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Le riflessioni di Rodotà fra le macerie della politica

Creato il 22 settembre 2013 da Giuseppe Lombardo @giuslom
Le riflessioni di Rodotà fra le macerie della politicaIn un paese abituato a distinguere guelfi e ghibellini, laici e devoti, fascisti e comunisti, berlusconiani ed antiberlusconiani, le semplificazioni sono all'ordine del giorno. Eppure c'è qualcosa di perverso nel circo mediatico se è vero, com'è vero, che le dichiarazioni dei personaggi pubblici, o almeno di una parte consistente di essi, possono essere piegate secondo le esigenze, ossia plasmate a dispetto del contesto. Per usare una metafora letteraria, per l'Italia di oggi Guareschi non basta più: abbiamo abbondantemente superato il confine della dicotomia politica imposta dai Peppone e Don Camillo, avventurandoci collettivamente - semmai - in un romanzo orwelliano, ove la libertà d'opinione si esplica solo in una gara di applausi verso il governo, una battaglia a suon di decibel durante la quale le note discordanti vengono dapprima isolate e successivamente relegate nell'oblio. L'ultimo esempio, in ordine cronologico, riguarda le parole pronunciate ieri da Rodotà in merito alle forme di protesta organizzate dai movimenti civici della Val di Susa.Premessa: lo Stato ha tutto il diritto di avallare il progetto di realizzazione dell'alta velocità, un progetto europeo certamente discutibile, poiché l'Unione stessa preme a livello comunitario per una riduzione del traffico gommato. Ciò detto, una classe politica seria, capace di interrogarsi sul benessere della polis e sul grado di felicità della cittadinanza, ha non il diritto, bensì il dovere di ascoltare le istanze che provengono dal basso, nel rispetto delle regole della democrazia. E' una questione insita nel contratto sociale, già sviscerata da Rousseau in poi, con buona pace dei garanti del principio "ordine e gerarchia".
Ebbene realisticamente, in quello scorcio di nazione, abitanti e istituzioni rappresentative si battono da anni contro un'idra dalle tre teste: palazzi romani, lobbies del settore e apparato tecnocratico di Bruxelles si muovono congiuntamente per accelerare il traforo. Di fronte a questo disastro ecologico, terroristi e violenti ad ogni latitudine richiamano miserevolmente alla memoria l'infelice stagione degli anni di piombo, mirando strumentalmente a cavalcare il disagio legittimo delle comunità locali per consentire alla lotta non violenta di compiere quel "salto di qualità" verso la lotta armata che essi ritengono indispensabile ai fini di una sovversione rivoluzionaria. Le sedicenti Brigate Rosse hanno diffuso un comunicato stampa manco fossero un gruppo parlamentare, invitando i residenti a non desistere.Innanzi a tale pericolo, Rodotà - da uomo serio qual è - si è interrogato intimamente cogliendo, sotto gli occhi dei lettori, gli elementi fondativi di un malessere sociale. Nel condannare il ricorso alle proteste illegali, considerate "deprecabili", ha invitato parimenti l'intero consesso istituzionale a riflettere sull'opportunità dell'opera. Secondo il giurista, infatti, l'eventuale offensiva extraparlamentare troverebbe plausibilmente terreno fertile, ma questo dato pericoloso, questa autentica minaccia, non deve "contribuire a derubricare la realizzazione dell'opera a una mera questione di ordine pubblico". E' necessario, invece, aprire una "riflessione politica più ampia sull'infrastruttura, a maggior ragione in un momento di fibrillazione sociale molto forte, in cui non sarebbe giustificabile un impiego consistente di capitali in un'impresa che rischia di rimanere sospesa".Apriti cielo, il mite candidato al Colle del Movimento 5 Stelle è stato linciato dalla stampa bene e da un esercito di perbenisti. Opinionisti vicini all'area italoforzuta si sono mossi invocando lo scalpo del cattivo maestro ed osteggiando l'era dell'eskimo in redazione. Perfino Bentivoglio Angelino, ministro della Repubblica italiana, ha avvertito l'esigenza di intervenire formalmente per censurare le parole dell'intellettuale. Parole che, a dispetto dei giudizi grezzi, appaiono ad un'analisi approfondita di totale buonsenso.
Ma come si fa a imporre la realizzazione di un'opera senza tenere in considerazione preliminarmente la volontà dei cittadini interessati? Come si può equiparare un'azione di protesta a tutela dell'ambiente col tentativo infimo di trasformare quel territorio in un campo di battaglia? Un governo di larghe intese non dovrebbe porsi domande attorno agli input provenienti dalla società civile? O dovrebbe sacrificare tutto, ancora una volta, al Dio della stabilità, un Dio distante che pretende sempre più spesso altarini d'impunità e torri d'Avorio di meschinità?Le riflessioni di Rodotà fra le macerie della politica

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