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Leggere senza affetto: “Mancarsi”, Diego De Silva

Da Lepaginestrappate @paginestrappate

Leggere senza affetto: “Mancarsi”, Diego De Silva

Qualche tempo fa, ho vissuto un periodo di solitudine piuttosto intensa. Di quelle solitudini in parte imposte dagli eventi – la deludente fine di una storia, l’allontanamento di una amicizia importante, la vita che si piega a ripercorrere ogni giorno gli stessi binari – in parte autoindotte, una malinconica metereopatia dell’inverno.

Ricordo la sensazione di attesa, che aleggiava impalpabile ma ferma su qualsiasi cosa facessi e ovunque mi trovassi.

L’unico lusso che si permetteva era lasciare che il tempo andasse per conto suo, senza stargli continuamente addosso.E hai detto niente, hai detto.

Questa sensazione d’attesa c’è, in Mancarsi, per tutto il corso delle sue (poche) pagine, dalla prima all’ultima frase. E anche qui i due protagonisti stanno vivendo una solitudine intensa, di quelle che non ti fanno riconoscere il mondo che ti circonda o forse in realtà te lo fanno vedere con fin troppa chiarezza. Il titolo è forse una delle cose migliori di questo breve romanzo. Mancarsi – mancare di qualcosa, perdere se stessi, sentirsi sfuggevoli e troppo soli.

Così sono i due protagonisti. La loro vita ci viene raccontata su due binari paralleli, la cui unica stazione in comune è un piccolo bar (anche se De Silva decide di preferire il termine… bistrot). Irene esce da un matrimonio in cui era infelice, Nicola è da poco vedovo di una moglie che aveva smesso di amare.

Il sommario ci dice che “sono fatti l’uno per l’altro, ma non lo sanno. Probabilmente se ne accorgerebbero, se s’incrociassero anche solo una volta.”

E’ il sommario che ce lo dice. Ci fornisce già una guida prima di iniziare la lettura, perché senza di essa non diremmo mai che hanno qualcosa in comune. Ci limiteremmo a osservarne il ritratto nebuloso e dire: “E allora?”

Non sono un critico, non studio lettere, letteratura o scrittura, per cui non so se ci sia qualcosa di “giusto” o “sbagliato” nel mio approccio, ma so che mi è istintivo, quando leggo, cercare nell’uno o nell’altro personaggio una parte di me o del mondo che conosco. Tendo, in genere, ad affezionarmi in particolare ad almeno uno di loro.

Qui questo affetto mi è mancato, così come mi è mancata l’immedesimazione, l’emozione, l’empatia. Nonostante sia, essenzialmente, un romanzo di pensieri sull’amore. Piccoli pensieri che sono altrettanti piccoli frammenti che ci vorrebbero restituire la storia e l’anima di Nicola e Irene. Goccioline nebulizzate che rendono opaco il vedere. Nicola e Irene sono così… senza volto, stilizzati, senza reale storia, senza pretese.

Irene e Nicola non sono banali. Semplicemente per loro non provo affetto né incuriosiscono il mio interesse: non li conosco nel romanzo e per quanto il racconto della loro solitudine si proponga come uno scavo nell’intimità (e a volte nell’autocommiserazione) e nella malinconia, in realtà l’impressione costante che ho avuto è che si graffiasse appena la superficie con un ago spuntato.

La loro storia, quella sì invece, è totalmente banale. E’ per questo che è tutto il resto – le riflessioni, le “belle frasi”, i pensieri – che compone questo Mancarsi sembra a ergersi a intera sostanza facendo le veci della narrazione.

E infatti, Mancarsi è una raccolta di alcune belle riflessioni. Delicati sguardi sull’amore e sulla percezione dell’altro.

Questo basta a renderlo un bel libro? A mio parere no. Però io non sono imparziale, stavolta. No, proprio no. Perché nella mia lettura ciò che ha vinto è stato il fastidio. Il fastidio è la sensazione che qui vince, alla fine del pensare e del leggere.

Fastidio, perché sì, è vero che Mancarsi è un bell’esperimento di scrittura, elegante (seppure appesantito dai continui incisi tra parentesi), in cui la narrazione non è solo a due voci di “egli” e “lei”, ma si trasforma in una girandola di punti di vista. In cui il narratore si fa “io”, poi sceglie il “tu”, poi il “loro”, il “noi”… Si trasforma e fa puntiforme, frammentato, proprio come è frammentato il racconto di Irene e Nicola.

Eppure, se la maggior parte delle voci funzionano, c’è sempre l’eccezione che conferma la regola. E l’eccezione è il “noi”, un noi pastoso, così ampio e generale che sembra espandersi oltre le pagine del romanzo per abbracciare l’intero genere umano. Talmente assolutistico e generalizzante da porsi come un assioma.

E quando si legge di persone e racconti e individualità, è fastidioso ritrovarsi tra le pagine qualcosa che sembra offrirti una verità universale con troppa sicurezza.

Che voce è, questo noi, che divaga, divaga, divaga? Un po’ filosofo compiaciuto, un po’ attore di monologhi?

Forse solo l’autore, che entra tra le pagine e offusca i già nebulosi Irene e Nicola,  gli individui stereotipati che incontrano sul loro cammino, e una esilissima e appena intravista storia d’amore.

Leggere senza affetto: “Mancarsi”, Diego De Silva


Mancarsi
Diego De Silva2013
L’Arcipelago Einaudi
pp. 104
€ 10,00
ISBN 978880621526

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