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Le teorie di Poe sulla letteratura

Creato il 09 aprile 2014 da Pamelaserafino
 

Con Il saggio La filosofia della composizione apparso per la prima volta nel 1846 Poe intendeva esplicitare la sua teoria sulla composizione letteraria, partendo dalla rivelazione di tutto il percorso che lo ha portato al compimento della sua famosa opera: Il Corvo. Egli contesta l’ostinatezza che hanno alcuni scrittori di negare lo studio, l’analisi, la tecnica che li guida mentre scrivono. Poe, quindi,  nega il concetto di intuizione artistica a vantaggio di una scrittura intesa come attività metodica e analitica.

Di seguito un passaggio essenziale della sua argomentazione.

 

“Preferisco cominciare prendendo in considerazione il problema dell’effetto. Tenendo sempre presente il fattore dell’originalità (poiché ingannerebbe se stesso chi volesse arrischiarsi a fare a meno di una fonte di interesse così ovvia e così a portata di mano) in primo luogo io mi chiedo: “Di tutti gli innumerevoli effetti o impressioni, di cui il cuore, l’intelletto, o ( più genericamente) l’anima, sono suscettibili, quale finirò con il scegliere in questa specifica occasione?” Avendo scelto in primo luogo una data storia, e poi un effetto di sicura efficacia, mi pongo il problema se il tutto possa essere sfruttato al meglio narrando un evento o mettendo a fuoco un tono- e usando eventi ordinari e un tono particolare, o una data particolarità sia dell’evento che del tono; dopodiché mi guardo attorno ( o meglio: guardo dentro di me) alla ricerca di quelle combinazioni di eventi, o  di toni, in grado di darmi un miglior aiuto nella costruzione dell’effetto.

Ho spesso riflettuto su come potrebbero essere interessanti un giornale o una rivista se un attore volesse- o per meglio dire potesse- descrivere passo per passo il procedimento attraverso il quale un qualsiasi suo lavoro raggiunge la sua veste finale. Poiché al mondo non si è mai visto niente di questo genere, mi trovo molto a disagio a rispondere -ma, forse, più di qualsiasi altra causa, all’origine di questa omissione c’è soprattutto la vanità dell’autore. Quasi tutti gli scrittori-i poeti in particolare- preferiscono  lasciar intendere di comporre in una sorta di sottile frenesia- un’intuizione estatica- e rabbrividirebbero all’idea che il pubblico spiasse dietro le quinte per cogliere il complicato e barcollante formarsi del pensiero; sia le vere intenzioni che trovano espressione solo all’ultimo momento, sia gli innumerevoli dettagli di un’idea non pervenuta ancora a piena maturità, sia le fantasie perfettamente delineate ma scartate con disperazione in quanto non addomesticabili, sia le selezioni e i rifiuti operati così timorosamente, e i tagli e le interpolazioni così dolorose; in una parola, tutte le ruote e i pignoni, e i marchingegni per lo spostamento delle scene, e le scale e i pioli e le botole, e i tiri di canapa, e il colore rosso e le tacche in nero che, in novanta casi su cento, costituiscono lo strumentario dell’istrione letterario.”

(da La filosofia della composizione di Edgar A. Poe, edizioni La Vita Felice, Milano 2012.)


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