Gallipoli da (Wikipedia)
Stavo al Nobu di Milano, qualche tempo fa, insieme ad un amico salentino e abbiamo chiesto al maitre se conosceva “Le Pisciaconche”. “Pisciache…?”, hanno detto in coro gli altri camerieri che evidentemente avevano allungato l’orecchie.
Signori, Signori, innanzitutto contegno, dignità, professionalità. Via, via quelle bocche spalacancate, quegli occhi sbarrati, quell’aria da imbecilli fritti e rifritti. Voi siete del Nobu, vero?
Sissignore!!!
E allora non è possibile – dico io – che al Nobu ci sia questo servizio inqualificabile per il livello della griffe. Tra voi ci sono camerieri che assomigliano, con tutto il rispetto, a Rosy Bindi, e non sono in grado di offrire alcuna spiegazione dei piatti proposti.
E’ inaudito – aggiunge il mio amico – che non si sappia di un riccio di mare in tempura, peraltro presente in carta. Voi con aria più da ebeti che da strafottenti sostenete che, Caro Signore, ahimè, ahitè, ci dispiace, ma non è stagione di ricci di mare. S’informi, caro Signore, s’informi.
Ma ceccazzo dite?
Ma… Signore…si moderi, per favore!
Ovviamente, quel che voi affermate è una grossa minchiata degna degli asini bigi calzati e vestiti che siete. Intanto, se non è stagione , perchè allora lo lasciate nel menu?
E poi – please – basta un colpo di telefono a San Foca, a Porto Cesareo, a Porto Badisco, per non dire Gallipoli, che è la sacra patria dei ricci; al Riccio hanno fatto perfino un monumento, informatevi, per favore; e poi basta chiedere del mitico Pici Tappo, che suona danza e canta meglio di Fred Bongusto, e in giornata vi arrivano quanti ricci volete, con esclusione di maggio-giugno, s’intende, ma solo per fermo biologico.
Ma io non vi dico Gallipoli, – continua il mio amico – vi dico: “basta che andiate alle Pisciaconche“.
Pisciache?
Ma sì, sì, Pisciaconche, possibile che non capiate un ca***?
Ma Signore!
Tappatevi la bocca, please, carini, vi conviene. E lasciate perdere quell’urlo del nome all’ingresso, “Nobu!!!!!!”, che è davvero una cosa insulsa e penosa fatto da voi camerieri alla Rosibindi. Quel grido, a Londra, è tutt’altra cosa, è lanciato da camerieri eleganti, belli, allegri, simpatici, voi basta che vi guardiate allo specchio per sputazzarvi addosso da soli!
Ma Signore!!!
E poi quell’accoglienza alla reception, un manifesto di vaffanculo che si legge sui vostri volti da Pluto, sulle vostre labbra cascanti, nei vostri occhi da pesci fradici. Voi dite a me, a tutti i clienti, con la bocca chiusa, “Non te ne potevi stare a casa, brutto stronzo!…”, e questo – ve lo assicuro – è un grido che sentono tutti. Per non parlare dei piatti, uno peggio dell’altro, con certe zaffate di cipolla che non ricordavo dal tempo dei condomini degli sfollati degli anni cinquanta, e quel tè freddo versato in un bicchiere non ad hoc, è un vero insulto nel tempio di Armani, il più grande stilista italiano che ha inventato il rigore delle forme.
A Pisciaconche non ci sarà De Niro, nè Armani, nè Madonna, ma insomma è tutt’altra cosa.
Che c’è a Piscia….?
C’è un posto, amigo, che è un incanto. Il posto della pietra glabra caotica rocciosa tutta butterata , quella pietra è una silente quinta paesistica gettata sul mondo pastorale salentino.
Ecco Pisciaconche, il nostro posto delle fragole.
Il fondo campestre – è vero – è ormai sfigurato da un’edificazione mostruosa che guasta i filari degli uliveti e le arterie rotabili, gli sfilacciati sentieri, i terreni nudi e le acque di palude. Ecco Pisciaconche, riparo rustico, un varco tra le pareti che accoglie le amorose piante.
Ecco Pisciaconche dalla sobria sagoma, la netta architettura sull’architrave sormontato da una lucetta.
Ecco Pisciaconche, con l’ossatura della dimora assalita da cespugli di mirto e lentisco, una quinta arborea, un alloro che spicca per portamento e fa da sfondo al vecchio trullo.
Ecco Pisciaconche, l’inconsueto profumo del mirto e il fragore dei papaveri, che è stordimento, appagamento, e noi siamo come naufraghi nel tempo, naufraghi di un’altra civiltà.
Ecco Pisciaconche, un viottolo che il tempo ha cancellato, porzione macchiosa, residuo di boscaglia di lecci che lambiva la fascia marittima, varco tra gli arbusti, rigoglio di corbezzoli, mirto, rosmarino, ginestra spinosa, lentisco fillirea, alloro, e l’ erica rara.
Ecco Pisciaconche, con il suo substrato roccioso, ultima barriera di cristallo, salvaguardia di brani esaltanti, di smacchiamenti, dissodamenti, ultima coperta silvana.
Ecco Pisciaconche, macchia del pagliarone, superbo trullo, e possente muro a secco, segno limitaneo di forte semantica paesistica, maestroso sviluppo di arbusti vari.
Ecco Pisciaconche che è poesia (la poesia non si fa, la poesia siamo noi, diceva Carrieri).
Ma rieccoci al Nobu, il locale milanese di grande reputazione gastronomica, il posto ideale per trascorrere una serata chic, il luogo per essere visti, quello per vedere i Vip, le letterine, i calciatori, il locale degli uomini e donne famose, non c’è più spazio per la distinzione tra ristoranti di pesce o carne, tra quelli di cucina tradizione o di nuovelle cuisine, il cliente è al centro del mondo, pardon del locale.
Replay:
Il Signore vorrrebbe ricci di mare?…ahimè, Signore, non è stagione….
Vada a Pisciaconche, allora.
Pisciache…?