Tropea e Vibo, Soriano e Serra San Bruno: le quattro location in cui si è svolta la seconda edizione del festival, la settima del Premio. Cronaca e memoria dal 5 al 10 novembre: le curiosità e i protagonisti
Cosa ti è rimasto di Tropea, raffreddore e bronchite a parte?
La sento da qualche giorno, questa domanda. Da quando sono rientrata nel mio tour de force reggino fresca dell’esperienza del festivalLeggere&Scrivere. In realtà me la faccio anche io, da quando abbiamo preso la via del ritorno immersi nell’autunno che ha deciso di esplodere proprio il giorno dell’estate di San Martino. Perché fino ad allora è stata estate, a Tropea.
Ecco, caro Gilberto, caro Pasqualino, caro Mimmo, cari tutti voi che avete fatto non uno, ma cento miracoli nel mettere su la settima edizione del Premio Tropea, la seconda della nuova formula “festival”, Leggere&Scrivere: il difetto più eclatante è stato che avete fatto troppo. E che non siete riusciti a fornire a chi era al Museo diocesano la capacità di sdoppiarsi a Palazzo Gagliardi. Ma sono certa che vi attrezzerete, per la prossima edizione.
Questo “irreparabile errore” sta anche alla base della miopia dei miei colleghi (giornalisti, intendo: gli scrittori si sono assorbiti ogni attimo), che hanno trascurato molti appuntamenti proprio perché erano troppi. Così, almeno, mi sono spiegata alcuni silenzi stampa: non sapendo quali eventi seguire, quali scegliere, hanno scelto di non scegliere. In attesa del pastone di fine settimana. Con il nome del vincitore. Per poter dire che si sapeva già.
Tornando alla domanda.
Cosa mi è rimasto di Tropea, a parte i chili di libri acquistati uno dopo l’altro, dopo essermi fatta sedurre dalle presentazioni che si sono susseguite per cinque giorni? Troppo.
Troppo per poterlo sintetizzare. Troppo, perché la cultura e le emozioni condivise sono qualcosa di troppo personale per poter essere raccontate in modo adeguato. Avrei voluto fare la cronaca quotidiana. Evento dopo evento. Ma no, ho ottimizzato i tempi per godere del clima. Non solo sole, intendo. Il clima che si è costruito intorno a Tropea. Un clima che non si respira più nei grandi eventi, troppo dispersivi per poter fare gruppo. Penso al Salone del Libro di Torino. Alla prossima rassegna romana, Più Libri Più Liberi. Penso a Mantova. Penso anche al Taobuk di Taormina. Si tratta di grandi, grandissimi puzzle, dove ogni relatore, ogni visitatore si isola nel percorso solitario degli eventi. Le tessere giocano e ballano da sole. Si uniscono per un attimo, poi riprendono la via di casa. A Tropea quest’anno si è creata una magia. Non so se è successo anche lo scorso anno: non c’ero. E negli anni precedenti era un altro modello, giocato sulle tre serate all’aperto. Il che escludeva a priori ogni tipo di intimità. La magia, quindi. Quella di scambi. Di confronti. Quella che fa bene alla cultura, fa bene agli individui, fa bene alla Calabria.
Cosa mi è rimasto, di Tropea? La certezza che si possa fare molto, per la cultura. E un’infinità di istantanee.
Gli studenti attenti e quelli più difficili da convincere (orari, relatori e modo di trattare gli argomenti devono aver inciso, in qualche modo). Seimila, fatti i conti. Maria e Giuseppe (giuro, tutto ruotava proprio intorno a loro), e tutti i componenti dello staff che non hanno mai perso il sorriso, la disponibilità, la professionalità. Un giorno riuscirò a rubare loro la formula.
Francesco Bevilacqua, il suo coma topografico e l’amnesia dei luoghi. Fabio Mollo, in arrivo da Toronto e in partenza per Roma con il suo Sud è niente, che a sentirlo raccontare, invece, sembra tutto. Cristina De Stefano, incalzata dall’ottima Lionella Morano a raccontare l’Oriana Fallaci del suo ultimo libro: molto corazzata, molto rigida perché molto vulnerabile.
Edoardo Albinati, uno dei tre finalisti, incurante del tour de force triplo grazie ai bagni rubati alla pausa pranzo nelle acque verde smeraldo della Linguata, la spiaggia internazionale di Tropea. Il pennarello blu di Vittorio Pio, quando dimenticava di essere esperto musicale e si calava in toto nel ruolo di coordinatore dell’ufficio stampa e esperto di rp.
La bellezza maestosa di Soriano e del suo scrittore Enzo Ciconte. La chitarrina e la voce tuonante di Francesca Prestia. L’allure di Marina Valensise, da Polistena a Parigi, a dirigere l’istituto di cultura italiana, che con grazia ha incitato le giovani scrittrici a capire cosa dire e come dirlo, smettendola di piangersi addosso.
E poi tanti, tanti altri scrittori, giornalisti, intellettuali che hanno animato, giorno dopo giorno, un evento di cui andare orgogliosi. Basta scorrere il programma, nome dopo nome, per capire quanti. A Gilberto Floriani, regista e direttore artistico, il merito di aver creato ciò che sembrava impossibile, ma soprattutto di avergli dato un’anima, trovando nell’amore per la cultura e la sua divulgazione, nell’amore per il leggere e per lo scrivere, l’unico collante capace di dare un senso a un evento che ha le carte in regola per riscrivere il corso dei grandi eventi e per far rileggere la parte di Calabria che troppo spesso sparisce, soffocata da ben altre logiche. [sciroccoNEWS]
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