Leader in crisi. Silvio, Bossi e Sgarbi: la solitudine dei numeri 1
Creato il 20 maggio 2011 da Massimoconsorti
@massimoconsorti
Berlusconi esce dal ritiro spirituale e dice a Bossi: “Umberto basta con gli insulti sennò ci fanno neri”. E Bossi alla parola “nero” si irrigidisce, prende a scappellotti l’esanime Trota e spara una boccata di toscano in faccia a Calderoli. Umberto aveva appena detto ai giornalisti che “Pisapia è un matto”, rompendo la fintissima aria di persone perbene invocata da tutti gli spin doctor del centro destra per tentare di recuperare Milano. E Bossi che fa? Nella migliore tradizione berlusconiana dello smentire se stesso a stretto giro d’Ansa, rilascia un’altra dichiarazione in cui afferma: “oi nod og ghetr al rotrfo hataf”, che il Trota, avvezzo alle traduzioni impossibili dal padano-bergamasco all’italiano più improbabile dice trattarsi di “io non ho detto la parola matto”. Peccato che il video che circola su tutte le edizioni web dei giornali confermi il Bossi-pensiero, altrimenti qualcuno potrebbe ancora accusarci di propaganda sovversiva. Milano brucia, o meglio bruciano i voti non presi, la perdita di appeal del Capo, la sensazione che la capitale lombarda voglia passare alla storia come il luogo dove tutto è iniziato ma anche dove tutto è finito. È successo con il fascismo, nato all’ombra della grande industria milanese di allora, che terminò il suo viaggio a Piazzale Loreto. È accaduto al craxismo, distrutto dal pool di Mani Pulite e dalle dichiarazioni del mazzettaro Mario Chiesa, amministratore del milanesissimo Pio Albergo Trivulzio. Se dovesse accadere anche con il berlusconismo, sarebbe la prima volta che un regime verrebbe abbattuto democraticamente attraverso il voto dei cittadini, e la conferma della grandezza di una città che crea sì mostruosità storiche ma che ha la forza di fagocitarle fino a distruggerle. La parola d’ordine su cui il centrodestra basa la riscossa al ballottaggio è “low profile”: niente risse, niente insulti, niente attacchi furibondi ai magistrati, niente colpi bassi, nessuna accusa di furto di furgoni né di fiancheggiamento terroristico. La Moratti invita Pisapia a un altro faccia a faccia televisivo per chiedergli pubblicamente scusa e Pisapia, che sarà pure un gentiluomo ma non è fesso, rispedisce l’invito al mittente dimostrando un invidiabile sangue freddo. Che questi dieci giorni che separano i milanesi dal voto saranno dieci lunghissimi, interminabili giorni di trappole tese e di colpi bassi (ma all’insegna del low profile), i milanesi se ne sono accorti ieri durante la manifestazione di protesta dei disabili davanti alla sede del Pirellone. Il comitato organizzatore aveva invitato Giuliano Pisapia perché dei silenzi della Moratti e di Formigoni si è cordialmente rotto le palle. Pisapia è andato, ha riaffermato la sua vicinanza (non sospetta) al mondo del volontariato laico e non ciellino, impegnandosi ad affrontare il problema una volta insediato a Palazzo Marino. All’improvviso si è materializzato Roberto Formigoni, non invitato, accolto da una salva di fischi. Non contento del suo exploit ha annunciato l’arrivo del “sindaco di Milano Letizia Moratti” che è comparsa con tanto di scorta e auto blù al contrario di Pisapia che era arrivato da solo e a piedi. Fischi anche alla signora mentre il suo rivale, annusata la trappola, ha salutato i disabili e se n’è andato. Promesse a fiumi da quella boccuccia a culo di gallina (con tutto il rispetto per le galline e il loro culo, ovviamente), della sindaca uscente e 40 milioni di euro (ma forse sono 4) pronti sul tavolo per risolvere l’annoso problema dei diversamente abili. E, in preda al parossismo elettorale più delirante, Laetitia ha anche promesso che avrebbe tolto l’ecopass per l’accesso al centro storico. I milanesi, gente avvezza a tutto, non hanno battuto ciglio, sanno perfettamente che si tratta di promesse vuote esattamente come quella di liberare in dieci giorni Napoli dalla monnezza. Vedremo come andrà a finire ma per Pisapia, è bene dirlo, non sarà affatto una passeggiata. In queste ore c’è un altro personaggio, uno che se la batte con Silvio per il ruolo di “italiano più intelligente”, che sta cercando di elaborare il lutto di essere stato fatto fuori dalla Rai dopo la prima puntata di quello che avrebbe dovuto essere il programma dei programmi. Vittorio Sgarbi, che non ha trovato di meglio per giustificare la debacle che dare la colpa della sua stupidità a Roberto Saviano, ha fatto registrare il record storico negativo di RaiUno nel prime-time, la fascia serale che solitamente, tolto il tg di Minzolini e Radio Londra di Giuliano "Melville" Ferrara, viaggia intorno al 15 per cento anche con il solo monoscopio. Vittorio Furioso ha realizzato un misero 8 per cento che ha costretto i dirigenti della rete a sospendere immediatamente il programma con un “però lo paghiamo lo stesso”, che suona come il de profundis dell’ultimo “regalo” che la devastante gestione Masi ha lasciato all’azienda. Ma accanto al sindaco di Salemi, la città siciliana miracolata dal tocco santo del critico d’arte, abbiamo riconosciuto un personaggio che avevamo visto in giro con Travaglio e Di Pietro alle ultime elezioni europee: Carlo Vulpio. Il giornalista del Corriere della Sera, famoso per essere stato al fianco di Luigi De Magistris nella sua battaglia contro i poteri forti calabresi e campani, era stato candidato dall’Idv alle scorse europee forte della sua fama di giornalista tutto d’un pezzo, e per questa ragione vittima anche lui delle ritorsioni politico-mafiose collegate all’inchiesta “Why Not”. Vulpio non era stato eletto, al contrario, ad esempio, di Pino Arlacchi che non aveva perso un solo istante a tornarsene nelle braccia del Pd. E della mancata elezione aveva accusato più volte lo stesso Di Pietro, reo di non essersi impegnato a fondo e di averlo messo, a cazzo di cane, in liste schizofreniche. Ora lo ritroviamo accanto a Vittorio Sgarbi e non solo. Dopo la puntata del programma, Vulpio è andato a brindare a casa di Berlusconi per festeggiarne il successo. Questa piccola a nota a margine ci spinge a due considerazioni. La prima è che Di Pietro ha causato danni incredibili al suo partito e alla sinistra con candidature, chiamiamole discutibili (chi tira ancora fuori Razzi e Scilipoti è un Pierino). La seconda è che Berlusconi comincia a portare sfiga. A Milano è andata com’è andata e i responsabili della campagna elettorale della Moratti stanno pregando il padreterno perché Silvio non vada a chiuderla con l'immancabile, pirotecnico comizio finale. Festeggia con Sgarbi e gli chiudono la trasmissione. Risolve in dieci giorni il problema dei rifiuti di Napoli e i cassonetti bruciano. Vola in Tunisia per non far arrivare più barconi di profughi e Lampedusa viene invasa dai nordafricani disperati. Una cosa è certa, se si sparge la voce Silvio ha chiuso, e non per manifesta incapacità politica ma per accertata e inesauribile fonte di iattura. PS. Osservate attentamente la foto che pubblichiamo e diteci se quello è un uomo.
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