Se avete letto la breve storia di ieri (e se non lo avete fatto potete recuperare seguendo questo link) probabilmente vi sarete chiesti cosa potesse aver trovato il patriarca.
Vi dico subito che quanto narrato, seppur fantasioso nella forma, corrisponde effettivamente ad una pratica un tempo realmente diffusa nelle campagne di tutta Europa. Di tanto in tanto erano rinvenuti degli strani oggetti conosciuti con il nome di “pietre del fulmine”. Di cosa si trattava? Cosa erano? E soprattutto, qual era la loro origine?
Occorre dire innanzitutto che quelle pietre verdi (spesso di una tipologia sconosciuta nella zona del ritrovamento), perfettamente levigate in tutto o in parte, non erano prodotte dall’azione del fulmine. Si trattava invece di manufatti, ma realizzati in un’epoca così antica da risultare incomprensibili agli uomini più moderni.
Cos’erano dunque e a cosa servivano? Ebbene, alcune migliaia di anni prima di Cristo, gli uomini cominciarono ad abbattere le foreste per creare delle radure in cui piantare i semi dei loro raccolti. Per aprirsi un varco si servivano del fuoco, ma per abbattere gli alberi utilizzavano uno strumento tecnologicamente avanzato: lavoravano delle pietre di straordinaria durezza per ottenere delle lame taglienti. Fissate a dei manici in legno esse diventavano delle asce molto efficienti, capaci di abbattere una pianta in poco tempo.
Per realizzarle erano ricercate, nei fiumi e in giacimenti particolari, certe pietre generalmente di colore verde o scuro. Non essendo possibile lavorarle per scheggiatura come accadeva per le punte di freccia a egli altri strumenti in selce, le lame erano ricavate per levigatura. Ore e ore erano spese strofinando la pietra su una superficie abrasiva. E spesso l’intera superficie dell’oggetto era levigata, perché questi manufatti non erano solo utili, ma erano (e sono) considerati belli. Oggetti di prestigio, che sottolineavano uno status sociale, perché solo un capo poteva permettersi di esibire le asce più belle. Al punto che gli uomini si facevano seppellire con le loro asce, simbolo di virilità e potenza.
Migliaia di anni dopo, ma ben prima dell’epoca romana, questi oggetti potevano a volte essere rinvenuti casualmente. Ed essendosi persa completamente la tecnologia della levigatura della pietra, gli uomini abituati a usare manufatti di metallo cominciarono a pensare esse fossero non già prodotte dall’uomo, ma il risultato della caduta di un fulmine, l’unica forza naturale in grado di modificare la struttura di una pietra. E poiché si crede che un fulmine non cada mai due volte nello stesso posto, pensarono che seppellendole sotto i focolari si potesse impedire la caduta della folgore su di essi. Per quanto il principio fisico non fosse noto, l’osservazione empirica aveva infatti mostrato che i fulmini tendono a colpire i fuochi (è la colonna d’aria calda a creare “la strada”, se mi consentite l’imprecisione scientifica, al passaggio della corrente elettrica). E poiché attorno al fuoco si riunivano gli uomini, questi fenomeni potevano essere molto pericolosi.
L’uso di seppellire le asce neolitiche sotto i focolari continuò in epoca romana e oltre, fino alle soglie dell’illuminismo, quando fu chiara l’origine di questi manufatti. Qualcuno però, ancora oggi preferisce tenere le asce casualmente rinvenute sul caminetto, invece di consegnarle ai musei.
Sarà per via di un’antica superstizione? O c’entra qualche altro oscuro meccanismo della psiche umana? Lascio a voi la risposta.
Se volete approfondire l’argomento, domenica 10 si terrà una conferenza presso il Museo Archeologico di Arona in Piazza San Graziano alle ore 16,30, dal titolo “Mito, Magia e Storia della Pietra del Fulmine. Le credenze popolari nate dal ritrovamento delle asce neolitiche”. Il relatore è Daniele Rossi. L’ingresso è gratuito (info: 0322.231111).
Se invece volete scoprire cosa collega le pietre del fulmine ai fumetti, dovrete tornare a trovarmi domani…
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