Aprì gli occhi ma era tutto nero. Sentiva qualcosa di gelido costringergli le mani dietro la schiena e del legno sotto al culo. Era seduto, gli sussurrò la propriocezione. L’acqua che l’aveva svegliato sgocciolava dalla testa al torace, inzuppandolo. Provò a divincolarsi ma anche le caviglie erano immobilizzate. Adesso che stava uscendo dal torpore poteva sentire le corde attorno ai pantaloni della felpa, e anche il busto era legato allo schienale della sedia. Provò a ricordare cos’avesse fatto prima di addormentarsi ma il cervello protestò con una fitta che gli fece strizzare gli occhi e digrignare i denti. Si era ubriacato? Probabile. Non aveva ancora avuto il tempo di spaventarsi, e non capendo nulla si mise a ridere. Lasciò cadere la testa all’indietro e quel che l’avvolgeva (un cappuccio di stoffa?) gli si appiccicò sulla pelle, ricacciandogli il fiato in faccia. Era indolenzito ma non sentiva freddo. Provò di nuovo a concentrarsi, stavolta con calma, e per aiutarsi chiuse gli occhi nonostante non ne avesse bisogno. Soffocò una risata per poco non soffocò lui. Cominciò a tossire e ad agitarsi come in preda alle convulsioni, finché non cadde a terra con tutta la sedia. L’impatto non fu piacevole, le manette gli morsero i polsi. Sentì una punta di rabbia insinuarglisi in mente ma la represse, voleva rimanere lucido. Era schiacciato contro il pavimento liscio e freddo che odorava di cemento, e si aiutava a respirare con la bocca. Deglutì, poi percepì brevi vibrazioni salirgli come brividi dagli zigomi alla nuca. Passi. Scarpe da ginnastica aggiunsero il suono delle suole sul suolo. A chiunque appartenessero, gli cessarono davanti sostituiti da un sospiro. Si sentì afferrare da un piccolo paio di mani che lo rimise a posto a fatica. Tornò il silenzio. Poteva solo aspettare, immaginò.
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