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Le ville vesuviane, la Villa d’Elboeuf

Creato il 18 febbraio 2014 da Vesuviolive

Villa d'Elboeuf

Come può un popolo di poeti, di artisti, di eroi, di santi, di pensatori, di scienziati, di navigatori, di trasmigratori, dall’alto della loro autorevolezza e cultura, dal basso delle loro più feconde e costruttive disfatte, dopo aver attraversato gli oceani del tempo, dopo aver seguitato alle più gravose e titaniche imprese degli avi, dopo aver posto fine all’idolatria della natura e inaugurato l’era dell’industria, dopo aver maturato e compiuto le più risolutive e determinanti scelte in favore del moderno, lasciare in balia dell’abbandono una delle sue filiazioni più preziose, una delle sue architetture più ambiziose e superbe? Come si può continuare a lasciare a se stessa la Villa d’Elboeuf, la quale, nel vesuviano rosario di comuni, rimane ancora oggi una delle più significative corone porticesi? Si merita una sorte così funesta, e triste, uno tra i più generosi e gratuiti lasciti che l’epoca borbonica ci ha consegnato?

Villa d'Elboeuf 700

Villa d’Elboeuf nel ’700

La Villa d’Elboeuf era splendida, forse la più meravigliosa tra tutte le Ville Vesuviane che componevano il Miglio d’oro, e nacque al mondo nel 1711, nel momento in cui a uno spirito storico, fatto di tufo e piperno, fu finalmente concessa la libertà degli uomini, strappato così sapientemente dalle lave del caos che nel 1631 squarciarono dal di dentro la nostra montagna; essa fu cavata dalle viscere della terra non per sfregio o per selvatico consumo, ma per esprimere, e servire, uno dei più nobili desideri messi a lavoro: il Miglio d’oro. A partire dalla sua progettualità una tra le più secolari generazione europee, una tra le più mediterranee esperienze di volontà, contribui, con saggezza neoclassica, più di quanto essa stessa avesse mai potuto sperare, all’invenzione d’Ottocento di un’Europa dei popoli, di cui noi ora portiamo nient’altro che un lacrimoso feretro. Le maestranze duosiciliane, l’architetto Ferdinando Sanfelice e il Duca d’Elboeuf furono gli dei caduti d’eccezione, ai quali si deve oggi la riconoscenza per essere riusciti a consorziare una così complessa società di plebei e titolati, di così eroici furori e raffinata perizia.

La Villa d’Elboeuf stabilì l’impronta dei suoi artefici, protendendo una pianta rettangolare lungo tutto un discreto tratto della costa porticese, e abbracciando lo specchio d’acqua cristallino del porto borbonico del Granatello, in relazione al quale tutto il complesso è aggettante.  Ai giorni nostri, come in parte all’ora, la Villa si mantiene borderline, infatti si scorge fin da subito come indecisa tra due aspirazioni: una di matrice agricola e ortobotanica del giardino esotico che rivolge verso il Vesuvio, l’altra marittima verso il Golfo di Napoli. La fabbrica si evolve, complessivamente, su 4 piani, poggiati, scenograficamente, su due enormi portali, ai quali si accede per il tramite di una duplice scala ellittica di marmo e pietra lavica; mentre enormi balaustre di marmo e piperno completano il movimento. I portali d’ingresso sono sovrastati da timpani ad arco ribassato, poggiati a coppie di volute che fanno da estremi, e a cui fanno eco delle lesene sormontate da abachi, dadi scanalati e ad architrave. Il piano nobile è ripartito principalmente da coppie di capitelli e trabeazioni a sbalzo, i quali sorreggono la balconata del secondo piano che incornicia la facciata per il suo intero. Piccole lesene scanalate con mensole e ovuli definiscono le finestre, le quali sono capeggiate da timpani lineari, volute, architrave e mensole. Al secondo, al terzo e al quarto piano seguono timpani fregiati e soluzioni tradizionali.

Villa d'Elboeuf scalone

Villa d’Elboeuf scalone

A partire dal 1716 la Villa d’Elboeuf fu venduta a Giacinto Falletti, Duca di Cannalonga, e nel 1742 venne acquistata dalla casa dei Borbone, la quale la trasformò nella Dependance della Reggia di Portici, arricchendola di un emiciclo neoclassico a due piani, adibito ai Bagni della Regina. A partire dal 1839 la Villa fu sconvolta nel suo disegno dalla Ferrovia Napoli-Portici, la quale passandoci attraverso, e spaccando in due il suo insieme, inaugurò l’inizio della fine. Solo annosi depauperamenti, perenni danneggiamenti vandalici, incendi (2008) e ignominiosi crolli (2013-2014) seguirono la sua stagione più luminosa.

Le strette narcisistiche, che i riflessi del Granatello animano ancora oggi nelle acque antistanti la Villa, non riescono, purtroppo, a resistere al vacillamento che la realtà le impone. Niente, né il dopoguerra, né il boom economico, né il Rinascimento napoletano e “campano” di Bassolino, né gli ultimi sogni di megalomania di un movimento arancione sono riusciti a salvarne l’importanza dalla decadenza del suo abbandono. Nessun puntello, nessuna difesa sembrerebbe ostacolare l’irrefrenabile decadimento della sua struttura. Essa sembrerebbe urlarci contro che tutte le opere umane non sono inamovibili, abbisognano di cure e guardiania, affinché esse possano perdurare, e continuare a significarci quel passato da dove tutti noi scaturiamo, e senza il quale non potremo marciare verso il futuro. Forse non tutto è perduto..

Villa d'Elboeuf solaio sventrato

Villa d’Elboeuf solaio sventrato


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