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“Le primavere di Vesna” di Ida Verrei

Creato il 14 ottobre 2011 da Patrizia Poli @tartina

“Le primavere di Vesna” di Ida Verrei

Vieni qui Vesna, profumata di monti, vieni e stringimi, regalami il futuro, regaliamoci il futuro, amore mio.

C’è chi scrive per andare via e chi scrive per tornare.  Ida Verrei scrive per tornare, per un risarcimento tardivo, per farsi cullare “dalla sicurezza di una bugia”.

Quando, mentre leggi, ti salgono le lacrime agli occhi più e più volte, sai che hai fra le mani un libro buono, un libro giusto, dove tutto è al suo posto, dalla memoria storica, alla ricostruzione d’ambiente – accurata ma mai pesante – alle scene montate con sapienza e maestria narrativa, ai dialoghi senza una sbavatura – colloquiali e letterari insieme – all’uso dei dialetti, alla psicologia dei personaggi, alla poesia, quasi mistica, del paesaggio, al linguaggio elegante e dal sapore antico.

Si vedono le vette scintillanti di neve, i lunghi sci di legno, i giovani montanari con i pantaloni alla zuava, si sente l’odore del terriccio sloveno attaccato ai gambi dei funghi, in questa zona di confine, selvaggia e mitteleuropea allo stesso tempo.  Nell’aria frizzante, fra i barbagli del nevaio, Liana si affaccia alla vita con la sua sfrenata voglia di godere e la capacità di auto proteggersi comunque, di dimenticare ciò che la fa soffrire, lasciandolo indietro.

Non è “una rinunciataria”, come lei stessa afferma con forza, con un sussulto di dignità, ma una donna che, semplicemente, sa scansarsi un poco più in là, quando la vita minaccia di travolgerla.  Sa tenere per sé le proprie convinzioni, sospendere i giudizi, purché la si lasci libera di seguire la sua natura che è sanguigna, semplice, amorevole.

Così non sarà la guerra a farle più male - la guerra che ti schiaccia ma che può anche far emergere risorse inaspettate e stimoli – non sono i monti aspri della Slovenia a soffocarla, bensì la luce vivida e troppo calda di Napoli, l’odore dei limoni strappati con le unghie per ritrovare una parvenza di umanità in mezzo alla famiglia del marito, che è un clan che avvolge e snatura, che impone regole, che indulge e protegge la vigliaccheria, che imbriglia l’amore e lo trasforma in disprezzo.

Fugge, Liana, si riprende quello che le rimane della sua umanità, fa riemergere, tramite il rozzo Manuel, l’istinto animale che era già esploso con Michele, che era stato sublimato dall’amore profondo per Giovanni.  Pur in un’esistenza abietta, infelice, Liana riscopre la sua forza, la corrente che la tiene legata alla realtà.  Sarà con un ultimo scatto di orgoglio, con un indennizzo tardivo e segreto che ella parteciperà, nascosta, al matrimonio della figlia, riprendendosi ciò che le spetta di diritto.

Perché Vesna, la primavera, ritorna sempre.   

Patrizia Poli


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