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"Vedi caro, non mi va di fare nulla 'per amore'. È inutile pensare a me come a una Giulietta al balcone. Sono una sfacciata, una donna di facili costumi, infedele e incostante. Voglio vedere le cose da vicino, voglio sporcarmi le mani. Ho bisogno di emozioni forti e non ho paura di nulla"
E' con queste parole che si definisce Lee Miller (1907-1977), modella, musa e collaboratrice del grande fotografo surrealista Man Ray, fotografa corrispondente di guerra durante la seconda guerra mondiale. Lee Miller rappresenta un originale percorso da musa a artista che ho scelto come argomento di questo articolo. "Sembravo un angelo fuori. Mi vedevano così. Ero un demonio, invece, dentro. Ho conosciuto tutto il dolore del mondo fin da bambina" Una personalità assolutamente fuori dal comune che vale la pena raccontare, pur in questo breve spazio dedicato.
Tutti i percorsi artistici partono da esperienze dolorose, cicatrici che il tempo riesce solo a nascondere, ma che sostano nell'anima e si sprigionano nell'arte, quando esiste il talento. Questo è il caso di Lee Miller, nata in una famiglia borghese, vicino al padre, proprietario terriero appassionato di fotografia, che la sceglie presto come modella per i suoi scatti. Nasce così l'amore per la fotografia di Lee Miller, tra i segreti della ripresa e del laboratorio che il padre, fin da piccola, le confiderà. Ma, tornando alle cicatrici del passato, e alla parole di Lee Miller che ho riportato all'inizio dell'articolo, e che svelano più di quanto si creda, Lee Miller non ha conosciuto solo esperienze positive nell'infanzia, a soli 7 anni subisce uno stupro da parte di un amico di famiglia, che coinciderà con la morte della madre. Da allora Lee Miller costruirà la sua complessa personalità, attraverso le varie esperienze del suo percorso professionale e artistico, fino a essere definita l'angelo egoista. L'embrione dell'angelo era già in formazione a 7 anni, il dolore lascerà spuntare, più tardi, grandi e bellissime ali. La Miller segnerà un'epoca non solo per la sua bellezza, ma soprattutto per il suo spirito libero ed anticonformista unito a un grande talento artistico.
Viene mandata a studiare teatro a Parigi e ritorna dopo un anno a New York: è una ragazza bellissima e diventa molto presto modella di Vogue. Ha vent'anni ed è già richiesta dai più grandi fotografi del tempo. Posa per Picasso e Cocteau, ma il grande incontro della sua vita, che cambierà le prospettive, avviene a Parigi nel 1929 dove incontra il noto fotografo surrealista Man Ray, di cui diventa allieva, musa e amante. Insieme a Man Ray condividerà, in modo del tutto casuale, una scoperta, una nuova tecnica fotografica, la solarizzazione. Mentre lavorava con Man Ray in camera oscura, Lee avverte qualcosa che struscia intorno alle sue gambe, impaurita accende la luce e la scia luminosa colpisce le foto immerse nella vaschetta dei liquidi. Le immagini acquistano un contrasto molto intenso. Questa tecnica, chiamata solarizzazione, sarà poi messa a punto e utilizzata spesso da Man Ray.
Lee Miller, come Kiki de Montparnasse, sarà una delle principali icone ispiratrici delle opere di Man Ray, insieme alla sperimentazioni sui contrasti e sulle luci, sul bianco e nero, che il suo corpo e il suo viso cattureranno come un magico magnete. A corredo di questo articolo, trovate nella prima parte diverse foto di Lee Miller realizzate da Man Ray, ma ce ne sono davvero molte, alcune delle quali sezionano dettagli di Lee Miller, come le celebri labbra fluttuanti in Les amoureaux. Il sodalizio artistico (e non solo) con Man Ray consente alla Miller di approfondire le tecniche fotografiche e le nuove sperimentazioni del surrealismo. Nelle opere di quel periodo, è difficile distinguere le opere realizzate da Man Ray da quelle di Lee Miller.
Dopo circa tre anni, il sodalizio con Man Ray si interrompe, ritorna a New York nel 1932 dove apre il proprio studio fotografico, occupandosi di servizi pubblicitari e ritratti di celebrità. Nel 1942 ottiene d’essere inviata da Vogue a documentare il conflitto in Europa, come corrispondente dell’esercito americano. Questa opportunità rappresenterà la seconda svolta importante nella vita artistica, e personale, della Miller
Come corrispondente di guerra realizzerà immagini che testimoniano (per la prima volta nella storia) l’ uso del napalm a Saint Malo, la guerra in Alsazia, la liberazione di Parigi, l’orrore dei campi di concentramento di Dachau e Buchenwald al momento dell’apertura dei cancelli, le prigioni della Gestapo ed i volti dei sopravvissuti. Le sue opere, fotografie di militari, civili, feriti, prigionieri, vitime, catturano pienamente la crudezza degli orrori della guerra, insieme alle anime della gente comune, uomini, donne e bambini disorientati da una realtà schiacciante e nello stesso tempo alienante, senza mancare di scoprire, in alcuni sguardi e scorci di vita tra le macerie, altre facce della realtà, che non sono svanite del tutto sotto le bombe
E’ la Miller che documenta, con il suo obiettivo che non conosce ostacoli, l’assedio di Saint Malò, la liberazione di Parigi, le campagne di Lussemburgo e d’Alsazia, l’ingresso in Germania e le ultime, sanguinose battaglie sul territorio tedesco; la presa di Monaco, dove ritrae la casa di Hitler in stato di completo abbandono, e l’incendio della sua fortezza alpina a Berchtesgaden; la liberazione di Buchenwald e Dachau. Nonostante gli scenari, e le evidenti difficoltà ambientali, la Miller realizza fotografie nitide, formalmente perfette, grazie alla dotazione di una attrezzatura d’avanguardia. Stavolta dunque non si parla più di ritratti di grandi artisti e intellettuali dell'epoca, ma di improgionare sulla pellicola la desolazione di campi di battaglia dopo i combattimenti, paesaggi deserti e squarciati dai bombardamenti, cadaveri di speranze tra gli sguardi psicotici dei prigionieri e le corse dei bambini, della gente nelle strade, quando la libertà torna a affacciarsi dopo tanto tempo.
La reporter non si sottrae, ma la macchina fotografica la aiuta a prendere una distanza, a sopravvivere all'orrore. Questo spiega il senso, l'interpretazione di queste esperienze di ricerca della realtà da raccontare tra le macerie della guerra. Niente spettacolarizzazione della morte, del sangue, dei cadaveri in queste fotografie la Miller, documenta asettica fatti tragici e emotivamente disturbanti attraverso il punto di vista di un attento testimone, che sa dividere e canalizzare intenti estetici e documentari.
E' molto famosa, e altrettanto rappresentativa della personalità della Miller, la foto realizzata dal collega David Scherman (che trovate sopra) che la ritrae dentro la vasca da bagno dell' appartamento di Adolf Hitler, prima che diventasse il Fuhrer, con gli scarponi militari in primo piano. Si tratta di una sintesi metaforica del dolore personale della Miller e dei traumi vissuti nell'infanzia. “Ho conosciuto tutto il dolore del mondo fin da bambina" La Miller esibisce grandi muscoli nella sua vita, ma dentro, tra i tunnel più oscuri di se stessa, nasconde antiche fragilità che però nutriranno il suo talento artistico.
Dopo il '45 Lee Miller vive in Austria, Ungheria e Renania, avrà un figlio da Roland Penrose, parteciperà con le sue opere a molte mostre e collettive, ma la sua vita diventerà sempre più solitaria e ritirata. Tornano a avvicinarla e stringerle la gola i fantasmi dell'infanzia, evidentemente immortali, che la trascineranno lentamente nella depressione e nell'alcol, che come aridi compagni affiancheranno e segneranno i suoi ultimi anni. Una esistenza comunque molto ricca, anche se estremamente sofferta, che lascerà un ricordo di un grande spirito, di una grande artista. Oggi sono organizzate molte mostre in giro per il mondo, con protagonista l'obiettivo di Lee Miller; tra queste, una grande retrospettiva dal titolo Lee Miller’s Surrealist Eye, è stata ospitata fino al 20 Giugno 2012 presso l’ Oregaard Museum, in Danimarca.
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