Quella mattina Alice faceva fatica ad alzarsi. Aprì gli occhi e si tirò sul letto. Non aveva voglia di andare a lavorare, ma non era una non voglia solita, era una non voglia che la trascinava verso il basso. Seduta sul letto e persa nei suoi pensieri.
Ci sono persone diverse dalle altre. Non migliori, non peggiore, solo diverse. Persone che vivono nel loro microuniverso con rari e vaghi contatti con il mondo. Persone che vedono gli oggetti della realtà non per quello che sono ma li spostano, vi guardano dietro, ci entrano dentro. Alice era una di queste. Potevi parlarle, ti avrebbe risposto ma i cassetti della sua mente erano così pieni di idee e di emozioni contrastanti che aprirli significava invadere non solo se stessa ma il mondo interno.
Alcune di queste persone diventano artisti. Imparano ad aprire piano quella porta, ad entrare nel loro mondo e a portare fuori una di quelle piccole scie luminose, dargli un senso, renderle note, musica, parole, poesia. La cosa difficile non è trovare la porta ma riuscire ad uscirne. Nessuno, però, resta illeso dal viaggio. Come ogni viaggio tra un mondo e l’altro c’è qualcosa che ti resta appiccicato addosso, un odore, un peso che ti trascina verso il mondo in cui sei stato.
Altri diventano anime in pena, trascinati tra un mondo e l’altro vi restano più del dovuto e al ritorno l’odore è troppo forte, si è appiccicato ai loro capelli, ai loro vestiti, non va via con nessun sapone. Restano lì, acquattati dietro la loro porta, guardano le scie luminose e origliano alla porta, sperando che qualcuno lì fuori si accorga che c’è una porta, che quello non è un tromp l’oil, c’è qualcosa che brilla tra le fessure.
Le persone normali, però, restano sull’uscio. Forse per paura, forse per pigrizia, forse perchè anche se aprissero quella porta non vedrebbero altro che buio. Quante volte Alice era restata lì e aveva sentito qualcuno respirare dietro quella porta, aveva chiuso gli occhi, si era abbracciata le ginocchia e aveva pianto lacrime di diamante, lacrime di speranza. Avrebbe aperto la porta? Avrebbe guardato dentro? L’avrebbe vista? Poteva già sentire il calore delle sue braccia che la cingevano, che la prendevano in braccio e la portavano fuori. Ma le persone tendevano a restare sulla porta, a non vederla e ad allontanarsi.
Anche quella mattina Alice sapeva di essere restata troppo tempo dentro quella stanza, si era addormentata con la speranza che lui aveva visto quella luce, che era pronto a salvarla e ad insegnarle ad aprire piano i cassetti per non restare sopraffatta dal loro contenuto. Ma lui non aveva chiamato. Così era restata a lungo dietro la porta fino ad addormentarsi e adesso aveva mal di testa e una cera bruttissima.
Doveva alzarsi, andare a lavoro, sorridere, fingere che tutto andasse bene, vedere gli amici, bere una birra. Almeno gli artisti traggono un qualche vantaggio dall’aver scoperto l’esistenza del loro mondo parallelo. Pensò mentre si truccava. Salì in sella alla sua “Tardis” la bicicletta azzurra che aveva ribattezzato in onore di uno dei mille telefilm che le tenevano compagnia.
La compagnia delle persone con la porta è la solitudine.