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Creato il 06 giugno 2010 da Gianluca1
Le ultime sulla crisi sono tutt'altro che ottimistiche. Fra gennaio e aprile - solo in Italia - hanno cessato l'attività 177.556 imprese, con un saldo fra avviate e chiuse negative di oltre 14mila imprese. Sono i risultati di uno studio condotto dalla Camera di commercio di Monza e Brianza. Il mondo del lavoro continua la sua agonia e a questo punto è la maggioranza a non credere più alle parole dei politici, convinti che presto ci lasceremo la Grande Crisi alle spalle. Il quadro, in effetti, è ben diverso: cresce il numero di cassintegrati e di disoccupati e tirare fine mese sta diventando sempre più difficile per un gran numero di famiglie italiane. In che modo, quindi, possiamo salvaguardare il nostro portafoglio e di conseguenza il Pil? Si dovrebbe iniziare risparmiando sulle cose di tutti i giorni, per esempio sul cibo. Parola di numerosi esperti americani che da quando s'è innescata la Grande Crisi, tengono gli occhi ben puntati su ogni nostra azione quotidiana: ché evidentemente il tracollo dell'economia mondiale non riguarda solo i sotterfugi dei banchieri ma anche il nostro "banale" vivere di tutti i giorni, stabilizzatosi su leitmotiv esistenziali in disaccordo con le risorse ambientali e i fabbisogni complessivi della società. Gli analisti parlano chiaro: se fossimo più accorti e sprecassimo meno quando mangiamo, si avrebbero risparmi enormi che potrebbero avere ripercussioni eccezionali - in positivo - sull'economia mondiale. Certo, detto così può significare tutto e niente, ci vogliono degli esempi. Eccone qualcuno. Il Prodotto interno lordo dipende al 73% dalla propensione alla spesa dei privati. Secondo Andrea Segré, preside della facoltà di Agraria dell'Università di Bologna e autore del progetto "Last Minute Market", ogni 24 ore gli statunitensi gettano nei rifiuti 12mila tonnellate di cibo ancora perfettamente utilizzabile. In Italia le tonnellate di alimenti sprecati sono almeno quattromila al giorno: quattro miliardi di euro è il valore dei beni alimentari che finiscono nei rifiuti di ogni anno nel Belpaese. Nei dettagli scopriamo che il 15% di pane e pasta vengono eliminati ogni giorno (a Milano ogni 24 ore finiscono nel cestino 180 quintali di pane); così il 18% della carne e il 12% di verdura e ortaggi. È come se ogni famiglia italiana buttasse annualmente 600 euro nella spazzatura, su una spesa mensile di 450 euro, circa l'11%. C'è poi l'aspetto umanitario, tenuto conto del fatto che sono circa 150milioni le persone del Terzo Mondo che potrebbero essere sfamate dal cibo che - prodotto dai paesi occidentali - finisce in spazzatura. Curando i destini del cibo sprecato si avrebbe anche un miglioramento delle condizioni climatiche, se si pensa che solo i latticini acquistati e non consumati producono ogni anno 640mila tonnellate di anidride carbonica, principale gas serra. E che - secondo i dati emersi dal Copenaghen Klimaforum 09, il Forum Globale della Società Civile sui cambiamenti climatici che si svolge parallelamente al Climate Change Summit delle Nazioni Unite - "il 10% delle emissioni di gas serra dei paesi sviluppati deriva dalla produzione di cibo che viene giornalmente gettato". Dunque cosa si può fare per venire a capo di questa assurda situazione? Il rimedio non è automatico, tuttavia qualcosa si sta facendo. A cominciare da ciò che accade fra le nostre quattro mura. C'è, infatti, chi ha iniziato a ragionare come i nostri nonni, che non sprecavano mai nulla: loro sì che sapevano cosa voleva dire la fame e quindi l'esigenza di non lasciare nemmeno una briciola nel piatto. "Ricordati che una volta Gesù è sceso da cavallo per raccogliere una briciola di pane caduta a terra", diceva qualche "grande vecchio". Sempre più famiglie stanno (re)imparando a fare più attenzione agli acquisti, comprando meno e più spesso, per essere certi di consumare tutto entro le fatidiche date di scadenza. Molti riutilizzano gli "scarti" per cucinare polpette, polpettoni, torte salate. Enìa, la multi-utility emiliana che si occupa di smaltimento dei rifiuti, pubblica un interessante "Ricettario degli avanzi" per preparare succulenti pranzetti utilizzando tutto ciò che è destinato al sacchetto dell"umido". Si stanno sviluppando iniziative come i mercati per il cibo all'ultimo minuto (www.lastminutemarket.org). Il principio del progetto "Last minute market" è quello di ottimizzare le eccedenze dei grossi supermercati e delle mense trasformando il "cibo in più" in risorsa. Come? Passando il surplus (cibi in scadenza o con qualche difetto estetico nelle confezioni) a particolari associazioni, attive sul territorio e attente al risparmio: la Ronda della Carità, la Piccola fraternità, Il Samaritano, gli Amici della comunità Papa Giovanni XXIII. Nel giro di tre anni di lavoro s'è arrivati ad accumulare più di trecento tonnellate di cibo cotto, e quantità altrettanto significative di alimenti freschi. Grande successo anche per "Orto in condotta" idea di Slow Food. Il suo ideatore, Carlin Petrini, dice che sta diffondendo una nuova idea di relazione con il cibo. Lo scopo principale dell'ente è educare i più piccoli a mangiare sano e bene nel rispetto dell'ambiente e del risparmio. Il progetto in Italia è partito nel 2003 basandosi sull'esperienza maturata dagli school gardens promossi da Slow Food USA. Al Congresso nazionale del 2006 di Slow Food Italia il progetto ha preso il nome di "Orto in condotta" e si è proposto l'obiettivo di creare una rete nazionale di 100 orti. Curiosa l'iniziativa di tre studenti del corso di laurea di Design industriale di Palermo, che durante un work-shop condotto dal designer Giulio Iacchetti, hanno ideato "Portateco". Si tratta di un "fagotto" per trasportare il cibo e una pratica confezione porta-bottiglia con chiusura per poterla tappare. Entrambe le confezioni possono essere riutilizzate più volte e mirano a invogliare le persone a portare via con sé quello che si avanza al ristorante senza così creare sprechi di cibo. In un ristorante americano, invece, chi avanza qualcosa da mangiare, paga più degli altri. Il riferimento è ai proprietari dell'Hayashi Ya - ristorante giapponese nell'Upper West Side della Grande Mela - che "puniscono" chi non pulisce il piatto con un sovrapprezzo del 3% sul conto: "Così eliminiamo gli avanzi e tagliamo i costi", dicono i proprietari della struttura newyorkese. Mentre Joel Berg, responsabile di un piano per la riduzione degli sprechi alimentari sotto l'amministrazione Clinton, afferma che "gli americani rimarrebbero scioccati se sapessero quanto cibo viene sprecato". E aggiunge: "Un newyorkese su sei non si può permettere il cibo di cui avrebbe bisogno, tuttavia abbiamo ristoranti che offrono porzioni abbondanti in modo quasi ridicolo". Buone nuove anche da Londra dove lo scorso 16 dicembre si è tenuto un pranzo gratuito per cinquemila persone a base di frutta e verdura fresche rispedite al mittente dalla grande distribuzione e destinate alle discariche. La proposta arriva dall'associazione "This is rubbish" che si occupa di sensibilizzare il Governo e gli inglesi, riguardo alla necessità di imparare a risparmiare sul cibo.

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