Un problema angustiava il Grande Tessitore. Per anni aveva lavorato nell’ombra per creare le condizioni per rendere possibile quello che migliaia di cospiratori in tutta Italia attendevano.
Aveva ottenuto l’attenzione dei Grandi d’Europa inviando i soldati del piccolo regno di cui era Primo Ministro a combattere una guerra ai confini dell’Asia. Aveva stretto accordi segreti con l’Imperatore dei Francesi, promettendo cessioni territoriali dopo la vittoria e dandogli un piccolo anticipo. Gli aveva infilato nel letto un’incantatrice, una sua affascinante cugina, che aveva saputo sedurre l’Imperatore e guadagnarlo alla causa del piccolo regno.Aveva anche riarmato l’esercito, il cui nerbo era costituito da montanari e contadini perfettamente addestrati e disciplinati il cui motto era “non ti muovere”. Ed erano davvero capaci di non muoversi di un metro, di non cedere posizione nemmeno davanti alla carica della cavalleria, scaricando una scarica di fucileria dopo l’altra prima di andare all’attacco con le baionette inastate.Tutto era pronto, insomma, salvo un piccolo dettaglio. La condizione perché la Francia scendesse in guerra a fianco del Piemonte contro l’Austria era che fosse questa la prima ad attaccare. Ciò presentava tre problemi. Innanzitutto tra l’esercito alleato francese e il Piemonte, c’erano di mezzo le Alpi, il che implicava che per alcuni giorni o settimane i Piemontesi avrebbero dovuto cavarsela da soli.Purtroppo però la disparità di forze militari era a sfavore dei Piemontesi, che erano numericamente soverchiati dagli Austriaci e da soli sarebbero andati incontro alla sconfitta, come a Novara nel 1849. Infine la distanza tra il confine, il fiume Ticino, e la capitale del regno, Torino, era di un centinaio di chilometri, distanza che poteva essere percorsa in breve tempo.Il risultato di questa equazione era uno solo: gli Austriaci avrebbero raggiunto la capitale prima dell’arrivo degli alleati. Un disastro insomma...
Così Camillo Benso, conte di Cavour, consumava nervosamente le piastrelle del pavimento, senza trovare una soluzione al problema, finché questa non gli arrivò sulla scrivania sotto forma di una relazione firmata Noé…Avete capito bene, la relazione era firmata proprio Noé, ma quello non era uno scherzo e questa che vi sto raccontando è una storia vera. Se volete conoscere la soluzione a questo mistero dovrete continuare a leggere con attenzione, però.Dicevo, la relazione era firmata Noé. Il signor Carlo Noé. Anzi l’ingegner Carlo Noé per la precisione. Naturalmente è inutile che vi dica in quale specializzazione si era laureato Noé… Non ci arrivate? Suvvia, in ingegneria idraulica, chiaramente, presso la Scuola di Applicazione per Ingegneri di Torino. Quello che oggi si chiama Politecnico, per intenderci.Insomma, l’ingegner Carlo Noé, nato a Bozzole Monferrato, in provincia di Alessandria, nel 1812 mandò a Cavour una sua relazione con cui forniva la soluzione al problema che tanto angustiava il Primo Ministro. Era possibile lasciare che l’Austria dichiarasse guerra al Piemonte e che le armate austriache non arrivassero a Torino prima che i Francesi avessero attraversato le Alpi. Non fate gli spiritosi! Carlo Noé non aveva inventato la macchina del tempo. Né, tanto meno, aveva inventato una straordinaria arma segreta. La sua ricetta era semplice, lineare, poco costosa, facile da attuare e, soprattutto, di una efficacia spaventosa.
Cavour diede immediatamente ordine di chiamare Noé e gli affidò pieni poteri per la predisposizione del suo piano. Nel frattempo organizzò le cose in modo che l’Austria dichiarasse la guerra.
Così accadde. Gli austriaci varcarono il Ticino e dilagarono nel Novarese senza incontrare resistenza. I Piemontesi non davano battaglia, cedendo terreno al nemico, che sentiva di avere la vittoria in mano.Finché Noé non diede l’ordine di scatenare contro l’invasore il peggior nemico di ogni esercito della storia: il fango. Tra il 25 ed il 29 aprile 1859 Noé provocò una vera inondazione allagando il territorio tra la Dora Baltea e la Sesia, facendo sbarrare i canali d’Ivrea, di Cigliano e del Rotto. L’acqua dei canali, sommandosi a quella che già riempiva le risaie trasformò tutta la piana risicola del Vercellese in un’immensa palude.L’esercito austriaco provò ad attraversare quel lago, ma letteralmente vi sprofondò. Uomini, cavalli, carri, cannoni affondavano nel fango e occorrevano sforzi immani per avanzare di pochi metri. Inoltre i ponti e le strade, tagliate da abili guastatori, diventavano altrettanti trabocchetti sotto quella superficie liquida e sempre uguale. In breve i comandi austriaci compresero che non sarebbero mai arrivati a Torino e diedero l’ordine di invertire la marcia.Nel frattempo i Francesi avevano potuto passare le Alpi e congiungersi ai Piemontesi. Noé diede ordine di fermare l’inondazione e ripristinare chiuse e strade per permettere l’avanzata dei franco piemontesi che a Magenta, il 4 giugno 1859, sconfissero gli Austriaci, costringendoli a ripiegare verso la Lombardia, dove, pochi giorni dopo, sarebbero stati battuti definitivamente il 24 giugno nella sanguinosa battaglia di Solferino e San Martino.Il risultato di quelle battaglie fu la liberazione della Lombardia dal dominio straniero, seguita, nei mesi seguenti, dalla rapida unificazione dell’Italia.