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Le ragioni dei postini: perché protestano?

Creato il 20 dicembre 2013 da Cassintegrati @cassintegrati

Negli uffici postali troviamo ormai quasi qualsiasi prodotto in vendita (dalla tecnologia, agli attrezzi di giardinaggio e persino gli scooter), ma la figura del postino rimane centrale. Quali sono le condizioni in cui lavorano queste persone nell’epoca della crisi? Perché protestano? Per capirlo, abbiamo fatto un passo indietro.

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Poste italiane, da quando è diventata una S.p.a. nel 1998, ha come suo unico obiettivo societario – è bene ricordarlo sempre – quello di fare profitto. E lo si è visto subito. Corrado Passera, primo amministratore delegato in carica fino al 2002, ha inaugurato una tendenza poi seguita e consolidata dal suo successore, in carica fino al 2011. Ha tagliato ben 22.000 posti di lavoro e ha permesso di liberare altri posti istituendo, con la complicità dei sindacati confederali firmatari, il Fondo di Solidarietà (2001). Un meccanismo perverso che ha consentito all’azienda di prepensionare lavoratori senza spesa alcuna per le proprie casse. Una vera e propria cassa integrazione interna, direttamente gestita dall’azienda e fatta pesare sulle casse dell’INPS e, soprattutto, su quelle dei neoassunti (i cui mille contratti atipici prevedono tipicamente un prelievo di solidarietà). Il sistema è talmente redditizio che, con grande soddisfazione dei sindacati confederali, è stato rinnovato ancora nel giugno di quest’anno in quanto ritenuto uno strumento molto efficace.

Dunque, anche se controllata al 100% dal Ministero dell’Economia (ma anche le ultime vicende di Fincantieri ci dicono cosa ciò significhi realmente), la società persegue il suo obiettivo di profitto a passo spedito e senza riguardo per i lavoratori. Vediamo qualche numero in sintesi. Gli utili netti di Poste italiane sono aumentati costantemente, fino a raggiungere più di 1 miliardo nel 2012. A fronte di ciò, sul lato del lavoro, sono costantemente diminuiti il numero di lavoratori, la qualità lavorativa e i salari. Nel 1998, i dipendenti erano 186.600 mentre nel 2012 sono arrivati, facendo la media annuale – cioè comprendendo gli stagionali e quelli che sono assunti con i vari contratti atipici –, a 144.000. Dal 1998 al 2006 il costo del lavoro è aumentato dello 0,6%, mentre il valore della produzione per dipendente – cioè, l’intensificazione dello sfruttamento sul luogo di lavoro e il relativo guadagno dell’azienda – è passato da 32.200€ a 61.900€ pro capite, con un incremento del 92,2% (fonte).

Insomma, l’azienda sfrutta sempre più i lavoratori che rimangono e questi subiscono, sotto il ricatto, un peggioramento della propria qualità di lavoro e quindi di vita.

I lavoratori non ci stanno

Di fronte a questi numeri c’è poco da essere felici, almeno dalla parte dei lavoratori. In opposizione ai sindacati confederali, sono ormai anni che i lavoratori si organizzano e lottano, col supporto del S.I. Cobas, per i loro diritti e la loro dignità. Ultimamente i loro scioperi sono aumentati per far capire all’azienda che non accetteranno passivamente la ristrutturazione annunciata: l’aumento di produttività, i tagli di zone, l’aumento dei carichi di lavoro, le finte esternalizzazioni, l’ampliamento dello strumento dell’assunzione stagionale, i nuovi tagli previsti dalla ristrutturazione, quasi 6.000 nuovi esuberi su tutto il territorio nazionale. Tutto ciò approfittando anche del fatto che il nuovo CCNL non è stato ancora firmato e che la bozza finora presentata ai sindacati confederali sia tutt’altro che a favore dei lavoratori: si propone l’introduzione “dell’istituto del conto ore individuale” e vengono più genericamente predisposte “nuove forme di flessibilità“.

Il S.I. Cobas Poste combatte da anni contro tutte queste politiche aziendali. Continua a indire scioperi mirati anzitutto contro quelle “prestazioni straordinarie e aggiuntive” che l’azienda butta sulle spalle dei lavoratori senza voler però assumere stabilmente e formare nuovo personale, poi anche contro quei poli di sfruttamento che sono gli Hub logistici, in questo caso quelli dell’SDA (azienda del gruppo Poste).

La loro lotta è dunque quella di tutti i lavoratori, nella consapevolezza che ogni spazio eroso ai loro diritti danneggia tutti gli altri.

di Clash City Workers | clashcityworkers.org

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