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Led Zeppelin IV – Il Fanatico (esercizi di stile)

Creato il 04 novembre 2012 da 79deadman @79deadman
Led Zeppelin IV – Il Fanatico (esercizi di stile) http://theevilmonkeysrecords.blogspot.it/2012/11/le-brutte-recensioni-esercizi-di-stile.html
Il fanatico non scrive una recensione, compone l’esegesi di un testo sacro, l’agiografia di eroi leggendari. Grammaticalmente sfrutta tutte le possibilità del superlativo relativo ed assoluto ed abbonda in iperboli tali da andare anche oltre la sfera musicale di competenza. L’analisi delle tracce è completa ma non troppo approfondita: non si sa mai che scavando troppo si trovi qualche difetto… La stessa cosa accade per i riferimenti a band analoghe: sono ammessi paragoni solo con altri Immortali. Piuttosto comune la “professione di umiltà” come introduzione.
Non so se sia possibile trovare le parole giuste per descrivere un capolavoro come questo; spero di essere in grado di farlo, ma l’importanza e la celebrità di questo disco fanno veramente venire i sudori freddi a chiunque provi a recensirlo. Led Zeppelin IV è il quarto leggendario album di una band a sua volta leggendaria: i Led Zeppelin. Dopo avere gettato le basi per tutto l’Hard Rock e buona parte del Metal (merito condiviso con altri giganti di quel tempo: Black Sabbath e Deep Purple) la band del geniale chitarrista Jimmy Page si concentra per la realizzazione dell’album perfetto. E ci riesce, a partire dalla mitica copertina che ormai ha fatto storia. Dall’inizio alla fine, dall’intro di Black Dog alla dissolvenza di When The Levee Breaks, quest’album mantiene un livello musicale altissimo e costante, senza nessun cedimento, nessuna indecisione e picchi di vertiginosa bravura e virtuosismo. Black Dog è un opener coi fiocchi: giro di basso tiratissimo e vocals estroverse e potenti, in quel puro stile hard che ti sbatte nelle tempie. Segue Rock’n Roll, una traccia il cui solo nome già dice tutto: un concentrato di rock purissimo che parte da Good Golly Miss Molly e attraversa vent’anni musica scatenata, rivista sotto l’aura di ultrapotenza del combo di Page & Plant. Con la terza canzone, The Battle of Evermore, entriamo in un regno di magia e suggestione affascinante, misterioso, sia per la delicatezza degli strumenti acustici sia per la presenza, come seconda bellissima voce, di Sandy Denny, che duetta con Plant su un testo che cita Angeli di Avalon e Regine della Luce: un mondo pagano e antico collegato al sorprendente utilizzo di quattro antiche ed indecifrabili rune che sostituiscono i nomi dei componenti della band. Un incredibile voltafaccia al marketing. Ma ecco che arriva il pezzo che più di ogni altro rappresenta un modo di fare rock ormai scomparso: un modo epico, che affianca ad un virtuosismo fantastico l’ispirazione e la gioia stessa della musica. Quel pezzo è Stairway to Heaven, massimo testamento artistico del dirigibile e ballata dall’aura mistica che fa letteralmente sognare ad occhi aperti, fissandosi in modo indelebile nelle memoria. Page inizia con un arpeggio sul manico della dodici corde, Jones lo segue con le sue tastiere flautate. Quando, a metà del brano, si aggiunge la possente ed inimitabile batteria di John Bonham (R.I.P), ecco che la canzone decolla verso vette inconcepibili per noi umani. Il lungo assolo di Page è uno dei tre o quattro più famosi pezzi per chitarra di sempre assieme a quelli di Hotel California e Bohemian Rhapsody dei Queen. Alla fine di questa strepitosa canzone non ci sarebbe altro da aggiungere, ma i quattro fenomeni non hanno ancora finito il loro trattato sulla perfezione in ambito Rock. Ed ecco che le tastiere introducono Misty Mountain Hop, una canzone assai ascoltabile e ritmata. Poi viene il curioso esperimento di Four Sticks in cui Bonzo suona addirittura con quattro bacchette! La penultima song, Going to California, è una canzone acustica che apparentemente rinuncia al furore hard, sulla falsariga di certi pezzi dell’album precedente: una dolce ballata che ci dimostra come questo gruppo fosse composto da artisti veramente completi e difficilmente etichettabili in maniera univoca. Chiude l’album When The Levee Breaks, con la più imponente batteria mai incisa su disco che apre un lungo brano che ci chiarisce le profonde e più autentiche radici blues del quartetto. Per concludere, chiunque ascolti questo album sa di trovarsi di fronte ad un’opera immortale, un disco epocale, un inossidabile masterpiece di tutta la musica, come adesso non se ne fanno più; composto da musicisti completi che hanno saputo trovare la via alla perfezione della musica rock lassù, su una scala verso il paradiso.

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