L’Italia sotto ricatto russo
Il Premier italiano, Silvio Berlusconi, ha dichiarato che “lui non ha mai guadagnato niente dagli affari con la Russia” e che “ha sempre fatto gli interessi del Paese”, smentendo così le illazioni su presunti accordi privati tra lui e Putin. Ok, diamo per scontato che il Premier non abbia mai guadagnato niente dagli accordi con Putin, qualche dubbio però ce lo abbiamo sul fatto che abbia fatto veramente gli interessi del Paese.
Ci riferiamo in particolare agli accordi ENI-GAZPROM per la costruzione del gasdotto South Stream che di fatto ha affossato il progetto europeo del gasdotto Nabucco, rendendolo sostanzialmente inutile quando non dannoso. Passi che l’ENI faccia i propri affari e che nel gasdotto South Stream abbia visto una opportunità di guadagno che il Nabucco non gli dava, ma l’Italia cosa ci ha guadagnato da questo affare? Dov’è l’interesse nazionale citato dal Premier? OK, vediamo di trovare l’interesse per l’Italia o, al contrario, di vedere se affossando il Nabucco i primi a rimetterci sono proprio gli italiani e, con loro, gli europei.
Partiamo da una premessa, giusto per far capire a chi legge la complessa dinamica delle pipeline del gas. Il progetto South Stream, implementato da ENI e GAZPROM, permette di portare il gas russo in Europa saltando completamente l’Ucraina che tanti problemi ha dato negli anni scorsi (ricordate i rubinetti del gas chiusi per l’insolvenza dell’Ucraina con GAZPROM?). Quindi, tecnicamente parlando, il gasdotto South Stream è sicuramente utile. Tuttavia la stessa cosa si prefiggeva di fare il gasdotto Nabucco il quale avrebbe portato il gas russo in Europa attraverso la Turchia, la Grecia e fino a Vienna. In effetti quando parliamo di “gas russo” non usiamo un termine appropriato, dovremmo infatti parlare di “gas Kazako, Azero e Turkmeno” o al limite di “gas della GAZPROM”. Infatti il gas che la GAZPROM porta in Europa è in effetti quasi tutto estratto in Kazakhstan, in Azerbaijan e in Turkmenistan dove la GAZPROM lo acquista. Non che la Russia non abbia le sue riserve di gas, anzi, ne ha di sterminate, ma sono sotto i ghiacci del Mare del Nord e la spesa per l’estrazione sarebbe troppo alta. Per cui è molto meglio acquistare il gas da altri imponendo però il prezzo di acquisto in quanto monopolista (e la GAZPROM monopolista lo è senza dubbio). Il Nabucco poteva rompere questo monopolio in quanto avrebbe permesso ad altri (l’Europa per esempio) di acquistare il gas direttamente in Kazakhstan, in Azerbaijan e in Turkmenistan saltando completamente la GAZPROM e le sue pipeline.
E’ chiaro che il colosso energetico russo questo non lo poteva permettere, avrebbe avuto non solo la concorrenza nell’acquisto del gas ma avrebbe visto rompere anche il monopolio della distribuzione in Europa. Cosa fa allora? Cerca un partner per la costruzione del South Stream, cioè di un gasdotto che tarpi le ali al Nabucco. Solo che non ha bisogno di un partner qualsiasi che contribuisca alle spese, la GAZPROM ha le risorse economiche per fare qualsiasi cosa, anche un gasdotto costosissimo, no, ha bisogno di un partner strategico, un partner europeo che metta in difficoltà la costruzione del Nabucco. E qui entra in gioco l’ENI che vede nel South Stream una enorme possibilità di guadagno.
Tutto regolare, direte voi, rientra nell’ottica commerciale del profitto che ogni azienda ha il diritto di implementare. Verissimo, salvo per il fatto che improvvisamente l’Italia (intesa come Stato) decide di non aderire più al consorzio del Nabucco. Anche questa, direte voi, rientra nel novero delle scelte di politiche energetiche nazionali, l’Italia ha fatto una scelta che si differenzia da quelle europee. Vero anche questo, però…. c’è un però.
Se andiamo a vedere i pro e i contro dell’operazione South Stream e dell’operazione Nabucco possiamo trovare subito dei nei in quella implementata dall’ENI e dal Governo italiano. Innanzi tutto rimaniamo completamente dipendenti dal gas russo e quindi dalle bizze di GAZPROM e di ENI. Insomma, questi possono fare il prezzo che vogliono o, in casi estremi, chiudere i rubinetti. Detto in parole povere, l’Italia è sotto ricatto. E non è che si possa parlare di diversificazione dicendo che abbiamo anche le pipeline che arrivano dall’Algeria, non sarebbero sufficienti. Il secondo evidente neo è quello della differenziazione della politica italiana da quella europea. La scelta dell’Italia infatti taglia le gambe al progetto Nabucco. Costruire un gasdotto come il Nabucco, lungo 3.300 Km, costa infatti cifre da capogiro che potrebbero essere ammortizzate solo se l’acquisto di gas avvenisse a prezzi concorrenziali. Solo che a questo punto il consorzio che gestisce il Nabucco si troverebbe a competere con GAZPROM nell’acquisto di gas dagli Stati produttori, il che provocherebbe un innalzamento del prezzo con notevoli danni per gli utilizzatori finali (cioè noi) e per il consorzio di gestione del gasdotto. Ergo, non vale la pena costruirlo. In questo caso la scelta dell’ENI e del Governo italiano è stata fondamentale. Per cui, non solo l’Italia rimane succube della GAZPROM ma anche tutta l’Europa.
Bene, ora qualcuno potrebbe dire: cosa c’entra il Governo italiano con le scelte dell’ENI? C’entra, eccome se c’entra. Il Governo italiano ha fatto una scelta precisa, appoggiare il gasdotto South Stream invece del Nabucco, cioè ha coperto le spalle a ENI e a GAZPROM ben sapendo che poteva avere una alternativa economicamente più conveniente. La domanda è: perché lo ha fatto dato che non ci sono ritorni economici per il popolo italiano ma solo per l’ENI, per GAZPROM e per tutti quelli che ci girano introno? Chi sono quelli che girano intorno a GAZPROM e all’ENI?
Ecco, in un Paese democratico il premier dovrebbe rispondere a queste semplici domande e, se ci fosse una magistratura degna di questo nome, dovrebbe quantomeno aprire una indagine su questi quesiti, perché il punto è che, nonostante le smentite a voce (ben diverse delle smentite documentate), al momento nessuno può escludere che tra Putin e Berlusconi non ci sia un accordo privato per il controllo e l’egemonia della diffusione del gas in Europa. E in questo caso all’Italia non torna niente, anzi, ci ritroviamo ancora più dipendenti dalla GAZPROM di quanto non lo fossimo prima. Un’altra domanda da farsi è: chi controlla la politica energetica del nostro Paese? L’ENI (come sostengono gli alleati americani) o il Governo italiano? Anche in questo caso il Governo, se fossimo in un paese democratico, dovrebbe riferire in Parlamento e alla gente. Ma siamo veramente in un Paese democratico?
Roberto Delponte (Free Italian Press si può leggere qui - Grazie a Roberto Delponte per la chiarezza)