In Etiopia si trovano 11 chiese rupestri, dal 1968 dichiarate patrimonio dell’Unesco. Alcune raggiungono anche i 15 metri di profondità e rappresentano una sorta di “Seconda Gerusalemme” voluta dal re Gadla, alla fine del XII secolo, dopo che i musulmani di Saladino presero la città Santa.
Sono luoghi sacri, la cui leggenda vuole che l’intero complesso sia stato realizzato in una sola notte ad opera degli angeli, tanto da valere il nome di “città degli angeli”. L’Etiopia viene definita la “culla della civiltà”, poiché è qui che, sulle aride terre di un lago prosciugato, sono stati trovati i resti fossili di Lucy, l’ominide che ha dimostrato a tutti che i nostri antenati camminavano in posizione eretta già 3,2 milioni di anni fa.
La regione, situata nella parte orientale dell’Africa che protende verso l’Arabia Saudita, il cosiddetto Corno d’Africa, fu una delle prime in cui si diffuse la religione cristiana, e il rapporto con la fede permea la maggior parte della vita della popolazione. L’Etiopia oggi è lo scrigno di una storia ultramillenaria, una rotta da seguire alla scoperta del passato che “respira” nelle imponenti chiese scavate nella roccia di Lalibela.
Lalibela è una città dal fascino unico, dove natura e storia si sono compenetrate. Uno dei luoghi più affascinanti dell’Africa e del mondo intero, in cui le chiese sono scavate nella roccia, ma con una particolarità: procedendo dall’alto verso il basso. La città si trova lungo la cosiddetta “Rotta Storica dell’Etiopia”, che tocca luoghi di grande fascino come il Lago Tara, le cascate del Nilo Azzurro e la città di Gondar, col suo celebre castello.
Certo, la difficoltà di vivere in alta montagna, con l’agricoltura resa difficile da rocce e terreni poco fertili, appare evidente. Però qui arriva un po’ di turismo a salvare la situazione, con i viaggiatori richiamati dalle chiese rupestri, di cui 4 sono monolitiche. Il nome Lalibela deriva dalla figura dell’imperatore Gebre Mesqel Lalibela, che fu re d’Etiopia tra il XII e il XIII secolo, e portò l’impero a nuovo splendore.
La capitale venne spostata nella città di Roha che, trovandosi in alta montagna, era meglio difendibile dalle pressioni arabe. In onore dell’imperatore, si dice un omone alto due metri, il nome di Roha fu cambiato in quello di Lalibela. Una leggenda narra che il sovrano, da bambino venne avvolto da uno sciame di api e battezzato “Lalibela” poiché in lingua agaw significa “le api riconoscono la sovranità”.
Egli fu in seguito anche avvelenato e miracolosamente sopravvisse, accrescendo il suo mito di re benvoluto da Dio. Il re Lalibela difese la cristianità dell’Etiopia, facendo costruire delle chiese scavate nella roccia, unite da tunnel e cunicoli in modo da essere meglio protette. Creò una sorta di “nuova Gerusalemme”, una riproduzione dei luoghi principali della Palestina, affinché i fedeli potessero compiere il loro pellegrinaggio in Terra Santa, senza correre rischi nel lunghissimo viaggio. Come siano state costruite queste 11 chiese rupestri monolitiche è ancora sconosciuto.
Non esistono progetti e le fasi della costruzione sono difficili da elaborare. Ci sono quindi anche incertezze riguardo alle tempistiche. È probabile che i primi scavi, con lo scopo di creare palazzi e non chiese, siano iniziati già intorno al VI e VII secolo e si siano prolungati fino al XIV secolo. Certo, il lavoro è stato complesso e la cosa stupisce ancora di più perché si suppone che essi abbiano utilizzato dei piccoli scalpelli.
Le rocce scavate sono “ignimbriti”, cioè rocce piroclastiche della specie di tufi compatti. Materiale facile da lavorare, ma che si rovina facilmente a contatto con gli agenti atmosferici. Alcune chiese quindi si presentano supportate da sistemi di protezione, tipo impalcature e coperture alle pareti, proprio per evitare che le piogge le sgretolino. Naturalmente uno scempio che rasenta il sacrilegio, ma compiuto a fin di bene, per nobili cause, e che quindi va accettato.
Le chiese vengono chiamate “bete” che significa “casa”, termine seguito dal nome del Santo o della Vergine a cui sono dedicate. Informazioni in merito ci dicono che per visitare tutte le 11 chiese si può acquistare un unico biglietto al costo di 100 birr, ovvero circa 4 euro. Vicino alla biglietteria si trova un Museo molto interessante, con in mostra gli scalpellini utilizzati. Le chiese sono suddivise in 3 gruppi: il gruppo settentrionale, vicino alla biglietteria, dove si trovano 6 chiese rupestri, compresa la grande Bete Medhane Alem (la casa del Salvatore del mondo), che ospita la croce di Lalibela.
Si pensa possa essere la più grande chiesa monolitica al mondo, probabilmente una copia di Santa Maria di Sion ad Axum. Essa è legata, tramite un percorso tra le rocce, alla Bete Mariam (la casa di Maria), probabilmente la più antica, a Bet Ghel e Bete Mikael (la casa di San Michele) ed a Bete Golgotha, che dovrebbe contenere la tomba del re Lalibela. Sempre comunicanti anche la cappella Selassiè (dedicata alla Santissima Trinità) e la tomba di Adamo. Il fiume Giordano, un canalone tra le rocce, separa le chiese settentrionali e l’occidentale casa di San Giorgio dal gruppo orientale.
Quest’ultimo comprende 4 chiese e cioè Bete Amanuel, (casa di Emanuele), forse l’antica cappella reale, Bete Merkorios che può essere stata una prigione, Bete Abba Libanos e Bete Gabriel-Rufael, forse un palazzo reale. Il gruppo occidentale è invece fondato esclusivamente da Bete Giyorgis (la casa di San Giorgio), l’ultima chiesa costruita dal punto di vista cronologico, quella meglio conservata, e da dove si può ammirare un panorama mozzafiato.
La vista dall’alto della pianta a croce, scavata nella roccia, è sublime, ma manca di ogni sistema di protezione e potrebbe rivelarsi pericolosa. Tale chiesa è infatti un monolite a forma di croce scavato per una dozzina di metri nella roccia tufacea, senza muratura e collegata alle altre da numerosi cunicoli. Un vero e proprio gioiello dell’antichità, di cui si dice che il santo abbia diretto i lavori personalmente.
Senza dubbio undici meraviglie di architettura applicata ad una natura già di per sé spettacolare. Undici stupefacenti luoghi di culto di cui vorremmo sapere di più.
Written by Cristina Biolcati