L’ultima fatica di Rob Zombie e di sua moglie Cheri Moon (che come sempre è la protagonista della pellicola) si intitola “Le streghe di Salem” ed uscirà in Italia il 24 aprile.
La trama è nota quanto prevedibile: una strega uccisa ai tempi dei tristemente famosi fatti di Salem del 1692, torna per vendicarsi della discendente dell’uomo che la mise al rogo. La storia, scandita giorno dopo giorno nell’arco di una settimana, ci mostra Heidi, la protagonista, sprofondare sempre più nella alienazione e nell’isolamento, letteralmente circondata dal nemico.
Atmosfere umide, buie e claustrofobiche, accompagnate da una musica ossessiva, ben noti marchi di fabbrica di Rob Zombie.
Nel corso del film assistiamo alla maledizione di Heidi crescere (la colpiscono gli incubi, la tosse, le allucinazioni, la nausea, il sonno da cui non riesce più a riaversi) con un senso di impotenza ma di scarsa partecipazione.
Heidi non è un mostro di simpatia. Piuttosto, che succederà al suo simpatico cane?
I richiami a “The Ring”, “L’Esorcista”, “Rosmary’s baby” e “Alien” (ma anche a “Dune”) sono continui e piuttosto evidenti, sia a livello contenutistico che di scelte tecniche di regia (la ripresa fissa del corridoio, ad esempio). Su tutti, Zombie è debitore certamente a Polanski e – secondariamente - ad Argento.
Il regista quasi abusa delle inquadrature dal basso e del ralenti (già molto usato nel suo prevedente “La casa dei 1000 corpi”), di colori sgranati e di prospettive sbilenche. Spesso la camera fruga i volti dei personaggi. O i loro corpi. E cerca di risultare fastidiosa e grottesca.
Il film abbonda poi di simboli (uno sembra il logo degli Einstunzende Neubauten!) e di immagini che tornano ossessivamente (ad esempio, la luna di “Voyage dans la Lune” o i teschi), così come le autocitazioni di Rob Zombie (su magliette, nella musica, finanche nel musicista mezzo matto ospite di Heidi in radio, il che fa parte di un generale sarcasmo nei confronti della scena death-metal). Margaret Morgan (interpretata da Meg Foster), la strega, è identica (sarà un caso?) a Patti Smith!
Si procede spesso per luoghi comuni e effetti scontati, a partire dal personaggio di Heidi, tipica dj dal passato di abuso di droghe e maglietta dei Ramones (e piercing, tatuaggio e dreadlocks). Il suo mondo e quello della radio in cui lavora è un po’ snob rock, snob come solo i patiti di uno specifico genere musicale (in questo caso il rock) riescono ad essere. Si diceva di come Zombie si prenda gioco anche di se stesso e di come si autociti.
In particolare, lo fa quando la stazione radio ospita una band, i and the Fleeing Serpent, composta dai norvegesi Count Gorgann e Dr. Butcher, che sono minacciosi, grotteschi e ridicoli tutto allo stesso tempo. Il film, in effetti, più che essere degno di visione per la paura che fa (quasi pari a zero) o l’inquietudine che trasmette (yawn..), va visto per questi giochi di Zombie e per la critica sociale che ci butta qua e là, con molta eleganza ed ironia.
Particolarità: Zombie usa liberamente dei fatti veri come partenza della sua storia, e cambia qualche nome. Ad esempio, diventa Hawthorne.
Non solo, il regista coglie l’occasione per farsi beffa dei tour di Salem e dei muri dedicati alle streghe che realmente esistono in città. Anche in questo caso, ecco una critica sociale.
Il sistema con cui le streghe prendono possesso di Heidi è attraverso la musica, facendole avere un disco inciso da The Lords. Anche questo escamotage è piuttosto buffo e molto alla Rob Zombie.
Si tratta di un film dallo sguardo fortemente maschile, nonostante i personaggi principali siano tutti donne. C’è un’ossessione sull’organo sessuale maschile e sul parto, oltre a una fissazione per il corpo di Cheri Moon, per cui l’amore di Zombie è sin troppo evidente. Un corpo scrutato e percorso ossessivamente, ma mai violato, verso il quale il regista tiene una distanza reverenziale.
Questo atteggiamento diventa palese nel parossistico finale (assurdo) in cui Cheri Moon è ritratta come una sorta di Madonna punk.
Un film a tratti interessante, a tratti ridicolo, spesso forzato nelle sue soluzioni, seppur ricco di ottime citazioni. Zombie chiaramente vuole dirigere horror destabilizzanti, ma mi pare che, più film mette sul mercato, meno essi raggiungono l’obiettivo, più la confusione che portano in scena è incomprensibile.
Written by Silvia Tozzi