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«Legge Proust, dice che la politica non è affar suo»

Creato il 03 luglio 2013 da Malvino
Ho già fatto un breve cenno al discorso che Giorgio Napolitano ha tenuto in occasione del 60° della morte di Benedetto Croce (qui), oggi ne propongo alcuni stralci, premettendo che l’approccio alla figura del filosofo è nel suo insieme (qui) assai parziale: nulla sul suo pensiero, nulla sulla sua opera, e meno male, sennò sarebbe stato inevitabile qualche imbarazzo. No, tutto il discorso è centrato sull’arco temporale che segue alla fuga di Croce da una Napoli martoriata dai bombardamenti per riparare a Sorrento, e l’unica fonte alla quale attinge Napolitano sono i diari vergati in quei mesi, prima che anche Sorrento si rivelasse poco sicura e gli Alleati gli offrissero riparo a Capri. Chi ha letto quelle pagine non ha potuto fare a meno di pensare che fossero scritte per diventare pubbliche, e il malpensante avrà avuto il sospetto che servissero a nutrire ulteriormente l’automitobiografia di uno che fu sempre molto attento a curare la propria immagine, un po’ per vanità, un po’ per lasciarla in eredità alle figlie perché ne lucrassero. Ma forse qui sarà il caso di lasciare la parola a Napolitano per valutare l’efficacia di quelle pagine sul lettore ingenuo o – piacere – sul commemorante che si specchia nel commemorando.Sarà. A me pare che bastino poche righe del diario di Leo Longanesi a far collassare tutta questa schiuma retorica (Parliamo dell’elefante – Longanesi & C. 1947 – pag. 180).«Legge Proust, dice che la politica non è affar suo»

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