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Le vacanze che a 15 anni non amavo e oggi hanno un valore inestimabile

Creato il 20 giugno 2013 da Assugoodnews @assunta73

foto 12Io a Sacco a non ci volevo andare. Quando arrivava la fine di luglio cominciavano i preparativi per la partenza. Mia mamma alle prese con i bagagli, mio papà con la mente alla macchina e al lungo viaggio che ci aspettava, mia sorella giocava e io mi chiedevo “perché devo andare a Sacco anche quest’anno… mi annoio!”. La partenza per andare dai nonni. A Sacco. Un paesino che per me era assolutamente noioso, triste, senza una minima energia. Cercate di capire: avevo 15 anni. E andavo a Sacco dalla nascita, quindi… fate due conti.

I miei amici erano al mare in Riviera Adriatica, in Liguria, in Sardegna…io a Sacco. Il mare nemmeno c’è. Ma era cosi perché li vivevano i nonni, per qualche anno ancora i bisnonni. Si perché a Sacco ci sono nati i miei genitori. Tutti e due. Se almeno uno dei due fosse nato, che so, in un paese vicino al mare della Sicilia o magari anche a Palinuro, sempre Campania ma con un mare da fare invidia ai Caraibi. No. Tutti e due a Sacco, piccolo paesino dell’entroterra campano di poche anime in cui il massimo divertimento era fare il giro per la variante, percorrere avanti e indietro l’unica strada che attraversa l’intero paese –che però si chiama Corso Vittorio Emanuele – , prendersi un gelato al bar, farsi coccolare dai nonni che si vedono una volta l’anno, riabbracciare qualche amico, ascoltare un po’ di musica. Queste erano le mie vacanze. A 15 anni.

Quindi, si organizzava la partenza e si affrontava il lungo viaggio per arrivare a Sacco. Mille chilometri che mio papà amava fare di notte perché cosi noi dormivamo tranquille. Ma soprattutto perché se no io lo avrei stressato con una mia piccola fissa che avevo sin da piccola: trovavo noiose le autostrade. Io volevo fare le statali, attraversare paesi, vedere gente, sentire profumi, ascoltare voci… qualcosa si stava delineando nel mio futuro. Il mio povero papà doveva sperare che io dormissi tutto il tempo. Solo che 12 ore sono tante… Ci si fermava per brevi soste. La meta era lontana. Con il passare degli anni abbiamo abbandonato la partenza notturna per lasciare spazio alla levataccia delle 4 del mattino e via, tutti in macchina.

Arrivati a Sacco era una festa – per gli adulti ! – i miei nonni felici di vederci, i miei genitori felici di tornare al loro paese, mia sorella ancora piccola per comprendere tutto ma già con qualche segnale di rifiuto. Anche più forte del mio per la verità. Io pensavo ai miei amici al mare. Sia chiaro vedere i nonni era fantastico perché quei miei amici che andavano in Riviera Romagnola o Liguria o Sardegna avevano anche la fortuna di avere i nonni vicino a casa e di poterli vedere ogni giorno. Anzi, la maggior parte di loro veniva cresciuto dai nonni. Noi no. Eravamo lontane. Quindi rivederli era una grandissima gioia per me. Però avevo 15 anni e potete immaginare cosa mi girasse per la testa.

Dopo l’arrivo: la sistemazione, i parenti – nei paesini del sud tutti si è imparentanti – che vengono a salutarti, qualcuno lo incontri alla prima uscita. Affrontare la piazza centrale del paese il giorno dopo l’arrivo significa metterci almeno un’ora di saluti, 5-6 caffè bevuti, 7-8 gelati rifiutati. Perché il sud ha un’ospitalità che al nord ci si sogna. Questo l’ho capito anche a 15 anni. Quelle persone erano cresciute con i miei genitori, alcune di loro li avevano visti crescere. La vacanza era cominciata.

Io correvo subito da Luciana e Anna Pia che erano il mio punto di riferimento. (Non c’erano i cellulari quindi quando dico correvo intendo proprio correvo fisicamente a casa loro a chiamarle). Le amiche con cui trascorrevo ogni singolo momento della mia vacanza e soprattutto anche loro non proprio amanti di Sacco. Luciana viveva a Nocera Superiore e Anna Pia – che poi è anche una mia cugina – a Cava de’ Tirreni. Anche loro “straniere” con i genitori nati a Sacco. Non c’era Facebook allora ma le nostre giornate erano pura condivisione di pensieri, emozioni, rifiuti, rotture di scatole. Il juke box del bar di Pietro era il nostro migliore amico. Monetina, canzoni – sempre le stesse che diventano la colonna sonora della nostra vacanza- e chiacchiere. Qualche volta la partita del torneo di calcio che coinvolgeva i paesi limitrofi, altre volte le serate della festa del paese del 2 agosto che significava banda, bancarelle, musica dal vivo, luci, dolciumi, grandi mangiate in famiglia. Quando sono cresciuta uscivo con la zia Rachele, sorella giovane di mio papà. Abbiamo pochi anni di differenza quindi era come uscire con un’amica. Con lei – e gli amici con la macchina – si andava ai concerti nei paesi vicini, si organizzavano gite alla sorgente del fiume Sammaro o pic nic di Ferragosto.

grotte

Tre settimane cosi…e poi arrivava il giorno prima della partenza. In casa un via vai di parenti che volevano salutarci. Io facevo gli onori di casa e poi uscivo per salutare i miei amici di quella estate. Di nuovo 12 ore di macchina, di nuovo il mio stress delle statali e di nuovo a casa. Nella casella postale trovavo le cartoline dei miei amici. Oh si, si mandavano le cartoline allora! Dalla Sicilia, dalla Sardegna, dalla Riviera Romagnola, dalla Liguria… anche io le avevo scritte a loro. Da Sacco. Un paio di settimane e ricominciava la scuola. La mia vita “milanese” riprendeva.

Oggi non ho più 15 anni… torno ancora a Sacco appena riesco – almeno una volta l’anno – perché ho la fortuna di avere ancora tre nonni, molti zii, qualche cugino. Ora ci sto una settimana, massimo due. Respiro l’aria di Sacco, saluto vecchi amici, faccio un giro in montagna dove il panorama è unico e l’aria pulita, percorro le strade nascoste del paese o il corso principale pensando a quanto è cambiato da allora. Qualcuno più anziano – purtroppo anche giovani – non c’è più, mio nonno non ha più il negozio di alimentari ma qualcun altro se ne sta prendendo cura, qualche negozio ha chiuso, un nuovo bar ha aperto e molte case sono rimaste vuote. Soprattutto sono cambiata io perché a Sacco, oggi, voglio tornarci. Non per farci una vacanza, ma per rivedere i nonni e respirare ancora quell’atmosfera sana di un paese dell’entroterra campano. Con tutti i difetti di un paesino di poche anime ma anche con il grande pregio di restituire il valore dei gesti semplici. Oggi i ragazzi del paese usano Facebook e con alcuni di loro mi relaziono grazie al social network. Ma quando vado li respiro un’aria diversa, più genuina, più autentica. E allora mi ritengo molto fortunata. A 15 anni non l’ho capivo, oggi si.

Ogni cosa ha un tempo. Allora non davo valore al fatto che le mie tre settimane di vacanza si svolgevano in un paese del Parco del Cilento e Vallo di Diano… si, quello inserito nel Patrimonio dell’Umanità UNESCO. Oggi lo comprendo. Mi pento di non aver vissuto con maggiore intensità quelle estati? No. Perché quello era il tempo degli amori estivi, delle canzoni che ti emozionano, degli amici che rivedi. Potevi essere in Sardegna o in Riviera Ligure…non era il luogo era ciò che si viveva. Oggi, è ancora cosi per alcuni versi ma per altri si comprende anche il valore dei luoghi e delle situazioni.

Pensieri…che mi sono saltati in mente ieri quando Claudio, il sindaco di Sacco – che quando avevo 15 anni era uno dei giovani che incontravo per il corso – mi ha segnalato su Facebook il 1° Concorso di poesia “Un sacco di versi”. Mi si sono risvegliate antiche emozioni, valori della famiglia, profumi, colori, sensazioni. Mi sono tornate in mente le mie estati nell’ entroterra del Cilento. Quelle che erano un obbligo per me ma per le quali oggi dico grazie ai miei genitori, cilentani doc. Grazie perché oggi apprezzo quelle estati. Perché le ricordo e sorrido. Quindi, non devono essere state cosi male…



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