Le leggi elettorali, o meglio, i sistemi elettorali – che costituiscono l’insieme di norme grazie alle quali i voti espressi degli elettori vengono utilizzati per ripartire i seggi – costituiscono una tematica ricorrente nel dibattito politico. Nonostante l’importanza del tema, tuttavia, l’attenzione mediatica spesso tende a restare in superficie, limitandosi all’imperativo – tanto categorico, quanto evanescente – della “governabilità”, senza curare con altrettanta enfasi la rappresentatività dell’elettorato.
Per analizzare questo aspetto la statistica ha elaborato alcuni indici di disproporzionalità che sono in grado di misurare l’intensità delle distorsioni che un sistema elettorale può creare, andando a inficiare la perfetta eguaglianza del valore dei singoli voti. È bene al contempo sottolineare che tali indicatori non includono aspetti come le “quote” interne (rosa, abbronzate e birulò), le eventuali “primarie” o “parlamentarie”, la lunghezza delle liste, le preferenze esprimibili e la possibilità di voto disgiunto. Si tratta di elementi che assumono una notevole rilevanza nell’ottica di una valutazione più completa di un sistema elettorale, perché influiscono sulla libertà dell’elettore, però non sono inclusi negli indicatori che vedremo, in quanto essi si limitano ad elaborare, con ponderazioni differenti, il rapporto tra percentuale di seggi e percentuali di voti.
Prendendo in considerazione gli indici di disproporzionalità, in uno studio pubblicato recentemente su Termometro Politico ho confrontato gli effetti che alcuni sistemi elettorali hanno (o potrebbero avere) sulla ripartizione dei seggi alla Camera dei Deputati. Qui ne sunteggerò i punti fondamentali.
L’analisi prende in considerazione innanzitutto il defunto Porcellum, formalmente legge 270/2005, ma anche la normativa emergenziale Consultellum, attualmente in vigore a seguito di una sentenza della Corte Costituzionale che ha dichiarato la parziale illegittimità della “legge porcata” nei punti concernenti le liste lunghe bloccate e l’attribuzione immediata del 55% dei seggi alla forza politica che avesse ottenuto anche solo un voto più delle altre. Non potevano mancare l’Italicum, da poco approvato alla Camera dei Deputati e attualmente in esame al Senato, e il Pentasiderum, ossia la proposta che si sta delineando attraverso una serie di consultazioni successive cui sono chiamati ad esprimersi gli iscritti al Movimento 5 Stelle. Ad oggi ci è dato sapere che tratta di una legge proporzionalistica con un uno sbarramento nazionale al 5% e circoscrizioni “intermedie”; tuttavia, non essendo stata ancora redatta analiticamente, risulta difficile stimarne gli effetti.
Pertanto formuleremo due scenari: nel primo caso (Pentasiderum C) si ha un riparto circoscrizionale (maggiormente “spagnolo”), con collegi che offrono una media di 15 seggi in palio; nel secondo caso (Pentasiderum N) un riparto sulla cifra nazionale complessiva dei voti. Potrebbe sembrare una sottigliezza, ma in realtà questa alternativa risulta significativa soprattutto con l’utilizzo del divisore D’Hondt rettificato (1; 1,5; 2; 2,5; 3; 3,5; …), che tende a conferire un seggio in più alla/e forza/e con maggiori consensi. Va da sé che la correzione di un seggio su cinque comporterebbe una quota premiale assai più rilevante (20%) di quella che invece potrebbe essere se spalmata su 200 seggi (0,5%). Inoltre, i piccoli collegi hanno a loro volta uno sbarramento detto “naturale”, dato appunto dal numero di seggi da assegnare: se un collegio eleggesse 5 deputati, lo sbarramento sarebbe del 100/5=20%, che impedirebbe anche a forze importanti, ad esempio con il 15% dei consensi, di ottenere rappresentanti.
Per un confronto più completo prendiamo in considerazione la legge elettorale Europaeum vigente per le elezioni europee, un proporzionale con sbarramento al 4% e riparto nazionale. Ecco qui uno schema riassuntivo dei principali meccanismi delle leggi considerate:
Utilizzando la media sondaggistica delle intenzioni di voto per la Camera dei Deputati al 25 marzo 2014, calcolata da Termometro Politico, possiamo ricavare la seguente rappresentazione grafica:
È possibile notare come l’elettorato italiano oggi sia diviso principalmente in quattro: Partito Democratico, Forza Italia, Movimento 5 Stelle e partiti che non superano il 5%. Tra questi, Nuovo Centrodestra, Lega Nord, Sinistra Ecologia e Libertà e Fratelli d’Italia – con bacini elettorali sul milione di voti – raccolgono la metà dei consensi delle forze “minori”. In una siffatta condizione, qualsiasi ipotesi di “forzare” una maggioranza politica finirebbe per creare disproporzionalità molto ampie. Se invece avessimo uno scenario fortemente bipolare (es. 52% e 45% per le due liste più votate) la disproporzionalità sarebbe minore, dato che la maggioranza assoluta non necessiterebbe di ulteriori forzature.
Dalla nostra simulazione si sono ricavati i seguenti indici di disproporzionalità:
A valori elevati – segnalati con una intensità crescente di rosso – corrisponde una disproporzionalità elevata; qui di seguito ne prendiamo in considerazione solo due.
Il Loosemore-Hanby, ottenuto dalla sommatoria delle differenze assolute tra percentuale di voti (Vi) e percentuale di seggi (Si), divisa poi per due, può essere un indicatore grezzo degli elettori “esclusi”, ossia di coloro che hanno espresso un voto che non ha contribuito all’assegnazione di seggi. Incontriamo qui una delle possibili accezioni di disproporzionalità: la non rappresentanza in Parlamento di una fetta più o meno ampia di votanti. Il Loosemore-Hanby risente maggiormente della disproporzionalità dovuta a sbarramenti; l’Italicum e il Pentasiderum, con le loro soglie piuttosto elevate, tendono a lasciare fuori più partiti di quanti ne escludano ad esempio il Porcellum, che prevede quorum inferiori per le liste coalizzate, o l’Europaeum, che ha uno sbarramento di un punto inferiore rispetto al Pentasiderum.
Per analizzare invece una disproporzionalità che riguarda la distribuzione dei seggi tra le forze entranti in Parlamento, un indice di immediata comprensione può essere quello di Lijphart, che assume il valore della sovrarappresentazione del partito più rappresentato. Per spiegarci meglio con un esempio, un partito che ottiene il 30% di voti e il 50% dei seggi mostra un indice pari a 50-30=20; un partito che ottiene la stessa percentuale di voti ma il 32% dei seggi ha un Lijphart di 2. Valori inferiori segnalano una maggiore aderenza alle percentuali di voti ottenuti nella tornata elettorale. I sistemi che prevedono un premio di maggioranza dovrebbero costituire un Lijphart pari alla quota dei seggi in più (affidati come premio), ma è da notare che nel caso dell’Italicum, pur non potendo tale quota superare il 15%, si ha un Lijphart superiore per perché l’unica lista della coalizione vincente (ad oggi sarebbe il centrosinistra) in grado di oltrepassare il quorum del 4,5% (il PD) otterrebbe tutti i seggi anche aggiuntivi attribuibili alla coalizione (37+15=52% circa). Il Pentasiderum, non contemplando premi di maggioranza, si colloca in un valore intermedio tra l’alta disproprorzionalità dell’Italicum e quella bassa del Consultellum. Valori centrali anche per il Porcellum, perché il premio di maggioranza tende ad essere equidistribuito tra le forze della coalizione vincente. Il Lijphart perciò può essere a grandi linee indicativo della disproporzionalità intesa come la equa rappresentazione dei rapporti di forza tra le varie liste in Parlamento, che è influenzata da meccanismi quali premi di maggioranza e riparti “corretti”, tra cui il metodo D’Hondt corretto della proposta a cinque stelle.
Per approfondimenti sui singoli indici rimando, oltre al mio studio completo su Termometro Politico, al saggio di Aikaterini Kalogirou Analysis and Comparison of the Greek Parliamentary Electoral Systems of the Period 1974-1999, in particolar modo al capitolo 5.
L’Italicum opera distorsioni per entrambe le accezioni di disproporzionalità, mentre il Porcellum – così come il Consultellum – è in grado di includere anche elettori di forze minori, grazie allo sbarramento medio agilmente superabile in coalizione e alla “clausola del miglior perdente” che ammette al riparto la lista più votata tra quelle rimaste sotto la soglia del 2%: con una coalizione di due partiti, una delle quali a due cifre, anche una lista che ottiene pochi voti può entrare in Parlamento. Il Pentasiderum presenta uno sbarramento più elevato di quello del Porcellum ma, a seconda delle distribuzioni locali, ci potrebbero essere significative divergenze tra percentuale di voti e percentuale di seggi corrispondenti. I risultati somigliano a quelli del Senato eletto con il Porcellum, fatta salva in questo la possibilità di coalizzarsi, che sembrerebbe non più prevista dal Pentasiderum. Attualmente può esserne avvantaggiato il M5S, che in molte circoscrizioni raccoglie consensi addirittura superiori a quelli del PD ma difficilmente supera la coalizione di centrosinistra nel suo insieme.
Così facendo, il Pentasiderum sembra non garantire né la “governabilità”, né la proporzionalità in senso lato. Probabilmente ci si sarebbe aspettati una dose di coraggio in più (ad esempio una proposta di candidature singole indipendenti, senza l’obbligo di presentare liste nazionali) da una forza politica che si definisce “movimento” e che continua a inveire – di certo non a torto – contro la “partitocrazia”, ma, complice anche lo strumento plebiscitario utilizzato sotto la supervisione del professor Aldo Giannuli, il risultato del Pentasiderum sembrerebbe non essere molto migliore del renzusconiano Italicum.
L’Europaeum e soprattutto il Consultellum si mostrano maggiormente proporzionali, anche se molto dipende anche dal comportamento degli elettori, specie nell’Europaeum, siccome i processi aggregativi/disgregativi possono influire sulla disproporzionalità dei sistemi elettorali. Qualcuno obietterà che una proporzionalità simile non garantirebbe minimamente la governabilità. Ma che significa questo termine? Spesso qui si nasconde, da parte di qualche forza politica, la pretesa di autosufficienza per governare da sola. Né vi è un accordo sul concetto in sé: dovrebbe indicare la continuità di un colore politico (si pensi alla DC nel secondo dopoguerra) o la continuità di un governo? Per giunta, può forse considerarsi non governabile un sistema politico fortemente orientato al proporzionale come quello tedesco, che garantisce dal 2005 un ruolo stabile alla cancelliera Angela Merkel? Sarebbe più governabile un sistema maggioritario in un contesto bipolare forzato, in cui i due partiti/coalizioni sono al loro interno talmente litigiosi che ogni occasione può essere buona per sfaldarsi?
Sulla governabilità, più che la legge elettorale, sembrerebbero influire maggiormente la tradizione politica di un paese, l’attitudine delle forze politiche a collaborare e più di ogni altra cosa l’asimmetria per l’elezione delle due Camere, che è la principale causa della “instabilità” del Porcellum, poiché a fronte di un premio nazionale alla Camera presentava una molteplicità di premi regionali attribuiti anche a coalizioni contrapposte.
In conclusione, è preferibile che il sistema elettorale per l’assemblea legislativa nazionale possa rappresentare il maggior numero di cittadini, anche allo scopo di evitare l’insorgere di fenomeni aggregativi innaturali, strategie di “voto utile” a forze politiche in cui l’elettore non si riconosce pienamente o l’accentuazione della tendenza al non voto. La governabilità, come abbiamo visto, in alcuni casi può risultare un problema secondario, perché la finalità del Parlamento non è quella di “essere governato”, ma quella di esercitare la propria funzione legislativa.