La storia del basket americano è punteggiata di capolavori: il talento tecnico degli atleti disegna giocate memorabili sulle pareti della Hall of Fame di Springfield e il genio dei dirigenti più illuminati si nasconde dietro le realtà più vincenti di sempre. Le perle ineffabili di Magic Johnson e Kobe Bryant, l’orgoglio eterno di Bill Russell e Larry Bird e il carisma invincibile di Michael Jordan illuminano la scena, ma l’arguta saggezza di Red Auerbach e l’efficienza svizzera del tandem Gregg Popovich-R.C. Buford campeggiano sicure all’ombra della gloria. Le alterne vicende della Lega più famosa del mondo dimostrano che i grandi del parquet faticano a trasformare le loro imprese in anelli se i loro dirigenti non si muovono con grande sagacia e notevole lungimiranza.
L’estate più pazza dell’ultimo lustro ha rafforzato questa tendenza. LeBron James è tornato a Cleveland, ma non si è limitato a risvegliare le speranze che i tifosi dei Cavs avevano seppellito nell’estate del 2010; nel segreto delle riunioni l’agente del Prescelto ha chiesto al proprietario Dan Gilbert e al suo staff uno sforzo notevole per “trasferire South Beach nel North-East Ohio”. La dirigenza ha assecondato con piacere i desideri della stella più luminosa della Lega e ha scambiato il futuro con il presente. Le prime scelte del 2013 (Anthony Bennett) e del 2014 (Andrew Wiggins) hanno imbarcato le loro valigie sull’aereo per Minneapolis e hanno permesso a Kevin Love di compiere il tanto sospirato tragitto inverso. L’ambizione delle superstar ha travolto la pazienza che le logiche del Draft impongono alle franchigie d’oltreoceano; dopo il 1993 nessun proprietario aveva mai avallato un’operazione così ardita e finalizzata all’esaltazione dell’Oggi al cospetto del Domani.
IL PRECEDENTE: CHRIS WEBBER – La trade che ha coinvolto i Cleveland Cavaliers e i Minnesota Timberwolves ha riportato le lancette della storia al 1993: nella torrida estate del primo ritiro di Michael Jordan gli Orlando Magic scelsero Chris Webber con la prima chiamata assoluta, ma l’ex Fab-Five fece appena in tempo a indossare il cappellino della sua “prima” franchigia NBA. Lo staff della Florida lo spedì subito ai Golden State Warriors in cambio dell’elettricità esplosiva di Anfernee “Penny” Hardaway e di tre prime scelte assolute. L’affare spalancò prospettive interessanti per entrambe le contraenti, ma lasciò ai due angoli opposti del Sud costiero il sapore acre della grande incompiuta. La Bay Area vide nascere la stella di C-Webb ed esplodere l’energia incontenibile di Latrell Sprewell – che sarebbe stato chiuso da Hardaway e avrebbe avuto meno possibilità di incendiare le transizioni con la sua irripetibile rapidità bidimensionale – ma non assistette all’ascesa di una squadra da titolo. Gli eredi della “Run TMC” si persero fra le liti e le tensioni legate all’arrivo di PJ Carlesimo; la loro diaspora non riempì di lacrime la città più affascinante e controversa della California settentrionale. Orlando inserì la brillantezza esplosiva di Hardaway accanto alla forza sovrumana del giovane Shaquille O’Neal, ma non andò oltre il cappotto tremendo delle Finals 1995. Dodici mesi dopo lo sweep, i soldi e le lusinghe dei Lakers spostarono “The Big Diesel” da Disneyworld a Disneyland e spensero i sogni dei Magic. Quando “Penny” Hardaway cominciò la sua lunga battaglia contro gli infortuni, Chris Webber litigò con Don Nelson e ruppe i rapporti con i Golden State Warriors; il suo talento avrebbe riempito le pupille di altre folle e avrebbe esaltato l’ARCO Arena di Sacramento nel ciclo più esaltante della storia cestistica della capitale californiana. Tecnica e spettacolo, atletismo e divertimento, ma nessun titolo: un sinistro presagio?
IL GENIO DI AUERBACH: RUSSELL AI CELTICS – Nessun cestista ha cambiato la geografia dell’NBA e la storia del gioco più entusiasmante del mondo come “The Revolution”, Bill Russell. L’atleta più vincente della storia dello sport americano cominciò la sua inimitabile carriera con una vicenda piuttosto singolare: Red Auerbach voleva assicurarsi a tutti i costi le sue prestazioni poiché un suo ex-giocatore gli aveva parlato magnificamente dell’esplosività sconfinata e dell’orgoglio indomabile di quello strano afroamericano. I Celtics non avevano la chiamata al primo giro, ma, dal momento che i Rochester Royals lo avevano lasciato andare poiché erano già abbastanza coperti nel verniciato, convinsero i Saint Louis Hawks a mandare Russell nel Massachussetts in cambio del sei volte All-Star Ed Macauley e di Cliff Hagan. La mossa dell’allenatore più arguto della Lega avviò l’epopea di Boston e mutò per sempre i destini della palla a spicchi.
LE ALTRE PRIME SCELTE SCAMBIATE – I Celtics furono protagonisti di un’altra grande trade post-draft: nel 1950 cedettero Chuck Share ai Fort Wayne Pistons e se lo trovarono di fronte nel 1958, nell’unica serie di finale persa dell’era-Russell. Anche la prima scelta assoluta del 1951, Gene Melchiorre, non vestì mai la canotta dei Baltimore Bullets, ma i motivi del distacco furono molto più tristi: il giovane prospetto aveva truccato alcune partite collegiali in cambio di denaro e fu incastrato dalla giustizia sportiva nel ciclone più tremendo degli anni Cinquanta, lo scandalo “point shaving“. Il carneade Clifton McNeely (BAA-1947) e il celebre David Thompson (1975) rinunciarono alle attese delle “loro” franchigie “originarie” per intraprendere carriere diverse: il primo si sedette subito su una panchina liceale, il secondo frustrò le speranze di Atlanta Hawks (NBA) e Virginia Squires (ABA) per seguire i dollari e le lusinghe dei Denver Nuggets (ABA).
BYE-BYE AIR-CANADA: IT’S TIME FOR LOVE – Ventun’anni dopo Chris Webber e “Penny” Hardaway, Cleveland e Minnesota aggiornano gli almanacchi: la prima scelta assoluta Andrew Wiggins lascia l’Ohio per le gelide gallerie di Minneapolis. Il viaggio contrario non riguarda un altro giovane di belle speranze, ma l’ala forte più intrigante e controversa dell’NBA moderna, un giocatore capace di stampare doppie-doppie con imbarazzante facilità e di crivellare le retine come un cecchino anche dalle distanze più ragguardevoli, ma sempre lontano dai sogni-Playoff. La stima di LeBron James e la straordinaria compatibilità con le idee offensive di David Blatt lo rendono perfetto per il sistema dei Cavaliers, ma il suo arrivo potrebbe costare caro al futuro e al “karma” della franchigia: Dan Gilbert ha convertito le due prime scelte consecutive che la miseria tecnica delle ultime stagioni e la fortuna della Lotteria hanno regalato all’Errore sul Lago.
I miglioramenti estivi di Anthony Bennett e il potenziale esplosivo di Andrew Wiggins non hanno convinto la dirigenza: il fascino di Love e la voglia d’anello hanno potuto più dell’idea di affiancare alla forza straripante di LBJ le strepitose caratteristiche atletiche e difensive del prodotto di Kansas, un ragazzo del 1995 che promette di dominare le ali per più di un decennio. I Cavaliers puntano sul presente per cambiare l’immagine della loro città e della realtà che rappresentano; il futuro dei giovani canadesi è troppo lontano per sedurre gli appetiti di gloria di una piazza che si prepara a vivere il suo autunno più esaltante. Secondo un refrain consolidato, l’avvenire e l’intrigo trovano spazio a Minnesota; nessuna pressione, tanta speranza e poderosi generatori di elettricità cestistica: la stagione dei Timberwolves di preannuncia divertente, ma rappresenta l’ennesimo “anno-zero” di una franchigia che non ha ancora assorbito il trauma del distacco da Kevin Garnett. Wiggins, Bennett, Young, Pekovic, Rubio, Dieng e LaVine promettono un dopodomani straordinario, ma le sirene delle grandi piazze li lasceranno in pace o li attireranno nella “prossima-Cleveland”? Kevin Love e Kyrie Irving diventeranno difensori affidabili e giocatori decisivi anche nella primavera inoltrata o resteranno per sempre due stupendi talenti incompiuti? Il tempo e la logica si schierano dalla parte di entrambi i protagonisti della trade più intrigante degli ultimi anni, ma il verdetto finale spetterà all’unico giudice inappellabile dello sport più bello del mondo: il campo.
Sarà vera gloria?