Vengo a trovare mia madre in puglia, e come da tradizione lei decide di prepararmi i panzerotti (ora per i non apulofoni un panzerotto è un calzone fritto, il destinatario di tale digressione prenda la definizione come puro artificio retorico… insomma; la definizione di “ammasso di idrogeno di massa tale da innescare una reazione di fusione atomica” non rende realmente l’idea di stella…). Il prosciutto cotto, di cui non vado matto, oggettivamente non è ingrediente essenziale della suddetta pietanza, ma lo è per la donna che mi ha concesso in comodato d’uso gratuito il suo utero per nove mesi, e data questa premessa non me la sono mai sentita di criticare la sua variante culinaria, ma anzi, oggi pomeriggio, fingendo entusiasmo, mi sono candidato ad andare a comprare il salume mancante, ma mia madre mi ha freddato ricordandomi la contingenza settimanale: giovedì. Si tenga presente che nel piccolo paesino in cui sono cresciuto il giovedì è sempre stato il giorno di chiusura settimanale degli esercizi commerciali, previsto immagino dallo statuto comunale o qualcosa del genere. No problem rispondo io, Mario Monti, decreto liberalizzazioni e tutto il resto; da oggi i negozi possono fare un po’ come cazzo vogliono. Salgo sulla materna Panda senza freni e la riporto in base mezzora dopo, a missione completata ma moralmente sconfitto: su circa una ventina di alimentari e supermercati era aperto un solo negozietto in una viuzza di cui ricordavo a stento l’esistenza. Ciò mi ha fatto pensare come sia difficile far cambiare qualcosa in Italia. Quarant’anni di immobilismo politico hanno atrofizzato il muscolo dell’iniziativa popolare, nonostante la gente chieda un cambiamento radicale diventa in realtà sempre più incredula e refrattaria a quei pochi e timidi tentativi di cambiamento. Non che personalmente penso che la liberalizzazione degli orari commerciali sia un bene, in realtà non mi sono fatto ancora un’opinione al riguardo, ma è innegabile che nel suo ambito sia un cambiamento più che sensibile. Altri due esempi; l’abrogazione di quei vincoli del decreto Pisanu che obbligavano un esercente a registrare i dati di un cliente qualora quest’ultimo avesse voluto usufruire di una connessione dati offerta dal commerciante stesso, secondo il legislatore la cosa doveva portare al decollo del wi-fi pubblico (ma motorizzato privato), voi avete notato qualche cambiamento? Girando per Roma con il mio smartphone e analizzando le reti presenti, visualizzo tanti di quei lucchetti che nemmeno a Ponte Milvio. Secondo esempio, e questo può davvero migliorare la qualità della vita di tante persone: la cedolare secca. Supponiamo che prendiate una casa in affitto, il padrone ha l’obbligo di farvi un contratto e registrarlo entro 60 giorni, se non lo fa, se fa orecchio da mercante ai vostri successivi solleciti, potete andare in una sede dell’agenzia delle entrate e denunciare la cosa, ci guadagnerete un contratto “d’ufficio” di quattro anni più quattro e un canone d’affitto calcolato in base al valore catastale dell’immobile, che in soldoni significa poco, molto poco. Ecco, ora provate ad andare in un’agenzia delle entrate di provincia e vedete cosa vi rispondono; ci hanno provato gli inviati de Le Iene qualche mese fa a Taranto, sentendosi rispondere che non ne sapevano niente, e di riprovare il giorno dopo, quando c’era un funzionario che forse sapeva qualcosa. Nei giornali e nei telegiornali di oggi l’ennesimo dato inquietante: in Italia ci sono tre milioni di persone che hanno smesso di cercare lavoro. E’ una cosa che avevo studiato all’università e che mi colpì profondamente; la mendacia del tasso di disoccupazione. L’indice in questione è ottenuto dal rapporto aritmetico tra le persone in cerca di lavoro e la popolazione in età lavorativa, e per persone in cerca di lavoro si intendono individui che in un determinato intervallo di tempo (ad esempio nell’ultimo mese) si sono impegnate attivamente nella ricerca di occupazione, ad esempio inviando curriculum, vagliando proposte o concorsi pubblici. Un tasso di disoccupazione così costruito non valuta il peso degli scoraggiati, ovvero di coloro che perdono la speranza di trovare un posto di lavoro pur avendone bisogno, anzi, una forte presenza di scoraggiati falsa, dopa, il tasso di disoccupazione, in quanto riduce il numeratore del rapporto. Insomma siamo un paese di scoraggiati, inermi come mezzelune ripiene di mozzarella e pomodoro, dopo aver fritto nella delusione politica aspettiamo senza curiosità chi sarà il prossimo a magnare, o a mangiarci. Cambiare è possibile, ma crederci costa troppa fatica, un tempo si diceva che sognare non costa nulla, è evidente che il futuro non è più quello di una volta.