Magazine Cultura
L’Italia ha, il poco invidiabile primato, di essere il Paese delle Raccomandazioni. Ovviamente, non siamo gli esclusivisti mondiali di un sistema diffuso anche nei più evoluti contesti socio-economici. Il nostro specialissimo merito – se così possiamo definirlo – consiste nella capacità di applicare il sistema ad ogni aspetto della vita sociale, in ogni più piccola manifestazione della quotidianità. Chi di noi può dirsi totalmente estraneo al sistema della raccomandazione? In qualche modo, tutti ne abbiamo, prima o poi, usufruito. C’è chi, ad esempio, si fa raccomandare per scavalcare una lunghissima lista di attesa per sottoporsi ad un esame clinico urgente; c’è chi si raccomanda con l’allenatore della squadra di calcetto per far giocare il figlio tra i titolari; c’è chi si raccomanda per avere i biglietti della partita di Champions League; c’è chi si raccomanda per avere il certificato anagrafico dal comune senza dover fare la fila. Insomma, le raccomandazioni hanno un ampio spettro applicativo e non si limitano a quelle in ambito occupazionale, in qualche modo giustificate dalla penuria di lavoro di cui soffriamo endemicamente.
Anche negli anni del dopoguerra, lo ricorderete, le fortune dei politici erano costruite sulla loro capacità di far fronte alle richieste occupazionali provenienti da milioni di cittadini - soprattutto nel meridione - interessati a trovare un'occupazione nella pubblica amministrazione, la quale distribuiva, allora come oggi, retribuzioni molto basse ma permetteva di restituire, in contropartita, un impegno lavorativo, altrettanto scarso. Il sistema si reggeva, però, sulla sicurezza del posto di lavoro: insomma, quello che si definiva o’ post fiss. Quel tipo di lavoro che ti lasciava libero di poter continuare a curare l’appezzamento di famiglia da cui ricavare beni alimentari o una seconda attività artigianale che, spesso, si rilevava essere la prima ed esclusiva attività.
Qualche settimana fa, ho rivisto, sul canale RAISTORIA, un documentario realizzato da Ugo Gregoretti nei primi anni ’60. Vi si narrava la esilarante vicenda di un deputato calabrese. Al suo ufficio romano pervenivano centinaia di lettere da parte dei propri elettori, tutte contenenti pressanti richieste di raccomandazione. Quel deputato aveva perfino creato un’apposita struttura – composta di solerti impiegati - che si premurava di rispondere a tutti i questuanti. Per tutti, il deputato avanzava accorate richieste di assunzione, che indirizzava alle varie amministrazioni pubbliche. Questo sistema industrializzato, venne documentato da Gregoretti senza che il deputato avesse nulla da ridire. Anzi, come potete immaginare, la pubblicizzazione di quel sistema era per l’uomo politico un elemento di vanto. L’unica cosa su cui ebbe da ridire, peraltro, fu il fatto che nel documentario si vedeva il suo staff sedersi sulle buste, per garantirne la perfetta stiratura. Non era decoroso, infatti, che i questuanti venissero a sapere che le lettere di risposta, che essi trattavano come una reliquia, fossero state a contatto con i pachidermici deretani dei componenti il suo staff. Che pudore: roba di altri tempi!!!
In Italia, oggi invece, si è costruito intorno alla raccomandazione non solo un sistema di potere a fini clientelari. Si potrebbe dire, anzi, che la raccomandazione abbia assunto un ruolo antropologico-culturale, che affonda le proprie radici in un sistema valoriale sempre più decadente. In passato, il raccomandato acquisiva la possibilità di essere avvantaggiato perché garantiva - con tutto il suo parentado esteso – che avrebbe poi votato in eterno per il suo benefattore. Oggi, invece, si è imposta una ben più eterogenea serie di motivi (compreso la soddisfazione erotica del politico) che producono una degenerazione estrema di un sistema, di per sé anche in passato poco equo e corretto, ma ora addirittura devastante. Se nel recente passato, infatti, la raccomandazione era pur sempre odiosa e non giustificabile, oggi essa è palesemente distruttiva del buon funzionamento della macchina amministrativa pubblica. Oggi, non ci si limita ad avvantaggiare un competente sugli altri concorrenti, altrettanto competenti. Attraverso l’inserimento nei posti chiave di uomini pronti ad eseguire qualsiasi ordine, si creano i presupposti per il funzionamento del sistema corruttivo. È intuibile, infatti, che se a ricoprire un ruolo determinante viene chiamato qualcuno che non ne ha neanche lontanamente le capacità, costui sarà sempre pronto, da perfetto yesman, a rispondere positivamente a qualsiasi richiesta di chi lo ha favorito.
In sostanza, il raccomandato non è più un privilegiato che usurpa un diritto altrui (sempre gravissimo come fatto, ben inteso), ma molto più banalmente si è trasformato in un fortunato, che si presta ad essere accondiscendente strumento del sistema della corruzione. Quando so di non avere le competenze per occupare il ruolo che generosamente mi è stato affidato, sarò poco propenso ad opporre resistenza al malaffare, di cui finirò per essere pedissequo esecutore. Il Potere, quindi, non dispensa più prebende a fini clientelari, scegliendo un candidato fra i tanti che ne hanno le competenze, ma, anzi, sceglie quasi sempre il più incapace perché così si garantisce la sua cieca ed affidabilissima riconoscenza.
Ciro Pastore – Il Signore degli Agnelli
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