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Lecce-Milan: presentazione della gara

Creato il 13 gennaio 2011 da Gianclint

–Il ritorno di Ambrosini ed i compiti del centro-mediano

L’importanza della gara di domenica sera peserà tutta sulle spalle del Milan. I quattro punti raccolti nelle due ultime gare sono d’oro, ed è partendo dal presupposto che, se era lecito aspettarsi una scarsa brillantezza, a maggior ragione, una squadra conscia di sé avrebbe dovuto mettere in campo un altro ingrediente: una maturità ed una pazienza non pervenute nei 180’.

Lecce-Milan: presentazione della gara
I più “scientifici” avranno contato i contropiedi subiti; altri pescato nella memoria similitudini con la gara di Cesena dell’andata: un centrocampo che presenta neppure un uomo nel proprio ruolo (Gattuso centro-sinistra il migliore per quantità e qualità –!-), trova nella collaborazione reciproca il suo stare in campo, non forzando la giocata sulla base molle di una gamba che scricchiola (chi per condizione, chi per magagne, chi per inesperienza).

Il ritorno di Ambrosini nella posizione di metodista non fa pensare ad un ritorno al controllo del gioco, ma ad un ritrovato buon senso nello svolgere i propri compiti sì . La spina dorsale del Lecce è riconoscibile sull’asse Corvia, Giacomazzi, con Jeda ciliegina su una torta che non c’è. Non sarà l’11 di De Canio a spaventare, ma non dimentichiamo che regalare coraggio rende leonina qualunque squadra di serie A, anche quella con la difesa tra le più perforate.

Crediamo che riporre speranza nella settimana di scarico che si sta svolgendo sia la base da cui partire; ritrovare la concentrazione al più presto, la prima gettata di cemento sulla quale porre i primi tre mattoni del girone di ritorno. A partire dal centrocampo: il reparto che più ha esposto la difesa a pessime figure -aldilà degli errori individuali anche gravi-; lo stesso che ha “costretto” a forzare l’allenatore a portare ad un numero di attaccanti di cui nessuno sentiva la nostalgia: nessuna filosofia qui, è l’emergenza che porta a schierare tante punte quante ne abbiamo viste, la mancanza di ragionamento, la possibilità di giocare.

“Ma come si poteva fare con un Seedorf?”, la domanda sorge pronta, qui su internet, come a S.Siro che ha fischiato come mai il numero 10. La prospettiva che questi post vogliono dare è differente non per concetto ma per accezione al problema evidente che si sta palesando col giocatore: non ripeteremo il numero di palloni persi, ma dei compiti non svolti da chi è stato deputato a ricoprire un ruolo ben specifico e cardine in campo, quello del metodista.

Un centromediano metodista è il primo a dover aiutare i compagni, forte della sua capacità di saper leggere la gara ed i suoi “momenti”, quindi sulle basi di una cultura calcistica superiore; grazie alla tecnica sarà più o meno capace di ribaltare il fronte d’attacco con lanci di 50/60 metri, o di far uscire la palla in fraseggio. Assente Pirlo -mezzala o regista poco ha importanza-, Ambrosini svolgerà il compito con caratteristiche prettamente difensive -prima indicazione portare il raddoppio concertato coi centrali sulle punte avversarie-, altresì non si allontanerà dai propri centrali quando essi conducono la palla per impostare, ma li proteggerà.

Un metodista che sta lontano dalla palla in fase di uscita invita le punte a pressare i difensori, a far scendere il terzino che è salito, chiamarlo all’impostazione (il Milan non VUOLE FARLO quest’anno); crea spazioda attaccare” ai centrocampisti avversari: non dà equilibrio alla squadra, sua principale prescrizione. Ecco, a volte dietro un semplice “gesto” si nasconde la chiave di quel fantomatico equilibrio che di gara in gara pare aver trovato la ricetta a seconda degli interpreti. Non è così, e si è visto: le ricette servono per fare bene le torte, non le squadre di calcio.

Lecce-Milan: presentazione della gara
Gli ammiratori di Seedorf giustamente fanno notare due cose: la mancanza di movimento delle punte, ed in primis dei compagni di reparto che stavano troppo stretti. Verissimo -e personalmente non condivido l’entusiasmo per le prestazioni di Strasser-, ma altrettanto, proprio Seedorf, lo stesso giocatore che ammiravo, mi ha insegnato una cosa: il leaderaggio lo si ottiene in campo adeguando la propria classe alle necessità di squadra, non forzando la giocata su chi non detta l’assist, giocare semplice quindi, “appoggiarsi” a propria volta al compagno, non è peccato di lesa maestà. Di belle intenzioni il Milan ha riempito le sue ultime tre stagioni, servono comportamenti in campo, quindi fatti.

Ripartire non dagli assalti all’arma bianca, ma dalla concretezza che si può trovare solo mettendosi al servizio dei compagni con umiltà ed intelligenza. “La pazienza è la virtù dei forti“, ci han sempre detto: vediamo se lo sarà anche di questo Milan che deve iniziare ad esserlo aldilà di ogni ragionevole dubbio per non ritrovarsi ad essere colpevole dell’aver gettato se stesso al vento dello Stadio di via Del Mare.

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