LE STAGIONI DEL CUORE presenta...FINO ALLA FINE di Anita Gambelli
Creato il 12 marzo 2012 da Francy
Nuovo appuntamento del secondo lunedì del mese con i racconti de LE STAGIONI DEL CUORE - RACCONTI PER UN ANNO. Questa volta si tratta di un racconto dell'esordiente EMMA BIANCHI intitolato FINO ALLA FINE, un romantic suspense intenso con un finale aperto che fa venir voglia di sapere di più di questi personaggi e del loro destino. Buona lettura.
Era buio lo spazio attorno a lei. Dannatamente buio.
Solamente le scale apparivano illuminate dalla sporca luce di alcune
lampadine tremolanti. Appese al soffitto, frammenti di polvere vi aleggiavano
attorno e un impercettibile ronzio sembrava propagarsi da esse, costante,
quasi ipnotico.
Nell’androne del palazzo non si vedeva anima viva. Ad eccezione
di qualche scarafaggio che, svelto, aveva visto sbucare da una delle
crepe nel muro. Eppure la cosa non la consolava affatto.
Aveva sperato di passare inosservata, di non attirare l’attenzione.
Per questo aveva deciso di venire a quell’ora, dopo la fine del turno.
Ma da quando aveva lasciato il locale, fino a pochi secondi prima, non
era riuscita a scacciarsi di dosso una strana sensazione di disagio.
Stava cominciando a pensare che forse avrebbe dovuto insistere di
più.
Noreen però non era mai stata il tipo di donna capace di imporsi
senza dover accettare compromessi che raramente finivano per rivelarsi
in qualche modo vantaggiosi per lei. Era debole, codarda ed aveva smesso
da tempo di cercare una soluzione diversa ai suoi problemi che non fosse
quella che aveva sempre usato: lasciare che tutto seguisse il suo corso
e aspettare.
Lei non aveva mai combattuto per niente.
Da qualche parte, non molto lontano, una radio accesa suonava una
vecchia canzone degli stones, impregnando l’aria e la mente di Noreen
di ruvide note e amari ricordi.
Un tempo aveva amato quella canzone. E aveva amato tutto quello che
quella canzone significava. Adesso era solo un peso in più sulla
sua già malconcia anima, spiegazzata come un vestito poco usato,
di quelli che si conservano negli armadi e non si tirano più fuori.
Stringendo i denti, fece qualche passo in avanti e si costrinse a
superare almeno i primi gradini.
Non c’era ascensore ma comunque, anche se ci fosse stato, lei non
l’avrebbe mai preso.
Dovette salire tre rampe di scale prima di arrivare ad un lungo corridoio
dalla consumata moquette beige e percorrerlo quasi fino in fondo prima
di trovare quello che stava cercando.
4503. Era questo il numero della camera che si era appuntata sul polso.
L’inchiostro della biro si era un po’ scolorito ma Noreen aveva
ripetuto l’indirizzo tra sé e sé ossessivamente durante le ultime
cinque ore. Un espediente che, in modo incomprensibile, aveva contribuito
a calmarla e le aveva permesso di continuare a svolgere il suo lavoro
con la solita efficienza .
La porta era socchiusa.
Nervosa, Noreen rimase immobile, stringendo la tracolla della borsa
come se questa si fosse appena trasformata in un’improbabile ancora
di salvezza. Ma era solo una borsa, vecchia e brutta.
Non riuscendo ad emettere alcun suono a causa del groppo che le serrava
la gola, si decise a spingere cautamente la maniglia.
Entrò.
La stanza era completamente in ombra.
Allungando un braccio si sposò a tentoni lungo il muro, alla
ricerca del interruttore. La liscia e fredda superficie della parete
le strappò un brivido che le percorse la schiena come un fulmine.
Dall’angolo est della camera, l’improvviso bagliore del filtro
di una sigaretta catturò il suo sguardo e Noreen, sussultando,
si volse di scatto.
Allora, strizzando gli occhi, riconobbe la figura di un uomo. Non
uno qualsiasi. Lui.
E non poteva essere altrimenti.
- Era aperta – mormorò sommessamente.
L’uomo espirò una lunga boccata di fumo.
- Se mi vogliono non sarà certo una porta chiusa a fermarli.
–
Noreen alzò lentamente lo sguardo
Nella penombra poteva scorgerne a malapena il profilo. Ma anche così
non ebbe alcuna difficoltà nel ricostruirne i precisi lineamenti.
Avrebbe potuto riconoscerlo ovunque.
Il naso affilato, la mascella decisa, le lunghe ciglia che sapeva
ombreggiavano occhi di un blu intenso, senza sfumature dorate. Semplicemente
blu.
La donna trattenne il respiro. Ogni volta che lo vedeva tratteneva
il respiro, ogni volta che sentiva il suo nome tratteneva il respiro.
Con lui persino il semplice atto di respirare normalmente si trasformava
in una sfida. Sfida che Noreen non aveva mai vinto.
Fissò allora di nuovo l’uomo a pochi passi da lei. Con lo
sguardo inghiottito dal panorama notturno stava mollemente appoggiato vicino ad una finestra aperta.
Le tende non erano tirate ma nessuna luna si affacciava ad illuminarne
il viso quella sera.
Trascorsero alcuni secondi, durante i quali Noreen tentò inutilmente
di assumere un’espressione indecifrabile.
Sforzi che furono immediatamente delusi dalle successive parole di
lui:
- Ti stavo aspettando –
Noreen avrebbe davvero voluto crederci.
- Non hai rispettato i patti – si costrinse a dire fissando
la lunga figura in ombra.
L’uomo non si voltò: - Sapevo che saresti venuta –
Noreen chiuse gli occhi e contò fino a dieci.
- Non hai rispettato i patti – ripeté.
Il tono della sua voce era sommesso e sebbene si fosse imposta di
non lasciar trapelare per nessun motivo l’angoscia che la tormentava
dentro, non poté comunque impedire ad un lieve tremolio metallico
di svelare la sua agitazione.
Agitazione che l’uomo sembrava aver fiutato fin dal primo momento
in cui era entrata. Come il predatore fiuta l’odore della sua vittima
quando questa ancora non sa che è stata scelta e che deve prepararsi
a scappare. Ricordava bene il brivido provato quando, attraversata la
strada, fuori, aveva percepito il suo sguardo su di sé. Alzando la
testa tutto quello che aveva potuto vedere era stata una finestra scura,
in un vecchio palazzo, nel nero della sera.
Ma Noreen lo sentiva, non aveva bisogno di vedere.
L’uomo rimase immobile mentre il fumo della sigaretta viaggiava
sinuoso fino alle sue narici.
- Non c’era alcun patto – rispose infine dopo alcuni minuti
di interminabile silenzio, rotto soltanto dal lontano rumore di un treno.
La donna, a quelle parole, trasalì. Ma subito si riprese.
- Non ti conviene giocare con me – minacciò, questa volta
con voce ferma.
Era un venerdì sera.
Noreen era riuscita con difficoltà a farsi concedere un permesso
straordinario e ad uscire in anticipo.
Era sfinita, senza la minima idea di cosa fare e sola nel più
squallido quartiere della città.
Avrebbe solo voluto mettersi ad urlare.
L’uomo, allora, si voltò.
- Non ho alcuna voglia di giocare con te, ragazzina – disse
lentamente, scandendo ogni sillaba di ogni parola come se il tempo per
lui fosse soltanto una convenzione umana, una parola senza senso. -
E ti assicuro – continuò – che se non porti via
quel tuo sedere del cazzo, non ne avrai più voglia neppure tu.
–
Non fa male, si disse Noreen, non ti fa più male. Ricordi?
- Avevamo un accordo – ripeté meccanicamente lei, quasi
come non fossero sue quelle battute, ma di un’altra donna, un’attrice
magari, che forse un pochino le assomigliava ma che non poteva essere
sicuramente lei. Lui la ignorò.
- Josh – supplicò infine lei. Ed il suo nome le si spezzò sulla
labbra. Era passato tanto tempo dall’ultima volta che l’aveva chiamato
così.
Dov’era finito il ragazzo di un tempo? Il suo ragazzo? Quello che
guardava incantata giocare a football ore intere, che quando la scorgeva
sugli spalti correva più veloce e colpiva più forte perché
sapeva che lei lo stava guardando.
Quello che le aveva spezzato il cuore, tirandole in faccia i cocci.
- Hai avuto la tua parte – replicò lui voltandole le
spalle. – Adesso esci e fai in modo che non debba più rivedere
la tua faccia. –
- La mia parte? – domandò sarcastica lei, impedendosi
di urlare. Poi trafficò nella borsetta per qualche istante fino
a quando non ne trasse fuori un rotolo di banconote che scagliò
contro il letto. - Questa era solo una minima parte di quello che mi
spettava –
L’uomo non si prese la briga di risponderle subito ma avvicinandosi,
si protese lentamente verso di lei, accostando le labbra al suo orecchio.
- E cosa pensi che ti spetti ancora? – sussurrò allora
con voce bassa ma dura. Fredda e implacabile come le sue parole.
- Non sei più un poliziotto, dovresti stare più attento
a quello che dici – lo schernì Noreen, senza tuttavia provare
alcuna soddisfazione concreta nell’infierire su qualcuno che non aveva
più nulla da perdere. Anche se quel qualcuno era lui.
Joshua si allontanò di scatto.
I suoi occhi però non si spostarono un istante da lei. L’intenzione
era quella di lasciar trasparire il disprezzo per quello che vedevano,
per la logora divisa da cameriera, per la treccia sfatta e il viso stanco
e magro. Accarezzavano la sua figura con intensità crescente e il blu
delle iridi sembrava quasi splendere nella buia atmosfera della camera.
Tuttavia, riuscirono solo a rivelarle un desiderio fumoso, quasi impalpabile,
che sembrava penetrare in ogni poro della sua pelle. Come una malattia.
Improvvisamente l’aria si fece più soffocante, imbevuta com’era
dell’odore della nicotina e dell’inesorabile ticchettio dell’orologio.
Più di quanto Noreen potesse sopportare.
L’uomo si avvicinò al letto, chinandosi per recuperare il
rotolo di banconote e poi fece per rialzarsi.
Inaspettatamente Noreen sussultò, mentre una tensione incontrollabile
prendeva possesso del suo ventre. Incontrò il suo sguardo, distante
e al tempo stesso così concentrato, quando le porse i soldi.
- Vattene – ringhiò in un unico respiro.
Noreen sollevò la testa e slegando lentamente l’elastico che teneva
ferme le banconote gliele gettò in faccia.
Lui rimase immobile.
Il frusciare della banconote attorno a loro si mischiava alla sublime
euforia che entrambi percepivano, e alla rabbia sorda che Noreen sentiva
crescere minuto dopo minuto dentro di sé.
Joshua le voltò le spalle e raggiungendo il tavolo afferrò una bottiglia
versandosi qualcosa in un bicchiere . Se Noreen fosse stata più attenta,
avrebbe di certo notato un lieve tremore nelle sue mani.
Ma Noreen capiva soltanto il proprio dolore. Ogni essere umano faceva
così.
- Guardati - disse invece, sprezzante – Non avevi posto limiti
a ciò che avresti voluto essere, dicevi sempre che dovevi raggiungere
la cima più alta, ad ogni costo. Invece sei diventato solo uno
squallido ubriacone da bar, occupato soltanto a bere e a scoparsi prostitute.
Neanche il tuo penoso lavoro sei riuscito a tenerti -
Joshua scagliò il bicchiere sul pavimento e con un'occhiata furiosa,
la raggiunse in pochi passi.
- Credi di essere migliore? No, ti assicuro che non lo sei. Continui
ad essere sempre la solita ingenua ragazzetta di provincia, senza ambizioni
e destinata a spaccarti la schiena e fare la cameriera per il resto
dei tuoi giorni. Ti sei sempre accontentata perché sapevi di non poter
aspirare a niente di meglio di quello che avevi –
Un secondo dopo aver pronunciato quelle parole Joshua si stava già
maledicendo per averle dette.
Perché riusciva soltanto a trasmetterle rancore e sofferenza,
quando l’unica cosa che voleva era chiederle perdono? Niente di quello
che aveva detto era vero, mentre invece Noreen aveva descritto la sua
misera esistenza alla lettera.
Nella sua vita aveva sbagliato tutto. Aveva imboccato strade senza
uscita, preso decisioni terribili e provocato tormenti alle persone
che amava di più: sua madre, Noreen.
La sua adorata Noreen, la compagna di giochi, l’amica sincera, il
suo primo amore, la donna della sua vita. Idiota, gridò dentro di sé,
idiota. Non riusciva a sopportarlo.
Noreen lo fissò con occhi lucidi e gli rispose in un tono di voce
rotto dalle lacrime - Ambizione - sussurrò - E' sempre stato questo
il nostro problema. Tu hai sempre voluto tutto perchè eri convinto
di non avere niente. Mentre io non ho mai osato chiedere di più. E
lo sai perchè Joshua? Riesci ad immaginarlo? Perché io sapevo già
di avere tutto, tutto quel che di bello avrei potuto mai avere: te.
Eri tu la mia cima più alta. –
Allora, immagini credute ormai perse ripresero vita e cominciarono
a bombardarla di ricordi. Ricordi che Noreen non voleva.
Lei e Joshua ragazzi in una calda e sonnolenta cittadina del sud,
sempre insieme perché ognuno aveva trovato nell’altro la propria
via di fuga dalla solitudine che li perseguitava; i progetti per quando
avrebbero finito il liceo, i baci, i sogni, le carezze. Poi la sera
di quella importante partita, la vittoria e il talent scout che aveva
notato Joshua offrendogli una borsa di studio per il college. La felicità
dei primi giorni e poi una lenta ma inesorabile discesa all’inferno.
Il trasferimento di Joshua subito dopo il diploma, le lettere, le telefonate
sempre meno frequenti fino al giorno in cui, andando a trovarlo, l’aveva
visto in compagnia di una aspirante modella mozzafiato e il momento
in cui aveva capito che era finita.
L’aveva chiamato agitando le braccia e lui, pur udendo la sua voce,
non aveva risposto.
Era finita già dieci anni prima e lei, lei era soltanto una
stupida.
In quel buio neppure lui poteva vedere le sue lacrime.
Si voltò, preparandosi a scappare via, ma quando fece per allontanarsi
qualcosa di rigido la trattenne. Il braccio di lui serrava il suo come
una morsa e il suo sguardo sembrava, adesso, quello di un condannato.
Si avvicinò e d’improvviso, con uno slancio quasi feroce,
la baciò. Labbra dure, quasi cattive.
Noreen si lasciò trascinare verso di lui e senza opporre resistenza
dischiuse la bocca. Le loro lingue si incontrarono e si scontrarono,
sfidandosi a vicenda come lame di spade incandescenti, entrambe disposte
a tutto meno che a cedere.
Dimenticando ogni cosa, lei chiuse gli occhi e gli si strinse contro.
Sentiva il suo respiro ansimante mentre le mani di lui vagavano impulsive
e avide lungo tutto il suo corpo. Sensazioni a lungo sopite si risvegliarono
e parve che fossero trascorsi solamente pochi istanti dall’ultima
volta in cui si erano baciati. Erano stati solo dei ragazzini.
Fu troppo. Di scatto Joshua la spinse via. Non meritava niente di
tutto quello. Né i baci, né il calore di Noreen. Ma fu solo un momento.
Non poteva rinunciare a lei, non più.
Tese le braccia e Noreen di nuovo ci finì dentro. Potevano ucciderlo
anche quella notte stessa ma a Joshua non sarebbe importato meno. Aveva
Noreen stretta a sé e quello era tutto.
Si avventò sui bottoni delle sua camicetta e liberati i seni
dalla loro costrizione vi si immerse disperatamente. Le mani li ricoprirono
possessive mentre la bocca divorava ogni lembo di pelle. Con il pollice
le sfiorava un capezzolo e con le labbra succhiava l’altro. Poi le
mani scivolarono sui fianchi. Cadde in ginocchio. Noreen gli si aggrappò.
Sentì la sua lingua bollente infilarsi nell’ ombelico
e poi tracciare una serie di voluttuose spirali giù fino al bordo
della gonna.
Joshua sollevò lo sguardo ed incontrò quello di lei.
Socchiuse gli occhi. Come aveva potuto essere così stupido?
Noreen si chinò a baciargli le palpebre dolcemente mentre con le
dita lo afferrava per i capelli trascinandolo di nuovo su, in direzione
della sua bocca.
Con languidi movimenti la lingua di lui percorse a ritroso la pallida
pelle fino allo spazio fra i seni. Disegnando vortici di umidi baci
lungo il collo fino alla clavicola dell’uomo, Noreen gli conficcò
le unghia sui solidi muscoli della schiena.
In meno di un secondo fu gettata contro il letto e imprigionata dal
peso di Joshua su di sé.
Non poteva essere reale e le parole che a lungo aveva trattenuto sgorgarono
finalmente libere dal suo petto.
- Non ti ho mai lasciato andare – disse.
- Sono sempre stato con te – le rispose lui.
Fissandosi, come se da ciò dipendesse tutto, si baciarono ancora.
Joshua si fermò di colpo. Rimettendosi in piedi puntò lo sguardo
verso la porta e i muscoli del viso si contrassero in un espressione
concentrata. Prima che Noreen potesse fare o chiedere qualcosa, lui
la sollevò di peso dal letto. – Non parlare – le sussurrò –
C’e qualcuno –
Noreen si irrigidì e istintivamente afferrò Joshua per un braccio.
Le strinse una mano e poi tirò fuori una pistola dal giubbotto
togliendo la sicura.
Non aver paura, dissero i suoi occhi, non permetterò che ti succeda niente.
Ed era vero, già una volta Noreen aveva sofferto per causa sua.
Non sarebbe successo di nuovo.
Accostandosi alla porta sbirciò nel corridoio.
Il rumore di passi arrivò anche alle orecchie di Noreen.
Passi lenti, pesanti, di qualcuno che non sembrava avere nessuna fretta.
Joshua le fece cenno d’avvicinarsi.
- Vedi quella porta laggiù? – disse indicando l’uscita
d’emergenza..
Noreen annuì, pallidissima. I passi erano sempre più vicini.
- Conduce fino al locale caldaie. Raggiungilo ed esci dall’ingresso
che dà nel vicolo e poi corri più che puoi. Non ti fermare.
-
Noreen non capiva nulla di quello che le stava dicendo, sapeva solo
che di lì a poco avrebbe dovuto lasciarlo. No, non ora che l’aveva
appena ritrovato.
- Vai! – e la spinse fuori.
Avrebbe perso tutto di nuovo e per sempre.
Ma questa volta le cose sarebbero andate in modo diverso. No, si disse
Noreen. No.
Perché lei non era più la stessa donna che era entrata
nella stanza e lui invece era ancora l’uomo che aveva amato più di
qualunque altra cosa al mondo.
Questa volta non l’avrebbe lasciato andare.
Mentre Noreen correva precipitandosi di nuovo nella camera, due uomini
sbucarono dalla tromba delle scale. La donna fece appena in tempo a
scorgerne i lucidi completi neri prima che uno sparo, rimbombando nell’aria,
la costrinse a chiudere gli occhi.
CHI E' L'AUTRICE
EMMA BIANCHI è lo pseudonimo sotto cui si nasconde
una giovane scrittrice siciliana. Studentessa universitaria a pieno ritmo, coltiva
la passione per la lettura e i libri fin da quando le fu regalato il
primo romanzo. Da allora non si è più fermata e alla naturale
propensione alle lettura ha visto subentrare l’inevitabile conseguente
passione per la scrittura.
Nel tempo libero si diverte a scrivere recensioni
per il blog Sognando Leggendo, del quale è una felicissima collaboratrice.
Non ha un genere preferito, anche se il romance costituisce uno dei
suoi interessi principali.
VI E' PIACIUTO FINO ALLA FINE ? ROMANCE E SUSPENSE SONO UN CONNUBBIO CHE VI INTRIGA? ASPETTIAMO I VOSTRI COMMENTI.
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