Le relazioni umane sono archi tesi

Da Bruno Corino @CorinoBruno

Una relazione tra due agenti possiamo configurarla come una “corda tesa”, formata da tutti i possibili scambi interattivi tra i due. Le sue estremità sono costituite dai due agenti, che fanno da perno alla tenuta della corda. All’inizio, cioè al momento in cui i due agenti s’incontrano, possiamo ipotizzare che questa corda abbia una forma piuttosto “rigida”; soltanto dopo essere stata sottoposta a diverse piccole (talvolta, impercettibili) pressioni, la sua rigidità comincia ad allentarsi.

Immaginiamo che in un “punto” qualsiasi della corda uno dei due agenti eserciti una pressione leggermente più forte. La pressione esercitata in un punto provoca una tensione interna sulla corda, formando un leggero arco. La pressione si ripercuote, come una scossa, lungo tutta la corda, provocando delle tensioni/eccitazioni interne, che determinano un allentamento globale della stessa. Quando la pressione cessa, la corda torna al suo punto al suo punto di partenza, ma in quanto è stata sottoposta a delle pressioni, la sua rigidità non è più identica a quella ricevuta prima della scossa. Essa presenta una maggiore elasticità; è come se tutti i punti della corda avessero subito un processo di allentamento. La maggiore elasticità della relazione è data dall’area di oscillazione entro la quale adesso i comportamenti interattivi possano darsi. La nuova area di oscillazione determina dunque l’area entro la quale l’interazione può avvenire senza provocare ulteriori tensioni/eccitazioni interne.

Qualora uno dei due agenti volesse ripristinare la rigidità precedente della corda non gli resta che “tirare” uno dei suoi due poli, ma ciò implica una maggiore presa di distanza dall’altro. Il “tiraggio” della relazione non è privo di conseguenza, poiché l’allungamento della corda comporta sempre una tensione interna, vale a dire la maggior presa di distanza dal Sé altrui ha lo scopo di eliminare quell’area di oscillazione che la pressione precedente aveva creato. Lo stesso allungamento della corda è come se avesse reso la relazione più fragile o più sottile, per cui nella nuova circostanza ogni minima pressione esercitata fa aumentare notevolmente la tensione interna. A questo punto è sufficiente una piccola pressione per provocare una rottura definitiva della corda, cioè della relazione.

Quando, invece, la corda rimane allentata nei suoi punti, dopo aver subito delle piccole pressioni, per provocare un’ulteriore tensioni/eccitazioni non è più sufficiente esercitare delle pressioni identiche a quelle precedenti il suo allentamento. Quel tipo di pressioni è come se avessero, nella nuova situazione, perso di efficacia. Ormai la relazione si è come assuefatto a quel tipo di pressioni, per cui esse diventano del tutto prevedibili e prive di efficacia. Se uno dei due agenti vuole rendere ancora più elastica la relazione deve mettere in atto delle pressioni leggermente più incisive rispetto alle precedenti. E così via di questo passo. Ad un certo punto però, pressione dopo pressione, l’area dell’oscillazione diventa sempre più ampia, sino a toccare ambiti appartenenti a un altro tipo di relazione. Quando i punti toccano i confini di questo nuovo ambito, la relazione tra i due agenti ha subito una metamorfosi.

Il noto principio, secondo il quale ad ogni azione corrisponde una reazione uguale e contraria, nell’ambito dei rapporti umani non vale. La validità del principio potrebbe valere soltanto nell’ambito di un incontro unico o a sé stante. Nelle relazioni umane, lo stato di tensione/eccitazione subisce un incremento marginale. Vale a dire, ogni comportamento deviante, imprevisto o inatteso, all’interno di una sequenza interattiva di eventi, non ha un incremento costante e uguale: la tensione provocata in uno scambio interattivo precedente incrementa in modo marginale la tensione provocata nello scambio successivo. Ecco perché il momento della “scarica” di tutte le tensioni/eccitazioni accumulate negli scambi precedenti, può essere provocata da un’infrazione o da un momento inatteso di per sé insignificanti, ma se inserito nella lunga catena di tensioni/eccitazioni, l’ultimo atto assume un valore “liberatorio”. Il fatto è che il nostro sguardo rimane di solito affisso all’ultimo atto, e non riesce a risalire a tutta la catena degli eventi.

foto: flickr


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