Le vendicatrici , Eva: l'incipit

Creato il 12 giugno 2013 da Funicelli

E' uscito il secondo capitolo della serie Le vendicatrici, della coppia Carlotto Videtta: protagonista in questa storia è Eva D'angelo, la proprietaria della profumeria, ora socia di Ksenia e Luz.

Questo è l'incipit (scaricabile da qui):

Prologo
Salí le scale di corsa e si fermò davanti alla porta aperta. Lo
sentí respirare forte e si decise a entrare. Due mani le afferrarono le spalle e la spinsero contro la parete.
La baciò fino a farle mancare il respiro. Le sfilò il cappotto, la giacca, le sbottonò la camicetta e la spinse sul divano. Lei si arrese senza condizioni al suo corpo muscoloso, travolta e sopraffatta come desiderava da molto tempo.
Sorrise al piacere di inebriarsi del suo profumo, proprio quello che aveva scelto per lui.
– Guardami, – sussurrò, e lei cercò i suoi occhi.
Aveva di menticato quanto fossero belli.
Aprí le gambe e gli afferrò i glutei per aiutarlo a entrare.
Mai piú senza di lui.
Insieme. Di nuovo.
Abbandonarsi. Senza diffidenza.
A una passione. Da troppo accantonata.
A un’emozione nuova. Ritrovata. Nuova.
Sconosciuta. Diversa. Ritrovata. Come una seconda prima
volta.
Senza pudore. Come un’amante.
Aspetta.
Con fiducia. Come una moglie.
Di nuovo. Insieme.
Aspetta
Uomo. Donna. Marito. Moglie. Amanti.
Insieme.
Mai piú senza di te.
Aveva dimenticato quanto fosse bello.
Troppo tempo. Da sola. Mai piú.
Insieme.
Di nuovo.
Per sempre.
Ti sento.
Mi sento.
Ancora.
Insieme.
Dio, che bello.
Che bello, sí.
Insieme.
Sí.
Poi lo prese per mano e lo portò in camera, la loro camera.
Lo fecero ancora, senza una parola, concentrati sui sospiri.
Infine lei si addormentò fra le sue braccia.
Lui rimase immobile. Soltanto gli occhi si muovevano a caccia di ricordi.
Ogni cosa era al suo posto. Quella stanza aveva atteso il suo ritorno.
Eva D’Angelo si svegliò presto. Ammirò una volta di piú la bellezza dell’uomo che le dormiva accanto.
«Il mio sposo», mormorò fra sé con orgoglio.
Avrebbe voluto rimanere ancora a letto ma quel giorno
cominciavano i saldi, la profumeria sarebbe stata presa d’assalto. Non poteva lasciare Ksenia e Luz da sole. Le sue socie e uniche amiche non avevano ancora l’esperienza necessaria per affrontare una folla di clienti.
Sospirò pensando a quanto sarebbe stata interminabile la
giornata prima di rivederlo.
Si lavò a malincuore: le sarebbe piaciuto tenersi addosso l’odore di quell’amore ritrovato. Contemplandosi allo specchio vide una bella donna di quarant’anni che sorrideva come una stupida, con le stesse fossette sulle guance di
quand’era bambina.
Decise di scrivergli un biglietto. Lo faceva spesso dacché
era tornato. Quella mattina non trovava le parole giuste per
esprimere l’ondata di emozioni che la travolgeva. «Ancora
tu», vergò con la sua grafia chiara e tondeggiante, e uscí, risoluta a raccontare tutto a Luz e a Ksenia, che questa volta avrebbero dovuto capire.
In strada si rese conto di essere in ritardo. Sollevò il bavero del cappotto per difendersi dal freddo e affrettò il passo verso la macchina parcheggiata sul lato opposto dei giardinetti pubblici, ancora deserti a quell’ora del mattino.
Seduta su una panchina del piccolo parco giochi c’era una donna dall’età indefinibile: quaranta, forse cinquant’anni.
Nonostante la temperatura rigida, indossava solamente un lungo cardigan sopra una maglia di lana fiorata e una gonna di un azzurro lucido fino ai piedi che metteva in evidenza il ventre prominente. Teneva d’occhio una bambina dai boccoli corvini che si dondolava su un’altalena lanciando urletti di piacere.
– Fai attenzione, mannaggia la testa tua! – continuava a raccomandarsi la donna dalla panchina, con uno strano accento che Eva non seppe decifrare.
Al momento di svoltare nel vialetto che conduceva all’automobile, si trovò circondata da cinque donne, tutte molto giovani. Scherzavano rumorosamente, spingendosi e ridendo
in modo sguaiato. Anche loro indossavano gonne lunghe dai colori vivaci, fucsia, verde acceso, e maglioni dalle fantasie chiassose, zebrate o floreali. Portavano i capelli nero pece sciolti sulle spalle e avevano la carnagione olivastra. C’era qualcosa che non andava in quelle tizie, non facevano che guardarsi attorno.
Nel gruppo spiccava una bella ragazza sui venticinque anni. A differenza delle altre, era bionda e aveva la pelle chiara. Le venne incontro facendole una domanda che Eva in un primo momento non riuscí a capire.
– Ti chiami Eva D’Angelo, vero?
– Sí, perché?
– Tanto per essere sicura, – spiegò la bionda dandole una
violenta spinta.
Le altre quattro la chiusero contro una siepe.
– Pigliatevi la borsa! – urlò Eva, terrorizzata.
– Zitta, schifosa. Non voglio i tuoi soldi, – ribatté la bionda.
Eva reagí, divincolandosi freneticamente.
– Ferma, – ordinò la bionda, puntandole al collo un vecchio rasoio da barbiere.
– No, ti prego.
Le complici l’afferrarono per le braccia.
La ragazza avvicinò la bocca all’orecchio di Eva.
– Tu lo devi lasciare stare. Renzo è mio.
Eva sentí la guancia bruciare. Il gesto della bionda era
stato fulmineo, uno scatto del polso di cui non si era nemmeno accorta.
Si ritrovò a terra contro la siepe mentre il gruppo delle assalitrici si disperdeva in direzioni opposte.
La bocca le si riempí di sangue. Dalla borsa prese un fazzoletto per tamponare la ferita. Lo vide inzupparsi di rosso.
– Signora, è scivolata? Ha bisogno di aiuto? – domandò un’anziana passante.
Eva provò a dire che non le faceva troppo male, ma si accorse dello sguardo inorridito della soccorritrice.
Frugò ancora nella borsa in cerca dell’astuccio del fard e commise l’errore di guardare la ferita nello specchietto. Cadde su un fianco, svenuta.

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