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Le squadre che hanno fatto i mondiali

Creato il 09 febbraio 2014 da Lundici @lundici_it
Socrates of Brazil

1982 Brasile: L’isola che non c’è

“Mi raccomando: dovete battere l’Argentina!”
“Signora, faremo il possibile. Magari, in uno stile diverso dal suo”
Dialogo tra Margaret Thatcher e Giovanni Spadolini, a margine di un incontro della CEE, 28 giugno 1982

Le premesse

E poi arrivò il Mundial che a quelli della mia generazione cambiò la vita. C’è un pre-’82 e un post-’82. Chiunque di noi teenager di allora è in grado di dirti con precisione dov’era l’11 luglio 1982, ciascuno ti dirà che si ricorda la sensazione provata al terzo gol di Rossi come se fosse ieri. Ma andiamo con ordine.

Tejero, la prossima volta, quando vai a fare il golpe, procurati un cappello decente.

Tejero, la prossima volta, quando vai a fare il golpe, procurati un cappello decente.

1982, si va in Spagna, una Spagna uscita non molto tempo prima dal Franchismo per la via più definitiva: alla fine del ‘75 il vecchio Franco ha finalmente deciso di tirare le cuoia e la Spagna da quel momento, tra movida e qualche isolato tentativo golpista da zarzuela, ha deciso di darsi alla pazza gioia, liberandosi tutto in una volta di quello che si è tenuta dentro nei 40 anni di repressione.

A proposito di repressione, ci si era lasciati in Argentina in piena dittatura dei generali e ancora all’Argentina e ai suoi generali tocca accennare. Da marzo 1982, due nazioni partecipanti ai mondiali sono in guerra (guerra vera, dichiarata). Argentina e Inghilterra stanno combattendo la tragicomica Guerra delle Falkland/Malvinas (“Galtieri took the Union Jack”), per il controllo di due isolette con 2mila abitanti e qualche pecora nell’emisfero australe. La Gran Bretagna non sa che farsene e vorrebbe liberarsene una volta per tutte, ma la popolazione locale, anglofona e intimorita dal ritorno sotto il dominio argentino, non ne vuole sapere. L’Argentina dei generali ormai in pieno tracollo economico, si gioca l’ultima carta per mantenere il potere occupando le isole, che ogni argentino (che sia di destra o di sinistra, che sia al potere o esiliato), sente come proprie. Ma beccano male, perché nel frattempo in Gran Bretagna la Premier Margaret Thatcher ha gli stessi problemi di consenso dei generali argentini e il suo stesso partito sta già facendo il casting per sostituirla. Maggie prende la palla al balzo, capisce che è una grande occasione per far vedere che lei ce l’ha ben più lungo di qualsiasi generale argentino e reagisce come nessuno avrebbe immaginato. Nasce lì, in questo posto in culo al mondo e in una guerra assurda il mito della Lady di ferro, che tanti danni produrrà. Per inciso, neanche 10 anni dopo, grazie alle royalty sui diritti di pesca nelle loro acque, le Falkland diventeranno l’angolo più ricco di tutto il Commonwealth (per dirne una, nella unica scuola media di Port Stanley, l’aula di musica contava 12 pianoforti Stainway Gran Coda per 10 studenti complessivi).

Ma lasciamo questi mari freddi e torniamocene nella sunny Spain, che accoglie per la prima volta il Mundial. Un Mundial nuovo di zecca: prima edizione a 24 squadre, 52 partite e – vivaddio, ci voleva tanto? – ci saranno le semifinali!

La formula è di molto particolare: primo turno con sei gironi da quattro squadre, seconda fase a cui accedono le prime due di ogni girone, ripartite a loro volta in quattro gironcini da tre, tutti contro tutti. Le prime di ciascun girone della seconda fase vanno in semi, da cui usciranno le finaliste.

Qui ch’i i’era

C’erano gli argentini, campioni in carica con in più Diego Armando Maradona, ma un po’ invecchiati (Diego a parte, appena ventenne), un po’ dilaniati da polemiche interne e, forse, anche un po’ con la testa altrove (Osvaldo Ardiles viene raggiunto in ritiro dalla notizia della morte del cugino, tenente dell’Aeronautica in servizio alle Falkland), non appaiono così pericolosi. Poi ci sono i soliti: l’Italia di Bearzot che riaggrega il Pablito Rossi scoperto in Argentina ed appiedato da due anni dalla dura squalifica per il Calcioscommesse, e che ha contro non solo l’intera stampa nazionale, ma anche i vertici federali; i crucconi campioni di Europa in carica, che hanno compiuto un bel ricambio rispetto a quattro anni prima, ma hanno un centravanti (nonno Hrubesch), e un libero (neuro Stielike), che da soli fanno l’età dell’intera rosa di El Salvador. Poi c’è la Spagna padrona di casa, in anni in cui a dominare il campionato è un club basco, la Real Sociedad di San Sebastián (o Donostia, che poi Koda mi leva il saluto) e che piazza i suoi gioielli in nazionale a partire dall’attesissimo portiere Arconada (o Arkonada, che poi Koda etc…).

Vi giuro che io del centrocampo del Brasile ’82 non saprei proprio chi scegliere!

Vi giuro che io del centrocampo del Brasile ’82 non saprei proprio chi scegliere!

Chi altri? Un po’ di abbonate delle ultime edizioni: Polonia, Francia, Perù, Austria, Scozia. Torna l’Inghilterra. Ci sono squadre con buoni pronostici, anche se si sa che non potranno arrivare in fondo: il Belgio vice-campione europeo, la Jugoslavia e l’Ungheria, che hanno fatto vedere cose egregie nelle qualificazioni, ma che invece si squaglieranno presto, e l’URSS, bella solida.

Infine, l’allargamento delle partecipanti a 24, fa entrare le squadre del Third World calcistico: le centramericane El Salvador e Honduras, Camerun e Algeria, Kuwait e Nuova Zelanda.

Ma i pronostici sono a senso unico: tra marzo ed aprile 1982 il Brasile di Zico e Falcao fa una tournée di amichevoli in Europa e lascia a bocca aperta: 3-1 passeggiando sulla Francia al Parco dei Principi, 2-1 sulla Germania, 1-0 a Wembley.

Una squadra che a guardarla giocare non capisci quale giocatore ti faccia sbavare di più, come ad una sfilata di Victoria’s Secret.

La squadra che affascina il mondo e che deve portarsi a casa la Coppa, è il Brasile di Telè Santana. Non ci riuscirà e ancora oggi non ci si riesce spiegare come sia stato possibile.

Qui ch’i ign’era

Ah, a proposito: dopo due finali consecutive, si chiude malinconicamente il ciclo della Grande Olanda, eliminata da una giovine e sbarazzina Francia. L’Olanda tornerà ai mondiali solo nel ’90. Sic transit.

Come va il mondiale

Ma come volete che vada? Si inizia subito con una “sorpresa” alla partita inaugurale, quando il Belgio batte i campioni del mondo in carica. Nello stesso girone, si assiste alla più sonora batosta della storia delle fase finali, con l’Ungheria che dà 10-1 al Salvador. Alla fine, un Belgio in progressivo calo e un’Argentina in disarmo riusciranno comunque a passare il turno.

Altra grossa quanto annunciata delusione è la Spagna, che passa il turno grazie ad arbitraggi di regime, ma riuscendo comunque nell’impresa di pareggiare con l’Honduras e perdere con l’Irlanda del Nord, che l’accompagna al secondo turno.

Bene l’Inghilterra, con tre vittorie su tre e un 3-1 alla Francia che fa registrare il nuovo record di ejaculatio precox del mondiale (Robson, 27’’). Qui, si assiste alla barzelletta dell’emiro del Kuwait, che scende dalle tribune in campo per far annullare un gol alla Francia, minacciando di ritirare la squadra.

Ciò che non manca ai tifosi scozzesi è il dono della sintesi

Ciò che non manca ai tifosi scozzesi è il dono della sintesi

La Germania fa registrare la seconda sorpresa del torneo, perdendo all’esordio contro l’Algeria di Rabat Madjer e Lakhdar Belloumi, ma passa il turno a braccetto con i cugini austriaci, cucinando un biscottone ai danni della stessa Algeria (L’undici ne ha già parlato qui).

E l’Italia? L’Italia fa di tutto per dare ragione ai suoi critici, con tre-pareggi-tre in tre partite, sufficienti a passare il turno con la Polonia di Zibì Boniek, del vecchio Lato (ve lo ricordate?) e di qualche bel giovinastro. Con infamia e senza lode.

Resta il Brasile, in girone con i carneadi New Zealand e con lo scontro tra Soviet e Scozia per decidere chi sarà il secondo del girone. E quando penso a quel Brasile, a me ancora scorre una (furtiva) lacrima.

Il Brasile del futbol bailado

Parliamoci chiaro. Si sono visti solo altri tre Brasile all’altezza di quello dell’82 e due sono diventati Campioni del Mondo: il Brasile dei funamboli (Didì-Vavà-Pelè-Garrincha) del 1958, forse l’unico superiore; il Brasile del Pentagono magico (Jairzinho-Pelè-Rivelino-Tostao-Gerson) del 1970, e quello di Kakà e Ronaldinho della Confederation’s Cup del 2005, che arriverà ai mondiali di Germania nel 2006 stracotto.

Nel 1982, è il Brasile da immaginario collettivo: futbol bailado, nessuna preoccupazione a difendersi, tanto non siamo capaci, tanto segneremo di certo uno o due gol in più degli avversari. In porta ha forse il peggior numero 1 della sua storia, il mitico Waldir Peres, così scarso e basso (e pure calvo, già che siamo), da far rimpiangere il grande Joao Leite (il secondo peggior numero 1 della sua storia). In difesa, ha un centrale inguardabile (Luizinho) ed un altro medio (Oscar); terzini, (terzini???) sono da un lato quel Leo Junior che illuminerà il centrocampo del Toro a metà anni ’80, e Leandro, in perenne proiezione offensiva.

Ma quello che non ha eguali in questo Brasile è il centrocampo, dove quello scarso è il grande Toninho Cerezo, l’unico con qualcosa di vagamente somigliante a compiti di copertura (copertura???). Al suo fianco Falcao, il divino Re di Roma, il cui rigido compito tattico è più o meno “Paulo Roberto, mettiti la maglia e fai un po’ come cazzo ti pare” e, più avanzati, Zico, l’uomo delle punizioni, e Socrates, il dottore (è medico sul serio, anche se non eserciterà mai), l’uomo dell’impegno sociale, della “democrazia corinthiana”, l’uomo che tutte ‘e fimmine fa ‘nnamurà. Noi lo conosceremo nella versione già annoiata del calcio e della vita in generale, che lo porterà alla Fiorentina, ma il dottore a quei tempi è un grandissimo.

L’attacco si compone di un’ala sinistra old-style e di un centravanti-pacco. L’ala è Torpedo Eder, una ex-testa calda che batte i calci d’angolo a rientrare e tira punizioni fulmicotoniche (un esempio? Pronti!). Il centravanti è Serginho, un disastro di perticone, capace di convertire in chiavica tutto ciò che tocca. Ma ai tempi il centravanti è, e non può non essere; oggi, probabilmente il Brasile avrebbe inserito un centrocampista in più; magari Batista in mediana, a dare copertura o Dirceu (ve lo ricordate dalla scorsa puntata?), avanzando Zico a fare il finto centravanti.

Brasil

Ah, avere un portiere… (e un centravanti, già che ci siamo)

Quella bellissima squadra invece, giocava con centravanti (scarso) e ala sinistra. Alla fine, è un 4-4-2 da tempi pre-Sacchi, con la difesa a zona alla brasiliana (che significa in linea, ma senza fuorigioco sistematico) due laterali che pensano più (solo?) ad attaccare che a difendere, due centrocampisti dai piedi sapienti più arretrati (Falcao, 3 gol alla fine del torneo e Cerezo) e due dai piedi ancora più sapienti più avanzati (Zico, 4 reti, e Socrates, 2), Serginho centravanti ed Eder ala sinistra (2 reti a testa).

Questa squadra memorabile patisce un po’ l’URSS all’esordio, battendola in rimonta e giusto alla fine dopo essere andata sotto per la canonica papera di Valdir, e massacra in sequenza Scozia, Nuova Zelanda e un’inguardabile Argentina, che esce così dal mondiale. Siamo infatti già alla seconda fase e tutto indica che il martello non si fermerà, anzi: ad ogni partita, se possibile, il Brasile gioca un po’ meglio. È inutile cercare la suspense, sappiamo tutti cosa succederà.

L’isola non trovata

I gironcini da tre per qualificarsi alle semi, dicevamo. Dalla prima fase, grosse sorprese non ne emergono, giusto l’Irlanda del Nord. Il gioco di incroci tra prime e seconde dà però vita nella seconda fase a gruppi piuttosto asimmetrici: due più blandi (il Gruppo 1 di Polonia, Belgio e URSS, ed il Gruppo 4 di Francia, Austria e Irlanda del Nord), uno di ferro (Gruppo 2, Germania Ovest, Spagna e Inghilterra) e uno di acciaio temprato (Brasile, Argentina e Italia).

Nel primo, la Polonia mette subito le cose in chiaro con un secco 3-0 (tripletta del neo-juventino Boniek) al Belgio e controlla facile l’Urss nell’ultima partita. Nel Gruppo 2, la Germania fa fruttare il 2-1 ai padroni di casa; l’Inghilterra aggiunge due 0-0 alle tre vittorie della prima fase e riesce nell’impresa riuscita a pochi (ad esempio il Brasile di quattro anni prima) di farsi eliminare da imbattuta. Nel Gruppo 4, una Francia-champagne, con quattro registi contemporaneamente in campo (Tigana, Giresse, Genghini e Platini. Why not?) batte l’Austria ed asfalta l’Irlanda.

Nel Gruppo 3, il pronostico è scritto e molti in Italia pensano che sarebbe stato meglio uscire subito piuttosto che soffrire la debacle contro i colossi sudamericani. Invece.

Invece, dopo una bella e inaspettata vittoria con l’Argentina come promesso a Maggie, l’Italia si presenta come vittima designata al cospetto dei maestri brasileiri. A loro basta il pari per volare in semi, avendo anche loro strapazzato gli odiati rivali ben oltre il 3-1 finale. Un Brasile più nervoso del solito inizia male e subisce l’1-0 da Pablito, fin lì venuto in Spagna a fare vacanza; pareggia piuttosto in fretta e poi regala il 2-1 a un Pablito ormai redivivo, pareggia ancora, si addormenta su un calcio d’angolo (Rossi 3) e non la rimedia più (anzi, beccherebbe pure il quarto da Antognoni, ma l’arbitro annulla inspiegabilmente).

Finisce lì, contro una squadra e un giocatore che risorgono dalle proprie ceneri e che non si fermeranno più, hasta la victoria. È il 5 luglio del 1982, la data di un nuovo Maracanazo.

Il Brasile resta come tutte le grandi incompiute. È bella più di tutte, è l’Isola non trovata.

Tutto il resto è gioia

No, non ho detto noia. Il resto, per noi italiani finirà quasi sui libri di storia.

Pablito&co. finiscono l’opera senza incertezze: 2-0 alla Polonia in semi, 3-1 alla Germania in finale, con Rossi che segna gol (alla fine saranno sei) e propizia rigori, con Conti che fa il brasiliano e Pertini che fa colore in tribuna. Dalla seconda fase in avanti è anche un capolavoro tattico di Bearzot, ma della sua Italia si è già parlato.

Al terzo posto la Polonia, che batte in una spensierata partita da fine stagione una Francia imbottita di riserve, che ancora non si spiega come sia riuscita a perdere la semi: in vantaggio 3-1 a 10’ dalla fine del secondo supplementare e con Schumacher che quasi ammazza Battiston in uscita (tutto regolare). Qualcuno in quella occasione parlerà dei supplementari più belli della storia dopo quelli dell’Azteca.

Tutto questo i brasiliani lo videro in TV, ancora increduli.

“Sentii un urlo attraversare la natura: mi sembrò quasi di udirlo. Dipinsi le nuvole come sangue vero. I colori stavano urlando.”

“Sentii un urlo attraversare la natura: mi sembrò quasi di udirlo.
Dipinsi le nuvole come sangue vero. I colori stavano urlando.”

Il gol del mondiale

Forse non sarà il più bello, ma quello di Tardelli è il gol del mondiale; o quantomeno, è l’esultanza del Mundial italiano. È l’urlo più famoso del mondo, anche più di quello celebre.


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