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“Lenore” – Capitolo I

Creato il 02 maggio 2013 da Federbernardini53 @FedeBernardini

“Lenore” – Capitolo I

-Qualche giorno fa è venuta a trovarmi una mia ex allieva-.

-A sii?- rispose Guglielmo, già rassegnato a sorbirsi sino alla feccia la storia dell’ultimo amorazzo senile di Gilberto.

-L’ho avuta quando insegnavo a Firenze-.

-L’hai avuta?- domandò Guglielmo guardandolo di sottinsù con un sorrisetto ironico.

Gilberto sbottò in una fragorosa risata e rispose: -Sempre il solito!-

-L’hai avuta?- ripeté Guglielmo.

-Beh…sì, l’ho avuta-. Si tolse gli occhiali da miope, alzò gli occhi al cielo e lo fissò a bocca aperta, assorto in ricordi remoti poi, come se d’improvviso, compulsando una cronistoria o una tavola sinottica, gli fosse saltata agli occhi una data memorabile, esclamò: -Nel ’65! Sì, sì…me lo ricordo benissimo, era il secondo anno che insegnavo a Firenze e lei venne a concordare la tesi-.

Gilberto aveva quasi settant’anni ed era professore ordinario di filologia classica. Nonostante l’età era ancora un dongiovanni impenitente; non aveva più lo smalto dei tempi migliori ma, nel suo ambiente, riusciva a riscuotere ancora qualche successo. Benché fosse accademico dei Lincei e avesse segnato all’attivo una mole imponente di studi filologici, che gli avevano procurato fama internazionale, le studentesse, le assistenti e le docenti della facoltà di lettere lo conoscevano più per il suo orgoglio dongiovannesco che per i suoi meriti scientifici.

Ci provava con tutte, a patto che fossero appena passabili, e così, lavorando sui grandi numeri, riusciva ancora ad aggiungere qualche pezzo alla sua sterminata collezione di conquiste femminili. Al di fuori dell’ambiente accademico, dove poteva contare  sul suo  prestigio  di studioso e, perché no, sull’autorità e sull’influenza derivanti dal suo incarico –di cui si serviva specialmente per irretire le assistenti più giovani e graziose- le sue possibilità di successo erano pressoché nulle, non solo a causa dell’età e dell’aspetto senile ma anche e soprattutto perché, oltre alla sua immensa erudizione, Gilberto non possedeva altre qualità. In compenso, aveva un gran numero di difetti, primo fra tutti l’avarizia, ripugnante, com’è ben noto, all’animo femminile.

-E com’è? è bella?- chiese Guglielmo con la sua solita aria maliziosa.

-Beh…non è più quella di vent’anni fa, ormai credo che sia vicina ai quarantacinque, ma è ancora una bella donna-.

-Allora, l’altro giorno, abbiamo rinverdito gli allori?-

-Macché! Si sta preparando per la libera docenza, è venuta a chiedermi un consiglio-.

-Per la libera docenza? a quarantacinque anni? –

-E perché no?…-

A quel punto Mario, il  capo cameriere del Caffè Di Maggio, si avvicinò al loro tavolo con un’aria ossequiosa: Guglielmo era il miglior cliente di quel locale –e di molti altri- e a lui spettava il privilegio di servirlo.

-Cosa posso offrirti?-

-Mah…mah…- Gilberto era sempre indeciso e le sue pause, al momento di ordinare qualcosa, erano imbarazzanti. –Cosa puoi offrirmi?!…- Pronunziò quell’ultima parola assaporandola come una giuggiola e poi aggiunse: -Beh! stasera voglio fare una follia: un Alexander!-

“Buon pro ti faccia, vecchio taccagno scroccone!” pensò Guglielmo. Abitualmente il suo amico non andava oltre un bicchiere di prosecco. –Per me il solito!-

-Grazie!- rispose Mario con un inchino.

-Allora? dicevamo?-

-Si sta preparando per la libera docenza e non credere che sia una cosa così insolita, a quell’età. Mi ha portato due suoi lavori…non so cosa fare…mi seccherebbe doverci lavorare sopra…e proprio adesso: siamo in piena sessione estiva-.

-Ho capito, non te ne importa niente della sua libera docenza, ma di lei?-

-Accidenti se me ne importa! Te l’ho detto, è ancora una bella donna-.

-E allora credo proprio che dovrai sorbirti i suoi lavori; di che cosa trattano?-

-Oh…non ha importanza!-

Ogni volta che provava ad approfondire un argomento che avesse una qualche attinenza ai suoi studi, Gilberto liquidava il discorso in quel modo, e Guglielmo si risentiva molto, perché gli pareva che il suo amico lo trattasse da ignorante. In fondo aveva anche lui la sua bella laurea in lettere.

-A proposito…non mi hai ancora detto come si chiama- chiese Guglielmo, tanto per dire qualcosa: la sufficienza dell’amico aveva gettato un’ombra sulla conversazione e la signora di cui si parlava non era riuscita a suscitare in lui un minimo di interesse o di curiosità.

-Giuditta-.

-Giuditta, un bel nome…è ebrea?-

-Ebrea? perché me lo chiedi?-

-Beh, un po’ di onomastica la conosco anch’io-.

-Ah, già, è vero…Giuditta! Non lo so, non credo, non abbiamo mai parlato di religione. Comunque ti posso assicurare che, indipendentemente dalle sue origini, è atea né più né meno  come me-.

-E allora, che intenzioni hai?-

-Non lo so. Mi piace, te l’ho detto, e poi mi ha fatto tornare in mente dei bei ricordi. Abbiamo avuto una bella storia, breve ma bella. Lei, poi, non ha sostenuto la tesi con me: si è laureata in storia della filosofia antica con Giannantoni-.

-Ma, allora, perché è venuta a chiedere consiglio a te?-

-E’ proprio quello che mi sono chiesto, anche se, intendiamoci, credo di poter dire la mia anche su quella materia-.

-Secondo me, la storia della libera docenza è stata solo un pretesto per venirti a trovare-.

-Può anche darsi. Di fatti abbiamo parlato ben poco sia di filosofia sia di filologia-.

La conversazione cominciava, inaspettatamente, a prendere una piega interessante. Guglielmo ordinò un secondo cognac e si accese l’ennesima sigaretta. –E di cosa avete parlato, allora?-

-Di noi-.

-Di te so già tutto, raccontami di lei, piuttosto-.

-Che ti devo dire…si è sposata-.

-E ha figli?-

-Noo!…Figurati, non è proprio il tipo e poi…i rapporti col marito…-

-Perché? non vanno d’accordo?- lo incalzò Guglielmo, cogliendo nelle parole dell’amico una qualche reticenza.

-Stanno insieme solo per ragioni di interesse: lui è uno scultore e lei ha una galleria a Cortona, ereditata dal padre. Da due anni ha lasciato l’insegnamento e si dedica al negozio, anche se non ha abbandonato del tutto i suoi studi. Vivono sotto lo stesso tetto ma ognuno fa la sua vita; a lei fa giuoco il nome del marito e lui sfrutta la sua abilità commerciale: Giuditta ha uno spiccato senso degli affari…forse hai ragione tu, è proprio ebrea-.

-Certo che è una cosa strana!-

-Ci sono cose ancora più strane…-.

Gilberto fece una lunga pausa. Aveva un’aria pensierosa, quasi preoccupata, come se fosse combattuto fra l’impulso di proseguire il suo discorso e quello di tacere.

“Tacere che cosa?” si chiedeva Guglielmo sempre più incuriosito, mentre lo fissava con aria interrogativa.

-Il marito ha degli istinti sadici, lo ha scoperto subito dopo il matrimonio. Per un po’ ha cercato di assecondarlo, ma le sue richieste si facevano sempre più inquietanti e a un certo punto non ne ha voluto più sapere…lui si sfoga con altre donne-.

Come se fosse scattato il segnale di un relè, la morbosa fantasia di Guglielmo si infiammò all’improvviso e una girandola di immagini efferate cominciò a vorticare nella sua testa. Egli aborriva la violenza eppure, per una di quelle inquietanti e inspiegabili contraddizioni cui a volte la natura umana soggiace, si sentiva irresistibilmente attratto da quell’argomento. Molto spesso, la domenica mattina, anziché andare a messa, come lo esortava a fare la sua pia e vecchia madre, che non si era mai rassegnata all’idea di avere un figlio miscredente, si recava in visita al museo criminale, dove sono esposti i più bizzarri e raccapriccianti reperti giudiziari dal medioevo ai giorni nostri.

Ogni volta che entrava in quel luogo della follia umana, lo faceva con aria circospetta, quasi se ne vergognava, come chi entri in una casa di malaffare. Soffermandosi sull’uno o sull’altro dei pezzi di quell’armamentario da Santa Inquisizione, stava sempre attento a non essere osservato dagli altri visitatori, come se quelli avessero potuto ravvisare in lui una qualche espressione di morboso compiacimento. Gli era capitato più volte di incontrare, in quel luogo, personaggi che di certo non erano lì per interesse scientifico: individui torbidi, che ostentavano le stimmate della loro perversione. In modo particolare lo aveva colpito una coppia: lei era alta e magrissima, con abiti neri e molto aderenti e un volto emaciato, coperto da un trucco pesante e violaceo; lui portava pantaloni e giacca di pelle nera e il suo corpo massiccio, sormontato da una enorme testa rasata, aveva un aspetto repellente. Ogni tanto, dopo aver osservato uno dei reperti, fissava la sua accompagnatrice con un’espressione brutale e lei lo ricambiava con occhi languidi e complici, nei quali si leggeva tutto l’abbandono e tutta la sottomissione che contraddistinguono quel particolare tipo di vittime che traggono piacere dalla loro condizione.

Guglielmo avrebbe voluto fare mille domande, avrebbe voluto conoscere anche i minimi particolari del rapporto perverso fra Giuditta e suo marito, ma non osò farlo: non voleva dare l’impressione di provare interesse per l’argomento. Anzi, cercò di assumere un’aria indifferente, come se la rivelazione di Gilberto non lo avesse minimamente turbato. Lo confortava la speranza che il suo amico, incline alla maldicenza e al pettegolezzo, proseguisse il discorso di sua volontà.

-E’ un tipo estremamente introverso e contorto. L’unica cosa che la tiene coi piedi per terra è la sua galleria ma, per il resto, vive al di fuori del mondo: non legge un giornale, non guarda la televisione, non le importa un bel niente di quello che le capita intorno. Non era così quando l’ho conosciuta, mi sembra che si sia inaridita, che si sia chiusa in una specie di ghetto mentale per paura di contaminarsi con la realtà. Disprezza tutto e tutti, le sue parole   sono  piene  di  sarcasmo,  ho   avuto   l’impressione  che disprezzi anche me-.

-Non credo- gli rispose Guglielmo amaramente deluso, -Non sarebbe venuta a trovarti, anzi è probabile che stia cercando di uscire dal vicolo cieco nel quale è andata a cacciarsi-.

-Non lo so…mi pare che sia irrimediabilmente perduta dietro certe sue fantasie malsane: mi ha fatto leggere un raccontino che ha pubblicato su una rivista, un guazzabuglio senza né capo né coda, ambientato in un Ottocento da romanzo d’appendice. Non so proprio come regolarmi…mi sfugge e sono quasi intimorito dal modo in cui si comporta e dalle cose che dice, ma non nascondo di esserne ancora attratto fisicamente-.

-Allora hai deciso di rivederla?-

-Sì, mi ha promesso che sabato prossimo sarebbe tornata a Roma, aspetto una sua telefonata-.

A quel punto Gilberto decise di cambiare discorso e Guglielmo trascorse il resto della serata ad ascoltarlo senza alcun interesse, affogando la noia nell’alcool.

Federico Bernardini

Illustrazione tratta da Google immagini



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