Sindacati, Rai, Authority, piccoli partiti. Le riforme rischiano di fare strage anche di alcune istituzioni indispensabili. Chi invece in Italia sopravvive sempre sono voltagabbana e trasformisti pronti a salire sul carro del vincitore (di Michele Ainis - l'Espresso)
Ecco, gli eccessi. Matteo Renzi rottama le auto blu, il Cnel, le Province, gli alti emolumenti degli alti magistrati: giusto. Rottama i privilegi dei superburocrati: supergiusto. Ma sarebbe viceversa ingiusto fare tabula rasa di tutto ciò che esiste, trasformando il nostro Stato nel deserto dei Tartari. Va bene rivolgersi al barbiere per qualche sforbiciata sulla zazzera, va male uscirne con il cranio pelato come un uovo. E comunque ogni cambiamento dev'essere graduale: se Renzi all'improvviso parlasse l'italiano che verrà usato fra due secoli, nessuno ci capirebbe un accidenti. Succede nella lingua, succede nella lingua del diritto, dove jurisprudence fa rima con prudence. Perfino Lenin, nel 1917, lasciò sopravvivere non pochi istituti giuridici ereditati dalla Russia degli Zar. E in ogni caso, quando ti sbarazzi dei tuoi vecchi arnesi, dovrai pure pensare a come rimpiazzarli.
Ma in questa rivoluzione italica il pensiero negativo non sempre s'accompagna a un pensiero positivo. Prendiamo il caso del Senato: fonte di ritardi o di paralisi nel processo di formazione delle leggi, tanto che ormai nessuno ne difende più la doppia lettura. Tuttavia il bicameralismo paritario, nel bene e nel male, offre pur sempre una garanzia: quante altre leggi ad personam ci sarebbero cadute sul groppone, senza il veto del Senato? E non è forse al Senato che s'appella lo stesso Renzi per cassare gli errori consumati in primo grado, come la norma sulla responsabilità civile delle toghe votata l'11 giugno dalla Camera? A una garanzia di meno, quindi, in futuro dovrebbe corrispondere una garanzia di più. Si può ottenere contemplando maggioranze più elevate per le leggi che comprimono diritti, permettendo l'accesso delle minoranze parlamentari alla Consulta, rafforzando i poteri di controllo del capo dello Stato. Ma a quanto pare l'argomento è tabù, vietato pronunziarlo.
D'altronde non è l'unico caso. I segretari comunali, per esempio: garantiscono la regolarità amministrativa degli atti comunali, hanno appena ricevuto pesanti responsabilità sul contrasto alla corruzione, ma l'idea è quella d'abolirli. O i prefetti, che in Italia furono introdotti da un decreto napoleonico del 1802. D'accordo, il governo Letta ne aveva gonfiato i ruoli come un pallone aerostatico (207 prefetti per 105 prefetture), ma sicuro che ce ne bastano 40? O ancora le authority, un altro elemento di garanzia del nostro sistema: anche in questo caso le 19 esistenti sono troppe, 3 o 4 troppo poche. E i sindacati, ormai trattati con fastidio? E la Rai? E i piccoli partiti? Nel gioco dei birilli armato dalla nuova legge elettorale, chi non becca l'8 per cento rotola giù per terra. Ma il 7 per cento dei consensi è il peso d'un partito medio, non di un moscerino: con questa soglia elettorale si rischia la strage degli innocenti.
Chi invece in Italia sopravvive ad ogni strage sono i voltagabbana, i professionisti dello slalom. Gli stessi che accorrono in corteo per osannare il nuovo Re, da Scelta civica, da Sel, dall'ex maggioranza bersaniana del Pd. Facci una grazia, Renzi, rottama pure loro. Rottama il trasformismo insieme allo statalismo. Ma non rottamare lo Stato.
Noi italiani siamo fatti così: detestiamo le mezze misure. Nel dopoguerra edificammo un nuovo Stato, una nuova Costituzione, una nuova classe dirigente. Dopo di che per settant'anni abbiamo celebrato il Gattopardo, praticando la continuità anche quando fingevamo rotture col passato. Dopotutto, la seconda Repubblica si riassume in una galleria di facce immarcescibili, d'istituzioni inossidabili. Ma adesso è il tempo della rottamazione di tutte le Repubbliche, di tutte le poltrone. E la rottamazione esprime un'energia vitale: per costruire bisogna prima demolire. Vale per le cose, vale altresì per le persone. Se vuoi unirti in matrimonio con il tuo nuovo amore, dovrai anzitutto sciogliere il vecchio matrimonio. Magari senza esagerare, come capitò a Liz Taylor, che si sposò per otto volte di fila.
Michele Ainis
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