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Le vertigini delle arti giapponesi

Creato il 07 maggio 2010 da Viadellebelledonne

Le vertigini delle arti giapponesi

Come ogni anno, la settimana della cultura ha offerto diverse ghiotte occasioni qui nei musei di Venezia, e non solo. Quanto a me, ho approfittato un’altra volta di un percorso visivo offerto dal Museo d’Arte Orientale di Ca’ Pesaro, presentato dalla restauratrice ed esperta di arte giapponese Barbara Biciocchi, che sa presentare questo mondo, per la maggior parte di noi inusuale e lontano, e quindi a maggior ragione affascinante, con l’evidenza, la semplicità e l’eleganza di chi padroneggia profondamente una materia.

Gli argomenti erano questi, supportati da un ricco materiale costituito da preziosi oggetti e dipinti:

Considerazioni attraverso le vertigini delle arti giapponesi, con gli occhi del restauratore .

Inusitati tagli prospettici, magici illusionismi. I sentimenti contrapposti dell’odio e dell’amore.

La vertigine è insita nella visione a volo d’uccello, tipica di molti dipinti giapponesi; nonostante sia opinione comune che lo studio della prospettiva sia nato e si sia sviluppato in Europa durante il Rinascimento, la pittura orientale dimostra molto spesso la capacità di rendere architetture, dettagli ambientali e interi paesaggi con un senso prospettico che non può essere casuale, anche se i metodi di studio ed apprendimento dei maestri giapponesi erano, e sono tuttora, molto diversi da quelli occidentali.

Storicamente, ci sono stati contatti fra Europa ed Oriente nel XVI° secolo, e sopratutto, per quanto riguarda il Giappone, a partire da metà 800; tuttavia, quel particolare modo di concepire e rendere i paesaggi, sempre da un punto di vista aereo, dove il pittore in realtà non può essere materialmente stato, quel modo di dipingere uccelli che volano in formazione o lottano fra loro, mostrandoli allo spettatore come fosse lui stesso un uccello in volo, a volte ancora più in alto dell’uccello dipinto, non si spiega se non cercando di capire la concezione orientale della natura.

Per lo shintoismo, ogni cosa esistente in natura è dotata di vita spirituale; ne deriva che l’artista, anche quello che si dedica alle arti che noi chiamiamo minori, è una figura sacerdotale, in grado di restituire l’anima della natura, cui partecipa il regno vegetale ed animale, e perfino l’uomo.

La grazia apparentemente spontanea dei dipinti giapponesi deriva dalla “disciplina dell’occhio”, che studia pazientemente, assimila e restituisce come bellezza pura le forme visibili, penetrandole nel loro nucleo profondo.

Dopo aver ascoltato le parole di Barbara, i presenti (più numerosi degli anni precedenti) hanno potuto ammirare in modo più consapevole le bellissime stampe appese alle pareti, in particolare una gru vista dall’alto in atto di precipitare, e una poetessa che legge una lettera sotto la pioggia; anche questo personaggio è osservato dall’alto, ed il pittore Gessho le attribuisce caratteristiche anticonvenzionali, perchè la poetessa non è bella ma emancipata, ricca, elegante, dotata di forte personalità.

I sentimenti contrapposti dell’odio e dell’amore convivono nella spada, oggetto vocato all’odio ma forgiato e decorato con un lunghissimo percorso di disciplina dal suo forgiatore, che agisce con gli aiutanti, e non è in grado di realizzare uno strumento perfetto se non si dedica ad esso con sapienza e passione; è lo strumento del samurai e il suo scopo è la vendetta e la morte, ma ogni sua parte è finemente decorato con motivi tratti dalla leggenda, dalla letteratura, dalla natura nei suoi aspetti più teneri e gioiosi.

I samurai di rango possedevano sempre due spade, una lunga (katana) e una corta (wakisashi); andavano indossate insieme.

La forgiatura della lama richiede un procedimento estremamente lungo, faticoso ed accurato, e si ottiene un acciaio dalla durezza e flessibilità ottimali, con un taglio sottilissimo; si tratta di un metodo artigianale antico tuttora in uso da parte di pochi eletti maestri, ricercati ormai non più dai samurai ma da collezionisti disposti a spendere una fortuna.

La bellezza di questi oggetti è pura poesia, fusa con un metallo la cui qualità non ha niente da invidiare a quella raggiungibile con le più sofisticate tecniche contemporanee.

Per quanto riguarda le spade, il Museo d’Arte Orientale di Ca’ Pesaro ne possiede una collezione ricchissima; come per ogni tipo di oggetto artistico, queste stanze vanno percorse e ripercorse più volte, per poter godere appieno l’armonia di ogni singolo pezzo, e l’accurata, finissima definizione dei dettagli, qualunque sia il materiale usato.



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