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Le statue di M. Prama "assire"? Tutto un equivoco

Creato il 11 agosto 2010 da Zfrantziscu
di Marco Rendeli
Gentile Dottor Pintore,
mi sono casualmente imbattuto, nel blog che lei dirige, in un articolo e relativa discussione riguardo le statue di Monte ‘e Prama, sulla loro datazione, sui collegamenti “storici” di cui potrebbero essere foriere.
Nella discussione ho potuto appurare un certo interesse a ipotesi presentate in diverse occasioni, l’ultima delle quali a Ghilarza grazie al gentilissimo invito della dott. Greca Masala, che in evidenza per mia difficoltà di rendere esplicito un percorso complesso o per altrui fraintendimento vengono riportati in maniera inesatta.
Desidererei quindi chiederle un breve spazio per alcune rettifiche che potrebbero modificare la prospettiva che emerge dalla discussione stessa. Peraltro colgo l’occasione per suggerire ai partecipanti il blog di chiedere informazioni direttamente a chi le scrive piuttosto che armare giovani studenti e studiosi per recuperare dispense o parti di esse utilizzate durante i corsi: e, d’altra parte, come lei ben sa, il mio mail address è facilmente reperibile sul sito della Facoltà della quale mi onoro di essere parte.
La prima precisazione che vorrei suggerire è quella di non aver mai voluto incentrare i miei seminari sulla datazione delle statue: ciò non perché non abbia un’idea abbastanza chiara al riguardo quanto piuttosto per una scelta di metodo: ho infatti scelto di privilegiare, e quindi di offrire a chi mi ascoltava, l’ipotesi di un percorso, ovvero di un processo di creazione di un sistema che spiegasse la natura e la realizzazione di questo straordinario complesso statuario.
L’unicità di queste opere d’arte, realizzate con raffinata maestria utilizzando un ampio ventaglio di accorgimenti tecnici è elemento che, unito alla natura del complesso – grande statuaria in pietra, riporta alla téchne di un artigiano specializzato o forse meglio a una bottega che conosceva perfettamente il suo mestiere.
Ciò comporta la comprensione di un rapporto fra committenza e bottega per rendere evidente che il punto centrale del percorso non è relativo all’origine o alla provenienza dell’artigiano quanto piuttosto alla storia che era chiamato a narrare attraverso il suo scalpello: essa ai miei occhi è una narrazione tutta sarda (o nuragica , se preferisce) ispirata e dettata da un singolo committente o più probabilmente da un gruppo aristocratico che emerge e si autorappresenta narrando l’origine mitica dei propri antenati.
Se si accetta questo punto, in cui si riflette tutta la storia dell’arte antica e meno antica, il problema dell’origine dell’artigiano può passare in second’ordine rispetto alla possibilità di definire una forma di narrazione: in altre parole mi è sembrato alla fine di un percorso di analisi descrittiva, iconografica e, per quel che è concesso, iconologica, più importante affermare l’unitarietà del complesso statuario, il fatto che in esso si possa riconoscere una narrazione di un passato mitico non diversamente da quanto vediamo rivelato in molte civiltà del Mediterraneo all’alba del primo millennio a.C.
Capirà che ogni percorso di questa natura deve essere sostanziato e corroborato da elementi di confronto e di supporto all’ipotesi che si sta esplicitando: qui dunque potremo risarcire un evidente fraintendimento che riguarda un presunto rapporto fra le statue di Monte ‘e Prama e l’arte assira, a mio avviso inesistente. Ho utilizzato infatti il confronto fra i rilievi del Palazzo di Assurbanipal e le statue per offrire un’ipotesi di modello iconografico del “pugilatore”, “cuoiaio” o similia: non ho mai pensato che esso potesse creare una relazione cronologica, di scuola o, tanto meno, culturale e sociale fra i due complessi. Di assedi e di tecniche di assedio si può parlare nei due casi con protagonisti simili ma in contesti culturali e sociali molto diversi: città, palazzi e imperi da un lato, dall’altro?
Ma torniamo alla storia dell’arte che è ben più interessante. Nello stesso seminario a cui fa riferimento M.P. Zedda assieme alla centralità del rapporto fra committente e artigiano che porta alla creazione di questo complesso così originale e unico, come avviene in molte altre parti del Mediterraneo, ho cercato di dare un volto alla bottega. Fatta salva la natura e la storia sarda della narrazione ho cercato di capire quali potessero essere i segni identificativi della mano (o meglio delle mani) che hanno lavorato a questa realizzazione. In quella sede ho proposto diversi livelli di lettura: dal generale, volumetrie, plasticità, ampie e articolate muscolature, ai particolari “calligrafici” straordinariamente eseguiti per armature, abbigliamento, peculiarità anatomiche e delle capigliature. All’interno di quest’ultimi si possono riconoscere dei “motivi firma”? La ricerca sta compiendo i primi passi, è lunga, difficile e richiede una competenza che sto costruendo: un primo passo si può compiere con una delle statue di arciere che presenta una sciarpa che pende sul bacino e si conclude con una raffinatissima frangia. Essa ricorda molto da vicino una simile su un rilievo di Marash, in Anatolia sud orientale, ascritta a una delle scuole scultoree neo siriane. In altre scuole orientali e del Mediterraneo questo particolare non si riscontra o viene trattato in maniera completamente differente (cfr. i rilievi assiri).
Partendo da questo “particolare” ho ampliato lo spettro della ricerca alle botteghe di artigiani della pietra in area siriana e ai loro complessi scultorei che arricchiscono i piccoli palazzi dei loro regni o delle loro città stato: non casualmente, penso, ho potuto costatare come la scultura neo siriana, fra la fine del X e l’VIII secolo a.C., si caratterizzi per grandi volumetrie, plasticità dei corpi fine calligrafismo dei particolari delle vesti e anatomici. Elementi questi che avvicinano la bottega che opera a Monte ‘e Prama a quelle esperienze orientali in una data che appare ben differente da quella attribuitami dal M.P. Zedda nella discussione presente nel suo blog.
Mi corre l’obbligo a questo punto chiarire anche un altro aspetto: dalla discussione su citata sembra emergere una discrasia e una profonda dicotomia fra le ipotesi anche recentemente presentate da Antonietta Boninu e quelle di chi le scrive: quasi che in filigrana possa emergere una inconciliabilità fra le due ipotesi e le due proposte. Devo alla amicizia della dott.ssa Boninu la possibilità di aver potuto vedere e rivedere le statue: con lei discuto, quando il tempo lo permette a entrambi, di questo come di molti altri temi. Entrambi per formazione e scuola siamo attenti all’esegesi dell’opera d’arte come del complesso archeologico, a una sua lettura e una sua interpretazione che susciti nuovi problemi, nuove curiosità e dubbi piuttosto che offrire risposte tanto secche quanto definitive.
Lei forse non crederà ma le ipotesi espresse dalla dott.ssa Boninu e quelle di chi le scrive non sono poi così lontane, al contrario: ciò sembra in totale dissonanza con quel che sembra emergere dalla discussione nel suo blog.
Egregio professore, approssimativi lettura e resoconto di una sua lezione hanno dato luogo a una infondata discussione e me ne scuso con lei, inconsapevole suscitatore di un dibattito intorno al nulla. Rivendico le attenuanti generiche: il dialogo con gran parte dei suoi colleghi non è facile né sempre possibile per chi ha dalla sua, spesso, solo la voglia di sapere e capire. [zfp]

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