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Le terre leggendarie di Umberto Eco

Creato il 17 ottobre 2013 da Rodolfo Monacelli @CorrettaInforma

Viaggio nella geografia immaginaria di Umberto Eco, tra falso e stupidità

Umberto Eco Le terre leggendarie di Umberto Eco

A quasi un anno dall’uscita degli Scritti sul pensiero medievale, Umberto Eco ritorna in libreria con un nuovo lavoro, pubblicato sempre da Bompiani ma questa volta completamente inedito, sulla Storia delle terre e dei luoghi leggendari – una sorta di atlante di geografia immaginaria.

Il volume, minuziosamente curato e riccamente illustrato, è il quarto di una serie che si inserisce perfettamente in quel filone “occasionale” cui l’autore si è dedicato negli ultimi anni, e che comprende Storia della bellezza (2004), Storia della bruttezza (2007) e Vertigine della lista (2009), scritto su invito del Museo del Louvre di Parigi. È un libro di Eco, e il lettore che vi si accosta sa già che si troverà di fronte a un testo colto, ricco di riferimenti trasversali in nome di quell’interdisciplinarietà tipica di Eco, ma allo stesso tempo divulgativo. Se Il nome della rosa era destinato a una stretta cerchia di lettori (anche se poi sappiamo com’è andata a finire), questa Storia è per tutti.

Innanzitutto, un considerazione sul titolo. Nella prefazione, Umberto Eco afferma che il libro è dedicato a terre e luoghi “perché talora si tratta di veri e propri continenti, come Atlantide, altre volte di paesi e castelli e (nel caso della Baker Street di Sherlock Holmes) appartamenti”; ma chiarisce che non si parlerà di luoghi “inventati”, romanzeschi insomma, come la casa di Madame Bovary o quella di Leopold Bloom, ma di “terre e luoghi che, ora o nel passato, hanno creato chimere, utopie, illusioni perché molta gente ha veramente creduto che esistessero o fossero esistiti da qualche parte”. Ed ecco che il lettore potrà gustarsi la storia delle Isole Fortunate e quelle dell’Utopia, di Eldorado, Atlantide, Mu, Lemuria, Alamut, Salomone e Agarttha, del paese di Cuccagna e del Graal sino all’invenzione di Rennes-le-Château, luogo – questo sì – realmente esistente, ma divenuto leggenda dei nostri giorni (anche a causa del successo del Codice da Vinci di Dan Brown).

Se pensiamo all’opera di Umberto Eco, vediamo come questa Storia si collochi, sì, in quel filone “occasionale” di cui abbiamo detto, ma esprima un vero e proprio interesse dell’autore per le lingue e la geografia immaginarie – di cui il lettore può già trovare traccia nella Ricerca della lingua perfetta (1993) e un assaggio in Costruire il nemico (2011) nel saggio “Astronomie immaginarie” – e, più in generale, per il falso (per errore o menzogna) come motore della Storia: e non è un caso che il suo ultimo romanzo, Il cimitero di Praga (2010), sia dedicato proprio a questi ultimi temi.

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Tuttavia l’interesse di Umberto Eco per il falso non è recente, risale al Pendolo di Foucault (1988), tutto dedicato alla paranoia del complotto e “agli occultisti che credono a tutto con fanatismo”, passa per Baudolino (2000), dove si racconta del regno e della lettera di Prete Gianni (la cui vicenda non poteva mancare in questa nuova Storia) e arriva, come abbiamo detto, sino al Cimitero di Praga, che mostra attraverso il falsario Simone Simonini il meccanismo di costruzione dei Protocolli dei Savi di Sion.

Ma il falso Umberto Eco non l’ha solo narrato, l’ha anche teorizzato: si pensi al saggio “Falsi e contraffazioni” nei Limiti dellinterpretazione (1990), ripreso poi negli Scritti sul pensiero medievale (2012) in cui è contenuto un ampio scritto su “La falsificazione nel Medioevo”, nonché su una semiotica della falsificazione; all’ultima delle sei Norton Lectures all’Harvard University (ora contenuta in Sei passeggiate nei boschi narrativi, 1995) dedicata alla storia dei Protocolli; al saggio “La forza del falso” (Sulla letteratura, 2002); o, ancora, alla prefazione al libro a fumetti di Will Eisner Il complotto. La storia segreta dei Protocolli dei Savi di Sion (2005) e agli scritti sulla Difesa della razza. Antologia 1938-1943, le cui fantasiose teorie razziste trovano spazio anche nella Storia. Il falso, dicevamo, Umberto Eco l’ha narrato, teorizzato, ma anche collezionato; infatti chi conosce la sua passione bibliofila sa che la sua collezione di libri antichi, da lui stesso definita “Bibliotheca semiologica curiosa, lunatica, magica et pneumatica”, è dedicata al tema del falso, dei “linguaggi immaginari, artificiali, folli ed occulti” (di qui anche il suo interesse per il cabalismo, il lullismo e le scienze ermetiche).

Niente di nuovo, dunque, in questa grandiosa Storia delle terre e dei luoghi leggendari, in cui Umberto Eco da buon “maestro del sospetto” – per dirla con Paul Ricoeursmonta leggende e falsi miti, come quello su Rennes-le-Château, concludendo paradossalmente con un capitolo sulle verità romanzesche: “il mondo possibile della narrativa è lunico universo in cui noi possiamo essere assolutamente sicuri di qualcosa, e che ci fornisce una idea molto forte di Verità. [] In questo nostro universo, ricco di errori e di leggende, di dati storici e false notizie, una cosa che assolutamente vera se lo è tanto quanto il fatto che Superman è Clark Kent. Tutto il resto può essere sempre rimesso in discussione”.

Una Storia che, come abbiamo detto, riprende ampiamente passioni e interessi già noti (alcuni dei quali risalenti al liceo quando Umberto Eco passava ore con l’atlante sotto il banco), ma che tuttavia non smette di meravigliare; e che ci aiuta a scoprire un altro aspetto della personalità intellettuale di Eco: serio accademico, attento linguista, sottile filosofo, rigoroso semiologo abituato ad applicare ai testi precisi schemi di analisi ma, allo stesso tempo, pensatore affascinato dalla stupidità, dalla geografia immaginaria e dall’utopia della lingua perfetta, che non si sottrae al fascino dell’ironia e del colto divertimento.


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