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“Lei e lui” di Andrea De Carlo (edizioni Bompiani)
Mai, giuro mai, ho riso così tanto come leggendo le ultime pagine di questo libro. Una risata incontenibile, liberatoria direi. Voglio sperare che De Carlo, dall'alto delle centinaia di migliaia di copie vendute, dei milioni guadagnati, delle folle ammaliate dallo sguardo da killer sentimentale delle foto immancabili nella quarta di copertina, abbia volutamente preso in giro i lettori con cotanto finale. E lo voglio sperare per la sua intelligenza, per l'indubbio talento da mestierante della penna che, in questo libro, da il meglio di sé.
La storia, banale dall'inizio alla fine, si dipana tra stereotipi letterari e scrittura finto alta per nascondere un vuoto totale di fantasia e inventiva.
È una notte buia e tempestosa, con fulmini, saette, grandine perché è meglio non farsi mancare nulla. Lui e lei si incontrano grazie ad un incidente automobilistico che li coinvolge entrambi. Ovviamente l'ambulanza non arriva e, ovviamente, lei insiste con il fidanzato per accompagnare lui al pronto soccorso. Lei è Claire Moletto, americana trapiantata in Italia per amore; prima a Genova poi, sempre per amore, a Milano. Lui è Daniel Deserti, cinquantenne scrittore in crisi. Purtroppo il libro non è autobiografico perché almeno nella storia lui da anni non scrive più.
Ovviamente all'inizio una antipatia profonda scorre tra di loro insieme ad una altrettanto ovvia attrazione. Lei è fidanzata con Stefano Panbianco, tipico rappresentante della borghesia milanese, figlio unico, madredipendente, preciso come una supposta da prendere alla stessa ora tutti i giorni. Lui è ovviamente bellissimo, separato due volte, con due figli. Stanco, deluso, con un vuoto dentro che nulla può colmare. Disgustato dall'ambiente letterario pieno di falsità e marchettari cade in crisi perché, ovviamente, lui è diverso da tutto ciò.
Il libro procede a capitoli alterni; uno ci racconta lui e quello successivo ci racconta lei. Ovviamente si rincontrano per caso in un grande magazzino perché al cuore non si comanda. Hanno le loro vite ma ormai il virus del disastro si è insidiato nei loro destini e non è possibile evitare l'inevitabile. Del resto sapeste come è strano sentirsi innamorati a Milano.
Tutti i personaggi, nessuno escluso, sono di una antipatia quasi ridicola tanto diviene caricaturale. Sono esattamente come ci si immagina che debbano essere. Senza sorprese, ombre, complessità, varchi di imprevisto. Sembra che l'autore li abbia costruiti non per assecondare la storia ma per difendere tesi precostituite. Il linguaggio che usano nei loro dialoghi è quanto di più falso e artificioso si possa immaginare. Sfido chiunque a ricordare situazioni in cui ha parlato in quel modo.
La storia continua. Tra tentennamenti, paure, incertezze si troveranno ovviamente incapaci di resistere a quella corrente sotterranea di attrazione e ineluttabilità. Trascorreranno due giorni nella più classica coreografia provenzale: mercatini colorati, profumi, sole, colori. Gesti trattenuti a stento, tensione fisica e sessuale che finalmente si scioglie in una notte di sesso che, statene certi, non è solo sesso ma comunicazione di anime. Poi, ovviamente sensi di colpa e ore insonni passate a discettare sui massimi sistemi dell'amore, dei ruoli maschili e femminili. Sublime dialogo, sublime nella sua assoluta pochezza e artificiosità.
Ma lui è così sensibile dietro quell'apparenza da macho cinico e disilluso, sa ascoltare, indovina persino i pensieri di lei, la sua infanzia, la sua adolescenza. Un vero mago della telepatia. Lei non ha mai incontrato uno così e lui neanche. Nonostante la sua lunga carriera da donnaiolo distaccato e sofferente non può restare insensibile alla grazia, ovviamente selvaggia ed esotica di lei.
Tutto, ma proprio tutto in questo libro è esattamente come uno si immagina che debba essere una storia d'amore. E la Liguria di cui si parla è esattamente un quadretto trito e ritrito di marecoloriodoriprofumi. E la Provenza anche. E i gesti già visti e rivisti in qualche film di serie b. Non c'è uno scarto che sia uno da un copione che, fin dalla prima pagina, segue strade narrative mangiate e digerite più e più volte.
Le sfumature, così importanti nella letteratura, qui non si sa neanche cosa siano. I presunti dubbi e lacerazioni esistenziali dei protagonisti sono prevedibili come le frasi dei biscotti della fortuna. Con la differenza che almeno i biscotti della fortuna un po' di dolce sulla lingua lo lasciano. Qui al massimo si rischia una gigantesca carie ai denti.
I registri linguistici dei personaggi sono identici tra loro; Daniel parla come Claire che parla come le sue colleghe, che parlano come Stefano che parla come sua madre. Non c'è diversità di piani e tutte le emozioni vivono bidimensionali, proprio come stampate sui fogli di un copione. I sentimenti, gli scatti di rabbia e disperazione non conoscono le disperate crepe e i movimenti scomposti della vita reale. Insomma più che con persone sembra di avere a che fare con maschere.
Ciò che resta dalla lettura di questo tomo di più di cinquecento inutili pagine è solo freddezza e senso del ridicolo. Senso che non ha fermato la mano dello scrittore in tempo per salvarsi almeno dal grottesco. Non voglio raccontarvi le ultimissime pagine perché, qualora decidiate di spendere soldi e tempo con questo libro, voglio che vi godiate l'assurda recita del finale. Voglio che, se siete arrivati fin lì credendo di leggere un bel libro, almeno a quel punto, vi venga il dubbio di avere sprecato il vostro senso della dignità.
Questo libro, oltre all'orrore di una trama da telenovela brasiliana, risulta anche scritto male. Il linguaggio e il ritmo sembrano, non a caso, quelli di una sceneggiatura: lui fa questo, poi questo, poi si alza, poi prende un bicchiere e via di questo passo. Lei si annoda i capelli, prende il telefono, scende dal motorino in una interminabile sequenza di gesti senza eco.
Perché De Carlo sia diventato De Carlo resta uno di quei misteri, neanche tanto misteriosi, di cui è piena la scena letteraria attuale.
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