Nel resto di supernova Sagittarius A Est, la polvere (contorni gialli) formata dalla supernova sopravvive in una regione più fredda del materiale espulso, dislocata rispetto alla zona di emissione in raggi x sullo sfondo (in viola). L’ellisse rossa tratteggiata delinea l’onda d’urto della supernova, mentre il riquadro mostra un’immagine ingrandita della polvere (in arancione) e dell’emissione in raggi x (in azzurro). Crediti: Ryan Lau et al. / SOFIA/FORCAST / Chandra/ACIS
Nelle galassie più antiche, ovvero quelle già presenti in un’epoca primordiale dell’Universo e che noi ora osserviamo come le più lontane, gli astrofisici hanno trovato molta polvere. Lungi dal rappresentare un fastidio, nella cucina galattica la polvere è un ingrediente determinante per la buona riuscita di una nuova infornata di stelle. Tuttavia, gli astrofici si stanno ancora domandando da dove provenga tutta quell’antica polvere.
Una buona spiegazione ci sarebbe, le supernove, ma finora non è stato chiarito se la polvere prodotta da un esplosione di supernova possa resistere alle fasi successive alla deflagrazione stessa. Gli scienziati hanno infatti calcolato che poca della polvere prodotta nell’esplosione possa sopravvivere alla successiva onda d’urto, innescata della differenza di pressione termica tra i materiali espulsi ad alta velocità dalla supernova e il denso mezzo circumstellare, relativamente freddo.
Ora un gruppo sino-statunitense di astronomi, guidati da Ryan M. Lau della Cornell University, ha acquisito nuove prove a favore del fatto che la polvere può sopravvivere ai postumi della supernova, e che quindi le supernove possono effettivamente aver rappresentato il meccanismo dominante della produzione di polveri nelle prime galassie.
Per realizzare il loro studio, pubblicato sulla rivista Science, Lau e colleghi hanno preso l’aereo: un Boeing 747SP, attrezzato con un osservatorio infrarosso chiamato SOFIA, Stratospheric Observatory for Infrared Astronomy, frutto di una collaborazione tra NASA e l’agenzia spaziale tedesca DLR.
Con lo strumento FORCAST di SOFIA, il gruppo ha analizzato la polvere nel mezzo di un resto di supernova, noto come Sagittarius A Est, che si trova assai vicino al centro della nostra galassia ed è frutto di una deflagrazione particolarmente potente avvenuta attorno a 10.000 anni fa.
Stratospheric Observatory for Infrared Astronomy (SOFIA) . Crediti: NASA / Jim Ross
Grazie alle nuove osservazioni, i ricercatori ritengono che approssimativamente tra il 7 e il 20% della massa iniziale di polvere prodotta dalla supernova sia sopravvissuta al suo stesso shock creativo. Secondo gli autori, questi risultati implicano che una maggiore percentuale di polvere rispetto a quanto previsto avrebbe potuto conservarsi nelle condizioni dell’Universo primordiale, miliardi di anni fa, e che quindi la polvere presente nelle galassie più antiche potrebbe effettivamente provenire da supernove.
Una tesi che sembra convincere anche Andrea Pastorello, dell’Osservatorio Astronomico INAF di Padova. “La scoperta si inserisce in un contesto piuttosto controverso”, spiega Pastorello a Media INAF, “visto che non tutti gli scienziati che si occupano di questo argomento – me compreso – sono convinti che le supernove siano tra i principali produttori di polveri nell’Universo”.
Le difficoltà, prosegue il ricercatore, risiedono sostanzialmente in due fattori: da una parte, nelle osservazioni è difficile discriminare la nuova polvere generata nell’esplosione di supernova dalla contaminazione ambientale; dall’altra, la quantità di polvere stimata varia in funzione dalle assunzioni iniziali, riguardo, per esempio, la composizione chimica e le dimensioni dei grani di polvere.
Ma, come si è accennato, uno dei problemi fondamentali per considerare le supernove delle vere e proprie “fabbriche di polvere” era legato al fatto che il passaggio dei reverse shock nel materiale espulso dalle supernove avrebbe dovuto essere un’arma efficace per distruggere la polvere che si era eventualmente formata. In questo senso, spiega Pastorello, “l’aspetto nuovo e interessante fornito da questo studio è la sorprendente prova che particolari condizioni ambientali (per esempio la densità elevata del mezzo) sono in grado di garantire la sopravvivenza di una parte della polvere, sotto forma di grani più piccoli e più caldi, anche dopo il passaggio del fronte di shock”.
La massa totale delle particelle resistite allo shock, dice in chiusura Pastorello, “è una quantità rilevante, tale da farci concludere che le supernove potrebbero contribuire in modo significativo alla frazione di polvere osservata nel cosmo, in particolare nelle regioni ad alta densità dell’Universo primordiale”.
Fonte: Media INAF | Scritto da Stefano Parisini