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Le pentite

Creato il 13 dicembre 2011 da Malvino
La cronaca ci offerto di recente due storie che in apparenza avevano in comune il solo fatto che le protagoniste fossero ragazze minorenni. La prima, incinta, si è infine convinta fosse meglio abortire, ma solo dopo avere per un po’ insistito nel voler portare avanti la gravidanza contro il parere dei genitori, che la ritenevano immatura per diventare madre e si erano rivolti a un giudice per costringerla a piegarsi al loro consiglio, ignari che in casi come questi è indispensabile la volontà della gravida, anche se minore. La seconda, dopo aver perso la verginità, è stata presa dalla paura di doverne dar conto ai propri genitori, ai quali aveva promesso di mantenersi illibata fino all’altare, e ha pensato bene di inventarsi uno stupro di gruppo, per poi confessare di aver mentito, raccontando com’erano davvero andate le cose.Da questa breve sintesi delle due vicende ho volutamente tenuto fuori l’elemento che pure si è voluto intravvedere come comune a entrambi i casi, e sul quale si è maggiormente discusso, e cioè quello della xenofobia: nel primo caso, infatti, la ragazza era rimasta incinta di un ragazzo albanese e si è detto che in realtà questa fosse la vera ragione che muoveva i suoi genitori a chiederle di abortire; nel secondo caso, invece, la ragazza ha mosso la falsa accusa di stupro ad alcuni esponenti di una comunità di nomadi, provocando come reazione di solidarietà in suo favore una spedizione punitiva al loro accampamento.In entrambi i casi sembra aver vinto ancora una volta il pregiudizio xenofobico, ma non possiamo averne prova certa. Non sappiamo, infatti, se l’aborto ci sarebbe stato comunque, chiunque fosse stato a ingravidare la ragazza. Né sappiamo se una spedizione punitiva avrebbe comunque preso di mira la comunità di appartenenza dei presunti stupratori, indipendentemente dall’etnia. Direi che l’elemento xenofobico può aver avuto rilevanza, ma solo nel potenziarne un altro, che mi pare sia in entrambi i casi quello che ha dato impronta e senso agli eventi. Parlo del dovere che famiglia e società si danno nel decidere per il meglio della sessualità e della riproduttività di una donna, quando è minore, ma non solo, perché il corpo della donna non appartiene mai del tutto alla donna, ma è sempre, in qualche misura, un bene comune, alla difesa del quale è chiamato chiunque se ne dichiari responsabile, oltre ad esserlo, quando realmente lo è, per legge.In entrambi i casi si trattava di ragazze minorenni, in entrambi i casi i genitori avevano pieno diritto di dirsi responsabili delle figlie, in entrambi i casi la loro responsabilità prendeva diritto sul loro futuro di donne maggiorenni, in entrambi i casi le figlie hanno dapprima rifiutato e poi accettato quanto era stato deciso per loro. Piegandosi ad abortire, nel primo caso, e cercando di negare la propria responsabilità nella decisione di perdere la verginità, nel secondo, siamo dinanzi alla stessa resipiscenza: siamo dinanzi a due donne che, sebbene minorenni, potevano rivendicare il diritto di autodeterminazione, ma si sono limitate a rifiutare il ruolo che per loro era stato deciso come migliore, per poi farlo proprio. Per entrambe è possibile pentirsi anche di questo, ancora una volta. L’unica cosa che non è mai negata a una donna è il pentimento.

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