Leggendo in giro per la rete e ascoltando i TG, ho sentito opinioni che mi hanno dato non poca perplessità. Qualcuno ha detto che dalla croce non si scende e dunque Papa Benedetto avrebbe dovuto rimanere sul soglio pietrino fino alla morte, proprio come Papa Giovanni Paolo II e i suoi predecessori. Perché guidare la Chiesa in fin dei conti è una croce, nonostante gli ignoranti lo ritengano un privilegio e persino un potere.
Ma credo che questa opinione – in verità condivisa da parecchi – lasci il tempo che trova. La Chiesa sta vivendo un periodo di grande sofferenza e di relativismo etico anticristiano. Oggigiorno essere cristiani è quasi un handicap, o comunque è fortemente limitativo, visto che, a quanto pare, l’inno all’eguaglianza religiosa di cui non pochi si riempiono la bocca, spesso lo si canta in funzione anticattolica e anticristiana, fino a rinnegare e sbeffeggiare la nostra identità culturale, perché “offensiva” nei confronti delle altre fedi. Dunque la Chiesa si trova costretta in un periodo oscuro, anche in ragione delle sue stesse contraddizioni: dal fenomeno dei preti pedofili, che infangano Cristo prima di tutto e poi i cristiani, fino a una visione della fede troppo legata a una tradizione patristica non sempre in linea con il messaggio evangelico.
Suggerito da Il Jester
Benedetto XVI è stato (ed è) un grande Papa. Personalmente non l’ho mai visto come un opposto rispetto a Giovanni Paolo II. Né l’ho mai considerato inadeguato per il sommo ruolo che egli ha ricoperto fino a oggi. Semmai l’ho visto come un Papa in grande sofferenza, che ha dovuto guidare la Chiesa in un periodo turbolento e per niente facile. E forse è proprio per questo che egli alla fine ha deciso di lasciare. Egli deve essersi reso pienamente conto che per guidare una grande comunità umana come quella cattolica, in un periodo delicato come questo, ci vogliono le energie spirituali e fisiche che un uomo alla soglia dei novantanni non può obiettivamente avere.
Condannarlo per questo e per la sua storica (e credo sofferta) decisione, o comunque criticarlo per averla presa, quasi come se egli stesse abbandonando la barca proprio nel momento del bisogno, secondo me è assolutamente ingiusto. Semmai, egli ha riconosciuto la sua intrinseca debolezza e umilmente davanti agli uomini e a Dio l’ha ammessa. Egli ha ammesso che per essere il Pastore dei cristiani ci vuole un successore di Pietro più forte, più grande, e forse persino più carismatico e trascinatore. Un successore di Pietro che ridia alla (sua) Chiesa il vigore perduto, che la riponga al centro dell’attenzione non per gli scandali che come piaghe la feriscono, ma per quello che la Chiesa è e deve essere per gli uomini: un’ancora di salvezza, un messaggio di speranza e un punto di riferimento etico e morale.
D’altro canto, in nessuna parte del Vangelo è scritto che il successore di Pietro debba essere Pastore della Chiesa per sempre. Il Pastore eterno è Cristo; quello umano deve esserlo finché le energie spirituali, mentali e fisiche (e dunque finché Dio vuole) gli permettono di assolvere al suo compito. Anzi, a me pare che sia cosa buona e giusta che il Sommo Pontefice, arrivato a una certa età, si faccia da parte se le sue forze fisiche e mentali non gli permettono più di attendere i gravosi impegni che richiedono il suo ruolo. Di più, dovrebbe quasi diventare una regola, perché in un mondo che si evolve velocemente e dove il relativismo etico incede, imponendosi quasi come regola assoluta, la Chiesa deve essere più dinamica e capace di rispondere agli attacchi al diritto naturale nel modo più efficace possibile.
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Benedetto XVI ha compiuto un gesto di grande umiltà, soprattutto in un mondo dove certi gesti sono contrabbandati come segno di debolezza e come indice inequivocabile dei propri limiti umani. C’è solo da rendere onore a questo grande Papa, nella speranza che il suo successore sia quantomeno al suo pari, sia per sapienza e soprattutto per umiltà e amore verso la Chiesa e i cristiani.