Quando ero piccola la lettura era il mio rifugio. Un posto solo mio, al riparo dagli eventi, dove l'imprevisto correva solo tra le righe e non poteva toccarmi se non sulle ali dell'empatia. Leggere era la mia piccola isola, un posto che nel mio cervello solo mio, dove nessuno poteva entrare e che potevo controllare a mio modo.
Leggendo Jane Eyre a nove anni mi faceva piangere la solitudine della protagonista e mi terrorizzavo all'idea della moglie pazza che vive in soffitta, salvo poi essere felice e saltellante quando il signor Rochester (zoppo e mezzo sbruciacchiato) sposa la protagonista.
Ingenua bambina, sì che fece un bell'affare.
“Ma che leggi? E' per i compiti?”
“No, è perché mi piace.”
Così venivo bollata come strana dai compagni di classe più popolari, tanto da venire relegata tra gli sfigati che passavano la ricreazione seduti sul muretto in fondo al cortile. Ma nemmeno questo ha posto un freno alla mia passione.
Ho popolato librerie, riempito scaffali, odiato bibliotecari e fatto amicizia con signore piccole piccole che odorano di borotalco e che conoscono la classificazione decimale Dewey a menadito. Ho avviato amici e fidanzati recalcitranti alla lettura, per poi fargli scoprire un mondo nuovo, diverso.
Perché leggere è una finestra sul mondo, è essere un giorno pirata e un giorno Obama restando comunque sempre se stessi. E' volare in alto, vivere mille avventure seduti sul divano di casa, costruire castelli in aria ed esercitare il cervello a sognare.
Certo, la scuola italiana che obbliga alla lettura de I promessi sposi alla velocità di due pagine la settimana, con tanto di esegesi del testo e compiti in classe, non aiuta eh.
Ma io ero anarchica anche in questo: se a scuola mi davano come compito di leggere un libro, io per presa di posizione non lo leggevo. MAI. E come finivano I promessi sposi l'ho scoperto grazie al Trio.
E questo ha sempre indispettito alquanto le mie insegnanti d'italiano, anche se poi alla fine capitolavano sempre.
Certo, non tutti possono avere avuto la fortuna di una maestra come la mia in quarta elementare. Aveva istituito un'ora di lettura due volte la settimana. Potevi portare un libro o prenderlo dalla biblioteca. Potevi anche non far nulla, ma dovevi star seduto composto e in silenzio.
Potevi leggere Topolino oppure Le avventure di Jim Bottone.
O quello che volevi tu.
Poi non c'erano compiti, riassunti, test.
Niente.
Era solo il puro piacere di leggere, di dire al tuo compagno “Leggilo, è bulo!” (nda. Bulo=molto bello in perugino)
Chi mi dice “Non mi piace leggere”, è solo un cucciolo che s'è perso per strada senza trovare chi lo aiutasse, una povera anima da indottrinare. Oppure una personaccia con cui, chiaramente, non ho nulla in comune.
“Non mi piace leggere” è un pregiudizio, un non aver mai provato ad astrarre, ad immaginare e perché no, a sognare. Chi non ama leggere non saprà mai nemmeno sognare, lo penso davvero. Dovrà nutrirsi di sogni preconfezionati e predigeriti, creati apposta per lui da chi se ne intende.
Chi non ama leggere si perde un pezzetto di mondo, un momento per sé, un soffio di vita. Perde l'immaginario, la possibilità di costruirsi un mondo a misura propria, non capisce che leggere è vivere.
Chi non ama leggere, francamente, non sa cosa si perde.