Abbiamo imparato, partendo dall’osservazione del numero delle macchie solari e via via, sempre più approfonditamente con altri metodi d’indagine, a riconoscere che il Sole completa un ciclo di attività in circa undici anni. Le cose però non sono sempre così semplici: a volte questo intervallo di tempo risulta essere un po’ più breve, a volte un po’ più lungo. A complicare ancora di più la situazione ci sono cicli i cui massimi e minimi sono più o meni intensi di altri e manifestazioni assai violente che si sviluppano nei periodi di salita o di discesa dei cicli. A dare una interpretazione di questi inattesi comportamenti arriva dalle colonne di Nature Communications uno studio guidato da Scott McIntosh, direttore dell’High Altitude Observatory del National Center for Atmospheric Research negli Stati Uniti. Nell’articolo i ricercatori suggeriscono che alla base ci sia un effetto di variabilità ‘stagionale’ del Sole, che si manifesta con un periodo assai più breve – quasi due anni – e che va ad interagire con quello undecennale. Le variazioni stagionali sembrano essere indotte da cambiamenti nelle bande in cui si dispongono gli intensi campi magnetici in ciascun emisfero solare. Queste bande determinano anche l’andamento del ciclo solare a 11 anni, che a sua volta è parte di un andamento periodico più lungo, di durata circa doppia. «Quello su cui ci siamo concentrati è il principale responsabile delle tempeste solari» dice McIntosh. «Capire meglio come si formano queste bande nel Sole e come producano instabilità stagionali ci dà la possibilità di migliorare notevolmente le previsioni di eventi legati alla meteorologia spaziale». Lo studio segue infatti la linea d’indagine sulla variabilità del Sole legata al comportamento delle sue bande magnetiche, iniziata lo scorso anno con un altro articolo, pubblicato sulla rivista The Astrophysical Journal e a prima firma sempre di McIntosh: il quell’articolo si ipotizza che il ciclo undecennale della nostra stella sia guidato dai comportamenti di due bande parallele di polarità magnetica opposta che migrano lentamente, nel corso di quasi 22 anni, da alte latitudini verso l’equatore, dove si incontrano e quindi si annullano a vicenda.
Nel nuovo studio, viene messo in evidenza come il processo di migrazione delle bande produce anche variazioni stagionali nell’attività solare che possono raggiungere intensità analoghe a quelle che ne determinano la modulazione a 11 anni. E questo in ciascuno dei due emisferi. «In analogia con le correnti a getto che si propagano nell’atmosfera della Terra, che hanno pesantemente influenzato i comportamenti meteorologici su scale regionali negli ultimi due anni, anche le bande sul Sole generano onde che si propagano molto lentamente ma che possono espandersi e deformarsi» aggiunge Robert Leamon, della Montana State University, che ha partecipato allo studio. «A volte, questo produce un mescolamento di parte dei campi magnetici tra due bande contigue. In altri casi, l’effetto di trascinamento fa emergere campi magnetici prossimi alla tachocline, fino verso alla superficie». Queste risalite di plasma altamente magnetizzato destabilizzano pesantemente la corona e innescano le più violente tempeste solari: più del 95 per cento dei brillamenti e delle eiezioni di massa coronale più intensi possono essere ricondotti ad esse. Questo scenario riesce a spiegare anche il perché gli eventi solari più energetici di solito si concentrano un anno o più dopo il massimo, calcolato tramite il numero delle macchie, fenomeno che prende il nome di Gnevyshev Gap, dal nome dello scienziato sovietico che per primo, negli anni ’40 del secolo scorso, mise in evidenza questo comportamento: a produrlo sarebbero i sempre le variazioni stagionali dell’attività solare.
«Il ciclo di attività solare è il risultato dell’evoluzione nel tempo di una complessa varietà di fenomeni che lo caratterizzano, ma che non sono stati ancora completamente identificati e quantificati» commenta Mauro Messerotti, esperto di fisica solare dell’INAF. «Questo aspetto, insieme al fatto che il Sole presenta le caratteristiche di un sistema fisico complesso, rende molto difficile la modellizzazione e quindi la previsione dell’evoluzione del ciclo stesso ed anche dei fenomeni ad esso collegati, come le tempeste solari. Il lavoro di analisi ed interpretazione degli autori aggiunge un ulteriore tassello al mosaico, perché identifica uno dei fattori concorrenti di variazione che dà origine ad una modulazione su una scala di tempo di quasi due anni. Le osservazioni indicano che le tempeste solari si possono verificare in qualsiasi momento del ciclo di attività, ovvero nella fase di salita verso il massimo, al massimo e nella fase di discesa. Sapere che esiste anche una “stagionalità” dei fenomeni con un periodo inferiore a due anni e potendo identificare in quale “stagione”, più o meno produttiva, il Sole si trova, aumenta l’affidabilità delle previsioni dei fenomeni all’origine dello “space weather” come i brillamenti e le eiezioni di massa dalla corona solare (CME, Coronal Mass Ejections)».
Fonte: Media INAF | Scritto da Marco Galliani