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Legge 482: quando un diritto si trasforma in un sopruso

Creato il 02 marzo 2012 da Ciro_pastore
LEGGE 482: QUANDO UN DIRITTO SI TRASFORMA IN UN SOPRUSO
Riformata dalla legge 68/99, restano ancora perplessità sull’applicazione pregressaLEGGE 482QUANDO UN DIRITTO SI TRASFORMA IN UN SOPRUSOCome furbi e furbette negli anni hanno abusato di una legge nata per dare solidarietà agli svantaggiati facendosi assumere a scapito di chi ne aveva diritto Una società moderna ed evoluta deve, ovviamente, agevolare l’integrazione delle persone disabili nel mercato del lavoro, attraverso azioni di sostegno e di collocamento mirato. In tal senso, una legislazione protezionistica è segno tangibile di civiltà. Occorre, cioè, non porsi soltanto l’obiettivo teorico dell’integrazione ma bisogna, invece, perseguirlo con azioni concrete. A questo tendeva, almeno nella sua motivazione riformatrice, la normativa che nel 1999 (legge n° 68) ha modificato in maniera radicale il collocamento lavorativo delle persone con disabilità, trasformandolo da obbligatorio (secondo quanto previsto dalla precedente Legge 482/1968) in mirato. Il profondo mutamento culturale, che ne è conseguito, valuta il lavoro non solo necessario al soddisfacimento dei bisogni economici dell’invalido. Il lavoro viene visto, piuttosto, come momento di dispiegamento della personalità del lavoratore, è tutto ciò maggiormente se riferito al lavoratore portatore di handicap.C’è da dire, però, che, soprattutto negli anni 80-90, epoca caratterizzata dall’uso esasperato e scriteriato del debito pubblico come strumento per sostenere politiche del lavoro di tipo assistenzialistico, la Legge 482/68 si era prestata a molteplici manipolazioni, finalizzate a consentire a qualche furbo o furbetta di aggirare impunemente le regole dell’accesso al mercato del lavoro. In sostanza, le maglie larghe della legge nell’indicazione dei criteri di invalidità – a cui va aggiunto il buonismo delle Commissioni deputate a stabilire l’esistenza ed il grado dell’invalidità - fecero spuntare, come funghi dopo un temporale, migliaia di invalidi, più o meno, fasulli. Dal lato delle aziende, diciamo “costrette” all’assunzione obbligatoria, si operava con modalità assolutamente discrezionali. Di fatto, si operava con molta elasticità nell’applicazione delle norme, soprattutto in termini di individuazione delle cosiddette quote di riserva, finendo per essere molto elastici sulla base di computo con l’intento di determinare, se e quante persone appartenenti alle categorie protette, dovessero essere poi realmente assunte.Si tratta di un tema da approfondire non solo come stucchevole esercizio storico, avendo, probabilmente, ancora una sua immutata attualità per il rilievo rispetto ai temi dell’equità sociale ed anche sotto l’aspetto puramente economico, oltre che giuridico e di politica del lavoro. Nonostante, infatti, la legge di riforma del 1999 abbia in parte inasprito i criteri, resta interessante capire in che modo le aziende si comportavano riguardo alle quote di riserva e la base di computo, argomenti quasi esoterici, sicuramente oscuri agli occhi dei non addetti ai lavori ma, nonostante tutto, di sicuro interesse generale, visto che in un mercato del lavoro asfittico si tende, allora come oggi, a trovare degli escamotage, più o meno leciti, per superare la barriera all’ingresso nel mondo del lavoro. Non è fantasioso, allora, pensare che anche oggi si possa instaurare un sistema di piccoli o grandi favoritismi, scatenando la classica guerra tra i tanti poveri fessi e i pochi furbi/e che sanno come aggirare gli ostacoli.È stato utile, pertanto, servendosi dello sterminato archivio internettiano, andare alla ricerca di aneddoti e “confessioni” da parte di chi, in qualche modo, nel passato recente e remoto, ha saputo e potuto servirsi anche di questo strumento legislativo per “scavalcare” impunemente gli aventi diritto o, addirittura, per farsi inserire, senza averne i requisiti, negli elenchi delle categorie protette. Ecco emergere, così, il tipico panorama del sottobosco clientelare italiano. Quel sistema di norme, infatti, forniva involontariamente una serie di scappatoie che stimolavano gli appetiti dei maneggioni. Il tutto nasce dalla dichiarazione d’invalidità che le Commissioni attribuivano con una certa generosità, soprattutto nelle regioni meridionali. In sostanza,un’invalidità non si negava mai a nessuno. Se è, infatti, ovvio che un mutilato, un sordo, un cieco siano da considerare invalidi, un po’ meno intuivo è avere la stessa considerazione per fenomeni tipo ipertrofia dei turbinati o altre singolari deficienze fisiche paragonabili. La determinazione del livello d’invalidità era complicato dalla possibilità di sommare più tipologie di infermità, tanto da pervenire all’agognato 34% di invalidità che schiudeva le porte dorate degli elenchi delle categorie protette. Bastava, peraltro, avere qualche compiacente familiarità con personale presente all’interno delle ASL per poter, addirittura, entrare in quegli elenchi miracolosi, senza avere alcuna infermità. Se poi non bastavano i trucchetti presso le Commissioni, si poteva sempre ripiegare sull’accesso attraverso la categoria delle vedove e/o orfani delle vittime del terrorismo. In quel caso specifico, peraltro, non era indispensabile il decesso ma bastava soltanto che la vittima avesse a sua volta conseguito un’invalidità. Come si nota, tutte norme in astratto giustissime che, però, abilmente utilizzate, finivano per favori pochi a scapito di molti.Sul fronte delle aziende ed amministrazioni pubbliche obbligate ad assumere, bisogna dire che mentre i privati provavano disperatamente a “sottrarsi” all’obbligo, nel “pubblico”, invece, si mettevano in campo tutti gli strumenti per “scegliersi” (per chiamata diretta i beneficiari se possibile) gli invalidi da collocare negli organici. Si assisteva, così, ad un balletto di cifre che per ogni dichiarazione semestrale calcolava le quote di riserva con modalità lievemente diverse. Ciò avveniva, ovviamente, per avere la possibilità di assumere quando si voleva assecondare qualche richiesta specifica (spesso di provenienza politica/sindacale) e, di contro, non assumere quando non c’erano sponsor da onorare. In parole povere, ci fu chi, avendo trovato la strada giusta per farsi considerare invalido, completava il percorso scavalcando gli invalidi a cui legittimamente spettava l’assunzione, trovando amministratori pubblici compiacenti e sensibili alle segnalazioni dei potenti.È sperabile, ovviamente, che la più stringente normativa del 1999 ed un mutato scenario all’interno delle amministrazioni ed aziende pubbliche, abbiadefinitavamente turato le falle normativedel passato e che, oggi finalmente, la legge venga applicata esclusivamente a vantaggio di chi ne ha i reali requisiti. Ciro Pastore – Il Signore degli Agnelli

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