Nonostante la giornata campale, arrivo al Teatro Argentina intenzionata a godermi appieno questa commedia di Eduardo De Filippo portata in scena dai fratelli Peppe e Toni Servillo.
Il teatro è pieno. Noi siamo in balconata e dominiamo dall'alto la scena. La scenografia è essenziale e dominata dai toni del bianco. Nella prima metà siamo a casa Cimmaruta: un tavolo con delle sedie al centro della scena e una credenza poggiata al muro. Nella seconda parte siamo a casa Saporito: sempre un tavolo con delle sedie al centro della scena e una porta alle spalle che conduce contemporaneamente alla stanza dove vive zi' Nicola e all'esterno.
Protagonisti appunto i Cimmaruta (e la loro cameriera) e i Saporito, apparecchiatori di feste popolari (i fratelli Alberto e Carlo e zi' Nicola, che da anni ormai ha smesso di parlare e si esprime facendo esplodere mortaretti).
Le voci di dentro è una vera e propria commedia degli equivoci, che alla fine si può definire commedia solo perché non ci sono morti. Certo, si ride e si sorride, ma quasi sempre a denti stretti, dentro un racconto che definire amaro è un eufemismo.
Tutto nasce dall'accusa che Alberto ( Toni Servillo) muove alla famiglia Cimmaruta di aver ucciso l'amico Aniello Amitrano e di aver occultato il cadavere, supportata dalle prove che Alberto dice di sapere dove sono nascoste. In realtà, solo dopo aver fatto intervenire le forze dell'ordine, Alberto si rende conto di aver sognato tutto e che non esiste alcun documento comprovante l'assassinio. A quel punto, però, la macchina si è messa in moto: i Cimmaruta - anziché respingere compatti l'accusa - si scompaginano e separatamente vanno da Alberto, accusandosi l'uno con l'altro, incapaci di escludere che qualcuno di loro abbia effettivamente commesso l'assassinio. Carlo (Peppe Servillo), intanto, intravede la possibilità - qualora Alberto venisse arrestato per calunnia - di vendere tutti i materiali dell'impresa di famiglia per ricavare qualche soldo. Intorno a loro si agitano anche la cameriera di casa Cimmaruta e il portiere dello stabile dove abitano le due famiglie. Spettatore muto di questa dilagante meschinità umana è il personaggio misterioso di zi' Nicola, che interverrà con un'unica, significativa frase poco prima di morire: "Per favore, un poco di pace".
Siamo nella Napoli del dopoguerra, in un contesto nel quale anni di abbrutimento e di lotta per la sopravvivenza hanno messo a nudo i tratti deteriori dell'umanità e dato spazio agli istinti più animaleschi e viscerali. Uccidere un'altra persona è considerato parte dell'esperienza quotidiana, non un crimine orribile e fuori dagli orizzonti della normalità, così come il senso di solidarietà, anche all'interno della famiglia, ha lasciato il posto all'individualismo e alla volontà di sopraffazione.Ma Eduardo non parla solo ai suoi contemporanei, bensì all'umanità tutta, ogni qualvolta i suoi migliori valori vengono messi alla prova dagli squilibri economici e dai dissesti politici e sociali, di fronte ai quali con amarezza si deve constatare che non prevalgono la logica della cooperazione e i buoni sentimenti, bensì l'istinto competitivo e le reazioni di pancia.
E insieme ad Alberto, osservatore e al contempo motore e causa iniziale di questo disvelamento, ci viene da dire: "E che parlamm' 'a 'ffa'".
Toni Servillo - anche autore della regia - dimostra ancora una volta tutta la sua classe, a confronto con la maestria del grande Eduardo, scomparendo dentro il suo personaggio, che - come spesso gli accade - lo fagocita e lo trasforma, supportato in questo da un cast straordinario, a cominciare dal fratello Peppe.
Voto: 3,5/5