di Matteo Boldrini
Uno degli argomenti più dibattuti di questi giorni è la questione della decadenza di Silvo Berlusconi da senatore, dovuta alla condanna a quattro anni di reclusione e alla decadenza dai pubblici uffici nel cosiddetto processo Mediaset.
Il Popolo della Libertà si è fortemente opposto ad un’interpretazione della legge che portasse alla decadenza di Berlusconi e, per contrastarla, ha sollevato alcune motivazioni di carattere giuridico e politico, attuando una tattica chiaramente volta a prendere tempo, arrivando però anche a minacciare una crisi di governo nel caso in cui il Partito Democratico si schierasse compatto per la decadenza. Senza avere la pretesa di svolgere il ruolo dei costituzionalisti esperti cerchiamo di fare chiarezza sull’argomento e, dopo averne riassunto gli eventi, di tirarne le somme e arrivare ad una conclusione.
Il primo agosto di quest’anno è stata confermata a Silvio Berlusconi dalla Corte di Cassazione la condanna a quattro anni che gli era stata inflitta solo pochi mesi prima dalla Corte di Appello di Milano. In seguito ad essa si dovrebbe dunque applicare la legge 190 del 2012 meglio conosciuta come “legge Severino” sulla corruzione dei politici.
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La legge fu fortemente voluta dal Governo Monti, sia perché si trattava di un segnale importante in un momento di scandali politici e di forte sfiducia dei cittadini verso la politica, sia per tentare di porre un freno alla corruzione che affligge il nostro Paese, e fu votata sia dal Pd sia dal Pdl, anche se con qualche riserva da parte di quest’ultimo. La legge prevede una serie di norme che disciplinano l’incandidabilità di soggetti che hanno subìto condanne superiori a due anni e, punto ad oggi contestato, la decadenza dal mandato parlamentare, su cui deve comunque pronunciarsi la giunta per le immunità della camera di appartenenza, nel caso che l’incandidabilità sopravvenga durante il mandato parlamentare. Su questo punto il Pdl ha fatto quadrato intorno al proprio leader, sollevando numerose obiezioni sulla questione se fosse possibile o no applicare a legge a questo caso specifico, tirando nuovamente fuori il leitmotiv della persecuzione giudiziaria di Berlusconi e minacciando un ricorso anche di carattere europeo. L’obiezione più forte che viene mossa, e anche quella che giuridicamente è più fondata, è quella che riterrebbe la legge non applicabile a questo caso specifico in quanto il fatto si è compiuto precedentemente rispetto all’entrata in vigore di essa, quindi sarebbe meglio, sempre secondo il Pdl ed i giuristi che lo appoggiano, che l’intera materia fosse delegata al giudizio della Corte Costituzionale.
Ora questa motivazione seppur fondata sembra inconsistente per svariati motivi. Prima di tutto è la legge stessa a specificare che la giunta si può pronunciare sulla decadenza di un parlamentare in caso di sopravvenuta incandidabilità, e l’incandidabilità di Berlusconi è sopravvenuta a legge già in vigore. Poi la sanzione disposta dalla legge assume più il carattere di una sanzione di tipo politico o amministrativo in quanto erogata dalla giunta competente della camera di appartenenza piuttosto che una sanzione di tipo penale per la quale sarebbe stato molto più sensato parlare di un divieto di irretroattività. Infine vi è il problema del precedente che potrebbe causare un’interpretazione come questa, si ridurrebbe infatti notevolmente la portata e l’efficacia di questa legge limitandola ai soli reati commessi dopo la sua entrata in vigore, rischiando di aumentare il senso di frustrazione già abbastanza vivo nei cittadini.
Per concludere bisogna tenere ben presente che, oltre alle motivazioni giuridiche, dietro i vari ricorsi e le varie obiezioni sono ben vive delle motivazioni politiche di breve respiro che sono facilmente intuibili. E sono principalmente queste motivazioni ad incidere su quella che sarà la decisione ultima della giunte per le elezioni e per le immunità, dove sono rappresentati tutti i gruppi parlamentari presenti al Senato. Il centrodestra non ha fatto mistero della possibilità di causare una crisi di governo nel caso di un voto favorevole da parte del centrosinistra, tornando a mischiare i guai giudiziari di Berlusconi con le sorti dell’esecutivo. Su queste basi dovrà decidere la giunta ed in particolare il Partito Democratico guidato, in vista del congresso, da Guglielmo Epifani, in bilico tra la possibilità di una rottura della coalizione di governo ed il rispetto della legge e di un sentire diffuso tra gli elettori ed i cittadini.
Resta difficile immaginarsi cosa accadrà, anche perché una possibile crisi di governo ed il ritorno a nuove elezioni aprono scenari diversificati anche per un Pd alle prese con frammentazioni e problemi congressuali. Quello che però si può desumere è il dramma tragicomico di un partito come il Popolo della Libertà e del suo segretario Angelino Alfano, incapaci di emanciparsi dalla leadership ormai in fase calante di Berlusconi e legando a doppio filo le sorti di un partito, di un governo e di un Paese a quelle di una singola persona, rischiando di arrivare ad elezioni anticipate solo perché questa rischia di uscire dal parlamento dopo quasi vent’anni di permanenza.
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