Magazine Cultura
Questo libro festeggia il ritorno dell'autore bel tenebroso ai temi originari delle sue fatiche più di successo. E cioè l'amore, la coppia, che a volte scoppia e a volte no, la vita di tutti i giorni.
Il problema vero è che questi temi, affrontati in questo modo, ripropongono un approccio adolescenziale, di compagnia sul muretto, con scadimenti veramente imbarazzanti.
Questa è la storia di un incontro, di un amore che nasce, come tanti. Che viene contrastato dall'altro in gioco, dalla società che spinge per una normalizzazione sempre ambita, dal banale genio e sregolatezza dell'artista della parola che funge da protagonista, e dalla ritrosia della sperduta protagonista femminile.
Forse De Carlo scrive bene. Forse De Carlo ha grande capacità affabulatoria. Ma sicuramente questo libro è la fiera delle banalità, il festival delle consuetudini, la riproposizione dei luoghi comuni più comuni che non si può.
Il lieto fine, scontato, sin dalle prime pagine che descrivono l'incidente automobilistico che si rivelerà galeotto per i due protagonisti, è addirittura imbarazzante per la sua melensa, e bagnata, conclusione.
E poi, siccome non voglio farmi mancare nulla, ma proprio nulla, volevo aggiungere alla mia lamentela anche l'immorale lunghezza del libro che supera le 500 pagine e lambisce il chilo di peso: tutto per farci sapere che due si incontrano, schermagliano un po' nella città tentacolare e indifferente, si pigliano e si lasciano qualche volta, vanno al mare, e si ritrovano alla fine per vivere felici e contenti.
Troppo per quegli alberi tagliati.
Non volevo leggerlo e come sempre, quando faccio qualcosa contro il mio parere, me ne pento.
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