di Giacomo Pagone
Non dimenticherò mai il profumo dei muffin appena sfornati il venerdì sera. Il venerdì era la serata del bridge, o della canasta. Non ho mai capito i giochi di carte.
Quella sera arrivavano a casa Mrs Evans, Mrs Smith e Miss Betty, la vecchia zitella, perpetua del prete cattolico del quartiere. Per quella serata di giochi Mrs Potter, la proprietaria di casa, preparava sempre i muffin e un the caldo, ideale per lasciarsi alle spalle il freddo pungente di un inverno londinese.
La casa, a due piani, in perfetto stile vittoriano, con tanto di bow window al piano inferiore, si trovava nell’affollatissimo quartiere di Soho, nel centro di Londra.
Mrs Potter era una anziana signora dai grandi occhi dolci, ingigantiti, ancora di più, da un paio di vecchi e logori occhiali da cui non si separava un solo attimo della giornata. Con il sopraggiungere dell’età aveva deciso che non sarebbe stato prudente azzardarsi a fare le scale per andare in camera da letto, al piano di sopra, e allora la soluzione era stata quella di stabilirsi nella piccola stanza da letto al pian terreno – che, come mi disse un giorno, era stata la stanza di uno dei suoi figli – affittando le stanze del piano superiore a coppiette innamorate in luna di miele, a turisti o ad altre persone che non si fermavano mai per più di una settimana.
Così, le serate del venerdì servivano per strappare le quattro vecchie amiche alla solitudine, per assaggiare i meravigliosi dolci di Mrs Potter e per tenersi aggiornati sugli ultimi pettegolezzi raccontati da Miss Betty. Mentre l’allegra combriccola sussurrava, rideva e si divertiva sul tavolo del salotto, io, dimenticato, riposavo sul divano, davanti al vecchio televisore in bianco e nero, e riprendevo vita con il calore emanato dal consolante camino in pietra, senza ombra di dubbio il mio migliore amico.
Ogni venerdì il tempo si fermava in quella casa, la pioggia o il vento smettevano di esistere e di essere un problema, le lancette dell’orologio dimenticavano di segnare le ore, ed il mondo si cristallizzava in attesa che si consumasse la serata in quel salotto logoro ma pieno di calore umano.
Ero in debito con Mrs Potter, era stata lei a farmi entrare in quella casa, mi aveva accolto come un figlio, senza chiedere nulla in cambio. Mi aveva visto di fronte la sua casa, affamato, mentre cercavo vanamente un posto all’asciutto dove riposare le mie stanche membra. Lei mi aveva fatto entrare, dicendo di mettermi vicino al camino per riscaldarmi. Non aveva dovuto ripeterlo due volte. Quando il calore stava pian piano ridonando vita al mio corpo, lei si era presentata con del latte fumante.
“Questo ti aiuterà a riscaldarti più velocemente” mi disse.
Da quel giorno non avevo più messo il naso fuori da quelle mura così ospitali, e nemmeno avevo mai desiderato farlo. Passavo le mie giornate tranquillamente, al riposo. La mattina arrivava Helen, la gentile signora della casa accanto che portava a Mrs Potter la spesa, per poi fermarsi a prendere un the e a far quattro chiacchiere riguardo i suoi bambini, l’ultimo libro letto o i suoi problemi. Mrs Potter annuiva interessata e si rattristava non appena sentiva i problemi economici della giovane famiglia, ma la tristezza durava solo il tempo di ascoltare l’ultima marachella dei figli di Helen, e allora sì che scoppiava a ridere di gusto! Quando, invece, c’erano pensionanti, Mrs Potter chiamava Molly, un donnone tuttofare che si occupava di cucinare e pulire le stanze e la casa.
Il pomeriggio guardavo sempre Mrs Potter ricamare ascoltando la vecchia radio che gracchiava un programma di musica classica. Il suono ne usciva terribilmente distorto, ma questo non sembrava dar fastidio all’anziana signora.
“Chopin è sempre Chopin” mormorava.
La notte, invece, dormivo sul divano del salotto, ma Mrs Potter si assicurava che avessi sempre una coperta calda.
I giorni passavano lentamente, e a me stava bene così. Avevo avuto una vita talmente avventurosa e sfortunata che quella quiete estrema non poteva che farmi bene. Avevo preso qualche chilo, ma la stessa Mrs Potter diceva che era meglio così, perché quando ero arrivato in quella casa ero “veramente scheletrico”, come amava sempre ripetere.
Un giorno, quando, ormai, erano passate un paio di settimane dal mio ingresso in quella casa, mentre ricamava una sciarpa, Mrs Potter si interruppe d’improvviso. In tv davano un vecchio film con Cary Grant, ma lei ascoltava solo le parole, troppo concentrata sul suo ricamo. Mi guardò come se mi vedesse per la prima volta, quindi sorrise.
“Avresti qualcosa in contrario se ti chiamassi Mr Potter, come il mio defunto marito? E’ una cosa strana, lo so, ma io lo amavo molto, ed il solo sentirlo nominare mi scalda il cuore”
Nella mia vita passata, avevo avuto tanti nomi e, forse, tante vite, per cui un nome era come una goccia di pioggia sul vetro della finestra vittoriana di casa di Mrs Potter: incredibilmente uguale a tutte le altre. Fu così, dunque, che da quel giorno diventai Mr Potter.
In realtà, i venerdì sera io li detestavo. Forse, col tempo, mi ero affezionato tanto a quella donna da essere geloso delle sue stesse amiche, ma lentamente riuscì ad adattarmi agli sproloqui di Mrs Smith, ai noiosi pettegolezzi di Miss Betty, sempre riguardanti gli scandali di corte o del mondo dello spettacolo, e al sentire recitare le ricette di Mrs Evans che, ogni settimana, si autoproclamava la “regina delle cuoche”.
Tuttavia, alla mia anziana signora sembrava piacere quella strana atmosfera, e a me andava bene così. Il televisore, dimenticato dalle quattro amiche continuava a trasmettere film di ogni tipo, anche se io ben presto scivolavo nel sonno, accompagnato dal tepore del caminetto.
A fine serata, prima di congedarsi, era d’obbligo un bicchiere di sherry, da accompagnare all’ultimo boccone dei muffin. Era un rito che aiutava le tre donne a gettarsi nel freddo invernale per tornare a casa e Mrs Potter a trattenere più a lungo il sapore di quella serata. Appena la padrona di casa apriva la porta, e salutava le vecchie amiche, il mondo tornava a vivere, le lancette riprendevano a girare, misurando, impietose, lo scorrere del tempo.
Mrs Potter, tuttavia, ne aveva già visti molti di giri di lancette in vita sua, ed il suo tempo su questa terra era ormai prossimo ad esaurirsi. L’unico suo rimpianto era non aver potuto passare più tempo vicino alla sua famiglia. I suoi figli vivevano fuori Londra e non venivano mai a trovarla. Era tanto tempo che voleva vedere i suoi nipotini, ma doveva sempre accontentarsi di sentirli qualche volta al telefono. Per fortuna, diceva, c’eravamo io ed Helen, la quale ogni tanto portava i suoi figli dall’anziana signora e non mancava mai di invitarla a pranzo o a cena se c’erano da festeggiare compleanni o altre festività. Tuttavia Mrs Potter declinava sempre gli inviti. Era come prigioniera di un incantesimo e quella casa era il suo robusto scudo grazie al quale sfuggiva ai dardi avvelenati del tempo.
Al tempo, però, non si può sfuggire in eterno, e Mrs Potter se ne andò via con l’ultimo soffio del vento invernale, proprio quando la natura torna a fiorire e a raccontare una nuova vita ed una nuova storia.
Il giorno del funerale, dopo la funzione, la vecchia casa era semi vuota: oltre a me e a Helen, c’erano Molly, Mrs Evans, Mrs Smith e Miss Betty. Le tre amiche piangevano lacrime sincere e Mrs Evans sedette al pianoforte per dedicare alla sua amica il “Notturno” di Chopin. In cucina incontrai due uomini che parlavano con il prete riguardo al trovare un acquirente interessato alla casa. Immaginai fossero i due figli di Mrs Potter. Erano soli, non avevano portato le loro famiglie. Nemmeno quel giorno. Li odiai a tal punto da star male, avrei voluto urlare, insultarli, ma non sarebbe servito a niente. Nessuno fece caso a me, così, lentamente, entrai nella stanza di Mrs Potter e andai a stendermi sul suo letto con le coperte rosa.
Pochi giorni dopo, Helen, che nel frattempo si era presa cura della casa e di me, le tre vecchie amiche e i due figli di Mrs Potter, stavolta con mogli al seguito, presenziarono alla lettura del testamento. Il notaio sedette sullo stesso tavolo dove, il venerdì sera, scorreva la vita.
Io rimasi in disparte, anche se non così lontano da non udire le ultime volontà di Mrs Potter. Dopo un breve preambolo in cui spiegava che quel testamento gli era stato consegnato dalla stessa Mrs Potter, tempo addietro, il notaio si accinse ad annunciare il lascito della vecchia signora.
“Mrs Potter” disse “lascia la somma di 30 mila sterline ai suoi figli ed ai suoi nipoti. A Mrs Evans, Mrs Smith e Miss Betty lascia le carte da gioco antiche, con la speranza che continuino ad usarle e a – cito fedelmente – spettegolare in memoria dei bei vecchi tempi” e dicendo ciò sorrise a Miss Betty, la quale era scoppiata in un disperato pianto dopo aver udito quelle parole.
“Infine” proseguì, “ella stessa scrive: ‘lascio la casa, ed ogni bene contenuto in essa, al mio caro Mr Potter che mi è stato accanto per tutti questi anni’…”
“Ci deve essere un errore, nostro padre è venuto a mancare tanto tempo fa, non può essere così” replicarono all’unisono i due figli di Mrs Potter, interrompendo la lettura.
“Nessun errore, miei cari signori, questa è stata un’aggiunta fatta pochi anni fa da vostra madre in persona. Credetemi, non potrei mai dimenticare una simile vicenda” aggiunse il notaio reprimendo un beffardo sorriso.
“Mr Potter, mio padre, è morto più di dieci anni fa” tuonò uno dei due figli, sentendosi, ora, preso in giro.
“Mio caro signore, se mi fa terminare la lettura capirà che il Mr Potter in questione è vivo e vegeto ed è…”
“Lui!” era stata Helen, stavolta, ad interrompere la lettura del testamento. Tutti la guardarono senza capire, quindi seguirono il suo braccio teso che indicava me.
“Cosa? Lui? Mr Potter è lui? Mi prende in giro? Mia madre non era nel pieno delle sue facoltà mentali quando…”
“Le garantisco che era sana di mente, così come fermamente convinta di lasciare la propria casa a…”
“Ad un gatto?”
Il notaio sorrise e annuì. Era così, Mrs Potter aveva lasciato a me la sua casa. Si era vendicata dell’abbandono da parte dei figli e mi aveva dimostrato il suo grande amore permettendomi di continuare la mia vita domestica.
“Sta scherzando, vero? E, sentiamo, come potrebbe, un gatto, gestire una casa?”
“Ovviamente non può farlo. Ed è per questo che vostra madre ha nominato la signora Helen Grey come tutrice dei beni di Mr Potter. La signora Grey e la sua famiglia si trasferiranno da subito in questa abitazione. Inoltre, un’ultima clausola spiega che quando anche Mr Potter verrà a mancare, la titolarità della casa passerà di diritto alla signora Grey”
“Oh mio Dio” sussurrò Helen, portandosi una mano alla bocca, incapace anche di riuscire a credere che molti dei problemi economici della sua famiglia sarebbero finiti, una volta abbandonato l’appartamento in affitto in cui vivevano.
Inutile dire che i due figli e le rispettive mogli uscirono da casa urlando e minacciando azioni legali che, come spiegò il notaio, non sarebbero servite a niente, perché lui stesso avrebbe potuto testimoniare la sanità mentale della defunta Mrs Potter, al momento della redazione del testamento.
Così, dopo aver personalmente riaccompagnato le tre vecchie amiche di Mrs Potter a casa, dal momento che sole non avrebbero potuto fare un solo passo, scosse come erano da grasse risate che avevano fatto spuntar loro le lacrime agli occhi, anche il notaio si congedò.
Helen rimase a fissarmi, incapace di dire alcunché, quindi si chinò su di me, mi prese in braccio, mi strinse forte contro di lei e pianse calde lacrime di gioia.
Il giorno dopo, Helen e i suoi cari iniziarono a portare in casa i loro averi, la loro storia. Da quel giorno iniziò per me un’ennesima vita. Stavolta, però, ero sicuro che sarebbe stata come la volevo io, e che, ancora una volta, dovevo ringraziare Mrs Potter per questo. Quello che i figli di Mrs Potter non capiranno mai è che lei non mi considerava solo un gatto, ma un compagno di vita. E alla fine anch’io avevo smesso di pensare a me come ad un gatto.
Più di tutto, però, mi ero, ormai, convinto di una cosa: un nome, il mio nome, non era più una goccia di pioggia simile ad altre mille. Un nome è la storia che racchiude, ed in questo caso non avrei potuto essere più felice di raccontare la mia storia con due semplici parole: Mr Potter.
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