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Leggende e storie di montagna

Creato il 27 giugno 2010 da Mcnab75

La gita di fine settimana in montagna è un appuntamento irrinunciabile che ogni estate cerco di fare almeno una o due volte.

Nonostante sia un vizioso (non solo viziato) abitante di città, ogni tanto mi piace rigenerarmi in un contesto in cui la modernità – comunque dilagante e invasiva – fatica ancora un po' a inglobare tutto.

Certo, oramai è difficile trovare delle località di montagna, se si eccettua qualche borgo isolato per mere ragioni geografiche, non invase da torme di aperitivari milanesi in trasferta tattica a bordo di costosissimi SUV. È un peccato vedere che tocca alla gente di montagna adattarsi a questa invasione lanzichenecca, e non viceversa. I cittadini chiedono locali alla moda? Facciamoglieli. Vogliono piste da sci? Eccole, con tutti i confort del caso.

Ricordo che fino a una quindicina di anni fa i montanari erano molto più recalcitranti ad accogliere i forestieri. Probabilmente le vecchie generazioni conservavano quella tipica diffidenza di chi cresce lontano dai deliri della gente di pianura, quindi non vedevano di buon occhio chi tentava di imporre un altro modo di vivere a casa loro. Ora invece si preferisce mungere i ricchi turisti del fine settimana, piuttosto che le mucche.

 

Meglio quindi ricordare quel senso di mistero e riverenza che i monti ispirano a chi ancora riesce a fermarsi ad ascoltare, tra una suoneria e un MP3. Non a caso le valli italiane sono zeppe di leggende e storie popolari che le vedono abitate da streghe, orchi, uomini selvatici, fantasmi e diavoli.

Eccovi qualche esempio preso dal folklore regionale che meglio conosco.

 

La bestia del Diavolo

 

E' particolarmente viva, in molti paesi della Valtellina, la leggenda della “cavra bésüla”, o, nella versione maschile, del “caurabésül”. Si tratta di una capra (o di un caprone) che segnala la sua presenza emettendo un verso lamentoso e terrificante (“bésüi”, in dialetto, significa urla disumane). Il suono sinistro di qualche animale notturno poteva indurre ad immaginare la sua presenza: fatto sta che, come raccontavano un tempo i vecchi ai bambini, addentrarsi di notte in un bosco, soprattutto se si aveva la coscienza sporca per qualche malefatta, significava esporsi al rischio di vedersi comparire innanzi questo animale orripilante e famelico, presentato, di volta in volta, come manifestazione del Diavolo, di qualche strega o di qualche anima dannata particolarmente cattiva.

 

I dannati che tornano nelle valli

 

Il buon padre Dante ci insegna che le pene infernali obbediscono spesso al criterio del contrappasso, e nel suo Inferno immagina i golosi immersi in una melma fetida. Più mite sorte hanno, invece, i golosi della Val di Togno, condannati in eterno a cibarsi della poca erba offerta dai magri pascoli della valle. I vecchi assicurano che, all’ultimo rintocco della mezzanotte, la valle, da Ca’ Brunai, nel suo settore mediano, fino all’alpe Painale, che la chiude, si popola di ombre misteriose, anche nella fattezza di capre, che si avventano, fameliche, su quei cespugli che non potranno mai spegnere la loro fame: sono le anime dei golosi, qui confinati e condannati a cibarsi dei magri cespugli d'erba amara.

Anche Giuseppina Lombardini (cfr. Ezio Pavesi, "Valmalenco", Cappelli Editore, 1969, pg. 180), parla di questa leggenda, secondo la quale dopo i rintocchi di mezzanotte della campana della distrutta chiesetta di S. Eusemio a Sondrio, sulla mulattiera che da Ca' Brunai porta al laghetto di Painale le spettrali ombre dei golosi sondriesi si affollano per divorare avidamente la scarsa erba. Ed Aurelio Garobbio, in "Montagne e valli incantate" (cappelli editore, Rocca S. Casciano, 1963, pgo. 145) aggiunge che i fantasmi dei ricchi sondriesi escono a mezzanotte dalle case Botterini, Sassi, Lavizzari e Sertoli, dal Cimitero, dall'Ospedale e dall'Enologica Valtellinese, e si avviano su per la Valmalenco, aggrappandosi a rupi ed arbusti, divorando erbe e vermi, con una voracità spaventosa.

 

I Mani oscuri

 

Singolare anche la leggenda dei Mani della omonima regione, la Val di Mani. Questi sarebbero oscuri spiriti – forse derivati dalle medesime divinità della mitopeica romano antica - che abitavano i recessi oscuri della valle cui li lega il nome, ma ne uscivano, spesso, a danno dei Cristiani, detestati per aver messo al bando, con i culti pagani, anche il loro culto.

Eccoli, allora imperversare su campi ed alpeggi: con il loro fetido fiato li rendevano brulli e desolati, prosciugavano le mammelle delle mucche, rendevano difficile perfino alle donne concepire i figli. Il loro alito pestifero diffondeva ovunque morte e desolazione.

Un giorno un sant'uomo dotato di vera fede, Don Sebastiano, riuscì nell'intento di esorcizzarli dalla valle. A quanto pare durante il rituale riuscì a vedere coi suoi stessi occhi una torma di figure oscure, i Mani. Prima di andarsene, banditi dalle preghiere del prete, essi gli promisero che sarebbero tornati. Spaventato, Don Sebastiano disse loro che avrebbero potuto trovar pace nella vicina Val di Togno, e i Mani lo ascoltarono. Peccato che quella promessa fu dettata solo dalla necessità del sacerdote di liberare la sua gente, senza curarsi delle conseguenze. Infatti, arrivati nella valle sull'altro versante del monte, i Mani iniziarono a spargere lì la loro influenza mefitica. Essa si sentire ancora oggi, perché si attende un nuovo don Sebastiano che abbia la sufficiente statura di santità per porvi fine.

 

(fonte: http://www.paesidivaltellina.it/)


Leggende e storie di montagna

(Affresco dell'uomo selvatico, una sorta di figura leggendaria che ricorre in molte tradizioni popolari italiane, soprattutto alpine e appenniniche).


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