Cari lettori, questa sarà l’ultima recensione letteraria prima della pausa estiva, dandoci appuntamento a settembre.Affrontiamo un'altra opera di colui che, a ragion veduta, è stato definito da Le Monde ”Un narratore formidabile” e da Vincenzo Consolo “Uno scrittore che si distingue per visione civile del mondo, impegno della memoria e originalità di scrittura”, ossia Carmine Abate.“Le stagioni di Hora” (Oscar Mondadori) è una raccolta di tre suoi romanzi già editi, su cui l’Autore ha compiuto interventi di rivisitazione migliorativa della forma e dello stile: ”ho eliminato le ridondanze e gli errori di vario genere – ha sottolineato Abate– ho reso più scorrevoli alcuni periodi e aggiunto qualche frase”.I lavori letterari che compongono la trilogia sono: “Il ballo tondo” (1991), “La moto di Scanderbeg” (1999) e, infine, “Il mosaico del tempo grande” (2006).Tutti e tre ripercorrono un viaggio corporeo e metafisico da Hora, attraverso Hora, per Hora, dalla Prima Hora alla Nuova Hora.Hora è il Paese, la “Kora” della Grecia classica delle memorie, la “Hore” arberisht degli amarcord tristi, nostalgici e malinconici come solo i ricordi belli sanno essere.Hora è un luogo nascosto in ognuno di noi negli anfratti del cuore.Hora è il Paese dove è nato Carmine Abate, Carfizzi, ma anche tutte quelle località dove vivono sin dal 1400 le comunità italo –albanesi.Hora, qui, è nel crotonese, ma potrebbe essere in qualsiasi altra parte della Calabria, della Puglia, dell’Abruzzo, del Molise, della Basilicata, della Campania o della Sicilia: “Hora jone è come un iceberg, metà fuori illuminata dal sole e metà, oscura, dentro di noi.”.Hora è un luogo geografico ma anche un luogo spirituale che dimora nell’’anima di chi è stato, è e sarà : ”L’uomo che trova dolce il luogo natale è ancora un tenero principiante; quello per cui ogni suolo è come il suolo nativo è già più forte; ma perfetto è l’uomo per cui l’intero mondo è un paese straniero”.Abate non usa una sola lingua per raccontare il suo mondo, ma tante lingue che si fondono in una sola: ci parla in litisht (il nostro idioma), in arbereshe, in albanese e nel dialetto calabrese.“Le stagioni di Hora” parla della Terra, della Famiglia, degli Affetti più intimi e cari, come Marcello Veneziani nei suoi libri; richiama L’ombra del vento di Carlos Ruiz Zafòn; riprende La festa del ritorno e La collina del vento (Premio Campiello 2012); narra della vita stessa dello Scrittore, “comparsa” incarnata in più personaggi delle sue immaginifiche storie, lungo un tracciato che unisce la Calabria, il Trentino e la Germania; fa tornare alla mente del lettore le gesta di uomini e donne che vivono l’eroicità nel quotidiano e quelle di Scanderbeg, il guerriero albanese che si oppose all’invasione ottomana della “Patria dell’aquila bicipite” nel corso del XV secolo, non più essere umano, ma mito e leggenda.Fabrizio GiulimondiMagazine Cultura
Cari lettori, questa sarà l’ultima recensione letteraria prima della pausa estiva, dandoci appuntamento a settembre.Affrontiamo un'altra opera di colui che, a ragion veduta, è stato definito da Le Monde ”Un narratore formidabile” e da Vincenzo Consolo “Uno scrittore che si distingue per visione civile del mondo, impegno della memoria e originalità di scrittura”, ossia Carmine Abate.“Le stagioni di Hora” (Oscar Mondadori) è una raccolta di tre suoi romanzi già editi, su cui l’Autore ha compiuto interventi di rivisitazione migliorativa della forma e dello stile: ”ho eliminato le ridondanze e gli errori di vario genere – ha sottolineato Abate– ho reso più scorrevoli alcuni periodi e aggiunto qualche frase”.I lavori letterari che compongono la trilogia sono: “Il ballo tondo” (1991), “La moto di Scanderbeg” (1999) e, infine, “Il mosaico del tempo grande” (2006).Tutti e tre ripercorrono un viaggio corporeo e metafisico da Hora, attraverso Hora, per Hora, dalla Prima Hora alla Nuova Hora.Hora è il Paese, la “Kora” della Grecia classica delle memorie, la “Hore” arberisht degli amarcord tristi, nostalgici e malinconici come solo i ricordi belli sanno essere.Hora è un luogo nascosto in ognuno di noi negli anfratti del cuore.Hora è il Paese dove è nato Carmine Abate, Carfizzi, ma anche tutte quelle località dove vivono sin dal 1400 le comunità italo –albanesi.Hora, qui, è nel crotonese, ma potrebbe essere in qualsiasi altra parte della Calabria, della Puglia, dell’Abruzzo, del Molise, della Basilicata, della Campania o della Sicilia: “Hora jone è come un iceberg, metà fuori illuminata dal sole e metà, oscura, dentro di noi.”.Hora è un luogo geografico ma anche un luogo spirituale che dimora nell’’anima di chi è stato, è e sarà : ”L’uomo che trova dolce il luogo natale è ancora un tenero principiante; quello per cui ogni suolo è come il suolo nativo è già più forte; ma perfetto è l’uomo per cui l’intero mondo è un paese straniero”.Abate non usa una sola lingua per raccontare il suo mondo, ma tante lingue che si fondono in una sola: ci parla in litisht (il nostro idioma), in arbereshe, in albanese e nel dialetto calabrese.“Le stagioni di Hora” parla della Terra, della Famiglia, degli Affetti più intimi e cari, come Marcello Veneziani nei suoi libri; richiama L’ombra del vento di Carlos Ruiz Zafòn; riprende La festa del ritorno e La collina del vento (Premio Campiello 2012); narra della vita stessa dello Scrittore, “comparsa” incarnata in più personaggi delle sue immaginifiche storie, lungo un tracciato che unisce la Calabria, il Trentino e la Germania; fa tornare alla mente del lettore le gesta di uomini e donne che vivono l’eroicità nel quotidiano e quelle di Scanderbeg, il guerriero albanese che si oppose all’invasione ottomana della “Patria dell’aquila bicipite” nel corso del XV secolo, non più essere umano, ma mito e leggenda.Fabrizio GiulimondiPossono interessarti anche questi articoli :
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