Le tabachine

Creato il 04 maggio 2010 da Walter_fano @walterfano
Il nome della pianta del tabacco deriva dalla piccola isola delle Antille, Tobago; essa è citata in un erbario di Pier Antonio Michiel, stimato botanico della seconda metà del Cinquecento, che la ricevette in dono da Giacomo Contarini, provveditore dell'Armata Veneziana in Fiandra.
Il Michiel afferma che il tabacco era utile per le cancrene e per la peste, il caso volle che egli morisse di peste nel 1576!
Comunque il tabacco si cominciò a coltivare nel Veneto e ad usare solo nel 1600; la vendita era riservata ai soli spezier de fin, inizialmente sotto i portici delle Prigioni Nuove. Si usava soprattutto da fiuto, in quanto provocava una lieve irritazione al naso con conseguente starnuto liberatorio, utile, in particolare, per il ma di testa. L'uso si diffuse rapidamente e la Repubblica pensò di trarne un utile dando in appalto il monopolio del tabacco: il primo ad avere questo compito fu l'ebreo Daniel Davide Da Pisa. Lo spaccio pubblico era situato in Corte Gregolina, nei pressi della Madonna dell'Orto, poi fu trasferito alla Fondamenta delle Penitenti e quindi a S.Andrea.
La prima fabbrica di tabacco si aprì nel 1790, all'interno della Casa Granda di proprietà della famiglia Barbaro, lungo il Rio delle Burchielle: questo edificio, poi, diverrà il magazzino della più vasta fabbrica costruita in epoca austriaca. La Manifattura Tabacchi vide lavorare al suo interno centinaia di persone, per lo più donne che vivacizzavano con il loro passaggio la zona.
Stupenda l'immagine lasciata da Riccardo Selvatico nella sua poesia "Le tabachine":
Bate quatro e za scominzia
Nel silenzio de la strada
Fin alora indormenzada
A sentirse da lontan

Come un susio, che in distanza
Da principio xe confuso
Ma che ingrossa che vien suso
Co' una furia de uragan

La xe lore, za le ariva
Za le spunta, za in t'un lampo
Case, strada, ponte, campo
Tuto introna de bacan

Le xe lore, le ze tose
Le ga el viso fresco e tondo
Le vien via sfidando il mondo
Imbragae de zoventù

Zavatando per i ponti
Le vien zoso a quatro in riga
Par che a tutti le ghe ziga:
Largo, indrio, che semo nu!

Za la zente su le porte
Stà a vardar la baraonda
Che infuriando come un'onda
Urta, spenze e passa in là
Qua un vecieto scaturio
Va tirandose drio al muro
Là una vecia, più al sicuro
Varda e ride dal balcon
Ma le ariva e za le passa
El ze un refolo de vento
Za el fracasso in t'un momento
Va perdendose lontan
E la strada per un punto
Da quel ciasso desmissiada
Quieta, straca, abandonada
La se torna a indormenzar.
Fonte: Marina Crivellari Bizio

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