fece.
E dalla sicura morte,
nessun fato ti tolse.

E in cuor tuo la fuga tramasti,
giù per lo buio e infido sotterraneo,
ed in su le banchine sbucasti
Un saracino interrogasti,

ma egli cristiano ti fece
e dalla gogna il tuo capo sbucò.
La turba inferocita, nobile messere,

insolenti preghiere rivolgea.
Ecco il saladino potente,
al cospetto dello quale
s’ accecano gli astri e la volta stellata

e le bianche comete.
Severo guardotti adirato,
per il fallo maturo commesso

per il tuo orrendo misfatto.
E nelle mani sue una spada messa,
s’ apprestava l’ capo a mozzarti.
Ma frenando il suo impeto cieco,

il giogo pesante ti tolse
e con la mano il capo ti volse
al cospetto dello magno mare

di sale profumato.
E siccome la di lui storia conoscea,
il saladino caldamente consigliato l’ ebbe
di ritornarsene da donde giunto era

affidando l’ suo cor
a chi con ansia l’ attendea.

II

Amor,
sull’ infido mare
veleggia il vessillo cristiano

del cavalier Agilulfo
da te protetto
nell’ infausto deserto
del saladin d’ oriente.

Agilulfo con sguardo fiero,
rimira il lido infedele
con il cor invece

oltrepassa l’ oceano mar
per giungere tra le braccia
di colei per cui egli brama
l’ ardore e la giovanile freschezza.

Nei suoi pensieri di salsedine
Agilulfo rimembra,
rimembra e rimembra nuovamente

al ratto di passione che come serpe
l’ alma tutta gli stringea.
In grembo al petto suo,
strani propositi infrangea:

Madonna Fiordalisi,
così ricca e di virtù piena
avrà gia convolato a nozze

e con il marito giacendosi.
Che speranza avrò mai io,
che tempo addietro ho attentato
alle sue virtù?

Fustigato d’ amor era Agilulfo,
che s’ interrogava sulla sorte sua
giunto in terra patria.

Al suo cor era celato,
che la donzella
votato il suo cor avea
a quell’ eroe scapestrato.

Ma nel limpido firmamento,
di stelle lastricato
compare lui nell’ ombra del plenilunio

del di lei castello.

III

Il vespro moriva dolcemente,
e il fioco astro
una lacrima cocente
versava sull’ antico mondo.

Il cor di Agilulfo,
morso era dall’ ardore
e come una serpe

andava dimenandosi
nell’ oscuro bosco.
Al di là di esso
luminosa dimora sorgea

con merli e guardie
cavalli e stallieri
degno di gran regia parea.

Il dì nascente,
grande festa
e banchetti preparato avea
doni, profumi e spezie

e gioiosi volti
affluivano in quantità assai molta.
Nel sì nobile castello.

Pria che la notte sopraggiunta era,
il cielo turchese
graffiato di stelle
affievoliva l’ onnipotente oscuritate.

E dagli ostelli dei villani,
grida e voci in festa
si levavano

e un coro gridava:
Gioia e felicitate,
per la Madonna Fiordalisi
che oggi se ne viene in sposa

all’ eccellentissimo
Rinaldo duca di Cortona.
All’ udire queste acclamazioni,

il povero Agilulfo
si adombrò d’ un tratto.
E il mondo rarefatto,
in cui vivea

si dissolse come nebbia di brughiera.
Avvicinò la mano smorta,
alla sella arcuata del destriero

e montò mesto
cercando il solitario ritorno.
Il cuor suo tante cose andava sussurrando:
Madonna Fiordalisi è presto sposa,

la villania dell’ animo mio
trova giusta piaga
nel di lei sacro sposalizio.

Errando,
si spense nella foresta
al grido rauco
del di lui galoppo.

IV

Nella ombrosa selva,
rigogliosa e spenta
va movendosi Agilulfo.

Al bivio di un sentiero,
una fattucchiera frenò
di colpo il suo destriero.
Con la mano levandosi al cavaliere:

O messere,
dal cor indomito
dove è diretto il passo tuo?

Gli occhi tuoi,
sono accesi come foco
la tua chioma irsuta
sputa rabbia in ogni loco.

Come osate importunare il passo mio?
Maledetta strega e fattucchiera?
Sparite dalla mia vista serpe di una megera…

Quando il di lui cavallo,
riprese il nervoso passo
la scapigliata donna
con più insistenza fece:

Messer Agilulfo,
di germanica casata
sul suolo italico approdato,

col cor trafitto,
da una lombarda nobildonna
piange per colei
il cui nome è Fiordalisi.

Il capo del cavaliere s’ arrestò.
Come sai degli avi miei?
Del mio tormento per amor?

Son fattucchiera,
su tutti ho veggenza,
ascolta la mia prece
o sì nobile cavaliere.

La tua sposa Fiordalisi,
sposa fu fatta con l’ inganno
dallo duca Rinaldo.

Ella acconsentì,
al di lui misfatto
per amor di quel padre
che nel letto infermo giace.

Fiordalisi è triste,
e il suo cor compunto
piange la tua morte, Agilulfo.

Ogni notte ella sospira,
davanti alla madre luna
scrutando gli occhi delle stelle
agognando il tuo ritorno.

V

Nel maniero maledetto,
risuonava il gracido lamento
dei neri menestrelli.

silenzioso simil a morte certa.
E lo duca si compiaceva
coi compari suoi
per le nozze del dì appresso.

La scura luna,
versava lacrime sugli indomiti pendii
morte dove tu sei?

Invocava Fiordalisi – sospirando -
dall’ alto del suo merlo
Rapisci il corpo mio
sottraendomi a quell’ uomo inverecondo.

La notte correva veloce,
coi suoi cavalli rapidi
sfrenati nel loro maestoso galoppo

Quand’ ecco che nello intelletto,
della Madonna un pensiero si componeva
e il cor balzava in petto pieno di speme
simil a ruggito di leone.

VI

Alla Madonna Fiordalisi apparve
in sogno sì luce splendida
tale da stordir la mente

E i passi di un uomo
alla nobile signora si avvicinavano
mentre adagiata era sulla riva di un ruscello
con la fresca acqua che leniva

le piaghe del cor amante.
Messere chi siete? – sussurrò la donna .
Sono Romualdo d’ Asti

partito tempo addietro per la crociata,
al fianco di vostro padre
nobile e valoroso guerriero
combattè contro l’ infido saraceno.

Voi, messer Romualdo
conserva il cor mio
il più dolce dei ricordi

Orsù ditemi, fido servitore
perchè visitate i sonni miei?
Quali notizie recate
nei vostri occhi spenti?

Madamigella non vi turbate,
non dimenate la vostra ansia
per tortuosi e scomodi pensieri.

Giungo a voi per riferirvi
che Agilulfo, il vostro amato
è vivo. Vaga per i boschi
irrequieto come un cerbiatto.

Il suo petto è divorato
dalla solitudine amorosa
e impedir vorrebbe le vostre nozze.

O messer Romualdo,
che gioia annunziate
alle mie membra avvilite?
Ma il tempo trascina infausti eventi

e fermar non si pote la sua corsa.
Come impedir il suo calvacare?
Messere pendo dalle labbra vostre.

Mia signora,
il tempo avanza
indugiare non si deve.
Quando dalla torre,

scoccherà la mezza sera
mandata al mio giaciglio
un vostro servitore

la mia sposa lieta sarà
di donargli il mio cavallo
concessomi in dono dal padre vostro
per i mie onesti servigi.

Mostrate a lei un drappo vermiglio,
perchè possa riconoscere il famiglio
e non esitare oltre modo.

Il famiglio correrà nel silenzio della notte,
quando stremato giungerà
presso tre sorgenti.
Accanto ad esse una grotta

si apre simil a feritoia.
Lì rancoroso e fiacco
riposa il vostro cavaliere

che deciderà per il meglio
il machiavellico inganno
da ordire alle spalle
del duca tracotante.

L’ eco della morte,
mi richiama alle oscure viscere
confidando in Agilulfo temerario,

nel suo fiero ardor di guerriero
poso sulle vostre labbra
la mia speme e dedizione
con il più malinconico degli adii.

Rotto il sonno con cor palpitante,
la damigella eseguì i dettami
del buono e fedele Romualdo.

VII

Giunta l’ ora convenuta,
il servo si mosse
con incedere muto
dalle segrete stanze del maniero.

Gli astri in cielo brillano,
come lucenti gocce
cadenti sulla terra nuda

indicando al famiglio il cammino
nella cupa notte
inerte e solitaria.
Una docile frescura,

schiude alla mente
burrascosi pensieri
nel fido messaggero.

Al ciglio del sentiero,
spuntò simil a pennacchio
una scia di fumo grigio.
Il servo si avvicinò furtivo,

nascosto tra le foglie
del domestico giardino
con il cor lacerato:

arrestare il passo o procedere?
È gente amica oppure infida?
E ancora cento, mille dubbi,
a frenare quel giovin passo

quando un pensiero si impose:
misero me e la mia viltà
che senso ha indugiare?

Così si risolse,
a bussar allo giaciglio
e una donna l’ aperse.
Appariva dolce nello aspetto,

con un drappo morbido
che il capo le copriva
disegnandone il seno candido.

Qual vento vi conduce, messere? – disse la donna –
Sono un umile servitore, mia signora – rispose –,
ad inviarmi è Madonna Fiordalisi, mia padrona
che in sogno Romualdo incontrò,

il vostro nobile sposo
che dei consigli le rivolse
affinché ritrovasse il suo amato, Agilulfo.

Il nobile cavaliere ha sostato
In questo umile loco – disse la donna –
Tre giorni fa or sono.
Era affamato e stanco

E ospitalità chiedeva pregando.
E donde era diretto? – interruppe il servo –
Questo lo tenne al mio cuore celato – rispose ella –

La mia Madonna Fiordalisi mi spinge qui – riprese il servo –
Per domandare alla vostra grazia,
un docile cavallo da montare
affinché io posso raggiungere Agilulfo,

nel più remoto dei loci solitari
Non accorderò quello che chiedete – interruppe –
Come posso io fidarmi di voi?

Il famiglio estrasse dalla giubba,
un fazzoletto color vermiglio
con un cerbiatto ricamato.

Ecco a voi, mia signora.
Questo me lo diede la mia padrona.
Apparteneva al vostro sposo,
ed ella gelosamente lo custodì.

Gli occhi della donna,
esplosero di lacrime bianche
che in mille rivoli si perdevano

giù per le morbide gote.
Il servitore commosso,
una mano le poggiò
sul viso fatto di alabastro.

L’ accorato piantò liberò la donna,
del diffidente rancor
e a conceder l’ animal si risolse.

Mia signora,
somma felicitate sul vostro giaciglio
E non andando oltre le parole,
si perse nell’ oscuritate.

VIII

Sul monte arrivato,
al servitor speranzoso
il cor impallidì,compunto.

La grotta era d’ aspetto
mostruosa assai e forte
era il timor del famiglio
nel mover l’ passo.

All’ imboccatura della sperlonca,
scorgeva assorto Agilulfo cavaliere
accostato a un foco solitario.

Dietro le spalle sue,
il muso lungo del destriero
morsicare nervoso la biada
rimpiangendo il nobile passato.

Il famiglio con dubbioso incedere,
ruppe il silenzio del cavaliere
attirando tosto i suoi pensieri.

Cosa cercate messere? – disse Agilulfo
Sedete accanto al foco
a discorrere con me
degli argomenti che più vi aggradano.

Agilulfo era annebbiato assai,
tanto da non scorgere
alla sua vista

la figura trista d’ un famiglio.
Troppo onor mi fate, cavaliere
invitandomi al vostro focolare
grave è l’ argomento di cui parlare.

Orsù – disse – il nobile cavaliere
riferitemi il discorso grave
poichè io possa con giudizio valutare

l’ angoscia che il vostro volto tende.
Nobile Agilulfo – esordì il famiglio -
giunsi in questo aspro loco
inviato dalla vostra amata, Fiordalisi.

Ella volle con tutta forza,
le nozze allontanare
con lo sciagurato duca Rinaldo.

Mi inviò alla vostra ricerca
fiduciosa oltrempodo del fiuto
della disperazion mia
e del mio umile ronzino

affinchè acceso da quella passione,
che tempo addietro dimostraste
e che molti perigli mi procurò,
prendeste in mano il ferro

e combatteste per la di lei salvezza.
Agilulfo fu scosso dalle umili parole
del povero e semplice famiglio.

Ma la gioia ritrovata,
cedeva subitamente il passo
alla tagliente angoscia
del valoroso cavaliere.

La voce mia,
rotta è dal pianto che dal cor
sgorga simil a cascate d’ argento.

Nulla posso contro il tenebroso duca – confidò Agilulfo -
poichè privo son d’ uomini e d’ arme
e impossibile è penetrar nel maniero
protetto com’ è  da vigili cornacchie.

Non datevi pena, cavaliere – rispose il famiglio -
gli uomini del duca beccheranno
lì dove spunta miglior grano.

E con facilitate voleranno a voi,
armando il vostro nobil arto.
Consideratemi tosto vostro servo,
cavalier Agilulfo.

Parlaste bene, fido scudiero,
dirigiamoci al castello strisciando
silenziosi nella notte come serpenti.

Ciò detto, i due si mossero
nel ventre di una notte spenta
con l’ alba che fuori veniva
vogliosa di giustizia mai doma.

IX

Il sol spuntava timido,
sulla vallata inerme
dall’ aspetto silenzioso e intatto.

Tra i fuscelli del paludoso stagno,
vanno dimenandosi il cavalier
seguito dall’ indomito stalliere
indagando le lungghe mura del maniero.

Le porte del castello tenebroso
s’ aprirono d’ un tratto
ed apparvero mastri, carretti e bottegai

dirigersi nel fortezza a gaudio preparare.
insieme a giullari e saltimbanchi
falconieri e mangiafuochi
mentre ardeva Agilulfo di passione

nascosto nel canneto del castello.
Il famiglio era da lui assai distante
arroccato con un piè su un melo

scorgendo le ronde attente sopra i merli.
Tempo era giunto per l’ azione:
intrufolarsi nel castello
da donde uscito ero lo scudiero

e, animatisi con forza, i due
mossi da audacia si recarono
nei pressi di una vetusta fontana

sotto la quale un profondo sentiero s’ apriva.
La galleria pesta era per lo buio
e il cor batteva simil a frastuono di vento,
quand’ ecco che allo incrocio

che dava su per le alte scale
due guardiani scorsero gli audaci
e armati di balestre, dardi scagliavano

contro le infide e sorde mura.
Agilulfo la spada estrasse
baciando la santa croce
e contro uno di essi si lanciò

e con fendente lama lo passò.
Lo scudiero catturò l’ altro ribaldo
che imbavagliato fu e abbandonato.
Salendo le scalinate ripide,

s’ avvertiva l’ odor della imminente festa
- nobile Agilulfa per di qua! – sussurrò il famiglio
avviandosi per un angusto cunicolo

il quale spuntava sulle stanze del maniero.
Orsù, ditemi fido scudiero,
dove si trova la stanza di Fiodalisi
mia tenera e fedele amata?

La voce del cavaliere trasalì.
Eccola mio signore – indicò il famiglio -
ma fate attenzione sento un rumore di passi.

Era il malefico Rinaldo col suo seguito
bardatto a gaudio e di profumi munifico.
Il cavalier Agilulfo attese trepidando
poi confidò il suo proposito al fido servitore:

pianterò la mia lama nel cuore del duca,
al cospetto dei suoi avidi avvoltoi
lieti di prepararsi a sì tale e grasso pasto.

Nobile Agilulfo, folle è il proposito vostro
ma scelta diversa non si trova.
Lasciate che al vostro fianco mi batta.
Questo è il mio destino – rispose il cavaliere -

ogni uomo sulla terra è chiamato
a render conto dei passi suoi.
Non frenate il passo mio.

Sguainata la fiera lama,
graffiata dal precedente sangue
mosse Agilulfo il passo verso l’ androne
Duca Rinaldo di Cortona – tuonò il cavaliere -

Il seguito del duco fu scosso
da quella voce simil
a gelido fremito.

Agilulfo, voi qui! Cosa cercate
da codesto loco? – sprezzante il duca si fece -
Impedire a voi, vecchio e tardo,
la sacra unione con Madonna Fiordalisi

pronto sono a sfidarvi, duca
affondando codesta lama
nel vostro pingue ventre.

Lo duca appariva simil a bavoso cane
e addosso al nobile Agilulfo
si scagliò; mentre le sue venali milizie
pronte erano ad assaggiare il soldo del nuovo signore.

Le lame si incrociarono
in danze di morte infernali
fino all’ ultimo sospiro

mentre s’ udiva il chiavistello
della stanza di Fiordalisi
serrarsi impaurito e indifeso.
Il grosso duca non cedeva,

quando nell’ aria un ronzio
come di mille api inferocite
s’ abbattè col dardo veneloso

del nobile Agilulfo.
E simil a montagna
il corpo dello duca
franò nel suo ultimo respito.

X
Il sangue dello duca,
si disperse confuso
in mille rivoli nerastri.

Agilulfo dagli occhi mossi,
si diresse impavido verso
la sua amata Fiordalisi
che da tempo lo attendea.

Ma la porta sbarrata era
per il tramestio di poco pria 
ed Agilulfo con forza la battea.

Madonna Fiordalisi,
son io Agilulfo il vostro amato
vi prego sul mio cuore ancor casto:
aprite questa rude porta,

ultimo ostacolo al mio amore.
Quand’ ecco che sulla soglia
la Madonna apparia

dagli occhi teneri e fragranti
impreziosita di profumi dolci
e luminose piccole labbra
che Amor attiravano.

Mio Agilulfo, 
per quante notti il vostro nome
indicavo alla bianca luna

affinchè mi restituisse
il mio nobile cavaliere.
A voi offro le mie lacrime
che per troppo tempo hanno il volto graffiato.

E in lacrime anche Agilulfo comparve
mentre si avvicinava a Fiordalisi
prendendole le mani

che appoggiarte aveva sulle guance sue.
Dal profondo del cor,
un tenero abbraccio
gettò nell’ oblio le traversie andate

Epilogo

Mia fedele penna,
che con inceder muto
seguisti le avventure del nobile Agilulfo

amica sincera e speranzosa
pronta a sostener ‘l passo mio.
Affido a te, mia delicata musa,

il dolce commiato
dal nostro caro
messer lettore.

 



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